venerdì 17 ottobre 2014

DISASTRI

Il disastro del Vajont: prima e dopo
Per caso stavo leggendo il libro di Tina Merlin sul Vajont, stimolato dal documentario magnifico di Marco Paolini, un campione in questo genere. 
Quel libro è scritto bene: è scritto da una giornalista che, a vent'anni di distanza, ricostruisce i fatti che hanno portato alla tragedia con una freschezza che fa rituffare tristemente il lettore tra la sequela di errori che hanno scientemente portato a un disastro annunciato a più riprese. Da quelle pagine traspare rabbia, indignazione, tristezza: proseguire l'opera nonostante le criticità, simulare verifiche fittizie, eludere la legge con la colpevole connivenza dello Stato, tutto questo non può che adirare e incubare sentimenti di disistima verso lo Stato, che è l'unico garante del cittadino. A fronte di queste pagine ben scritte, Paolini ha sapientemente mescolato le molte testimonianze a disposizione per confezionare un documentario molto preciso e mai noioso, coinvolgente e sconvolgente, nel contesto migliore che si poteva trovare: il Vajont stesso, la diga incriminata che quel 9 ottobre 1963 si mangiò Longarone in un sol boccone.

domenica 17 novembre 2013

LA SECONDA MEZZANOTTE


La seconda mezzanotte

Antonio Scurati

Bompiani

€ 19

Antonio Scurati (1969) è ricercatore allo Iulm di Milano. Con "Il sopravvissuto" ha vinto il Premio Campiello. "Il bambino che sognava la fine del mondo" si è classificato secondo al Premio Strega 2009. Ha scritto anche diversi saggi, fra cui "Guerra" e il recente "Gli anni che stiamo vivendo".
Antonio Scurati
Il titolo romantico nasconde una storia che di romantico ha poco, semmai molto barocca e decadente nel suo svolgersi. Antonio Scurati cambia completamente genere, buttandosi sulla fantascienza e restituendo un'opera, che val la pena leggere: una riflessione, deprimente e ansiogena, ma lucida nell'anticipare - talora esagerando, credo volutamente - tendenze che già oggi, spesso senza accorgerci, stiamo introiettando o subendo, senza tuttavia ribellarci.
Anno 2092, Nova Venezia ovvero ciò che rimane della grande Venezia dopo una straordinaria ondata alluvionale viene acquistata dalla multinazionale cinene TNC, la quale l'ha consacrata a propria zona d'influenza e capitale dell'edonismo, del vizio e della violenza: piazza San Marco, diventata il Superdome, coperta da una cupola rassomigliante il cielo e pressurizzata dall'aria condizionata, è diventata un'arena, nella quale si tengono spettacoli di gladiatori, come se fossimo nel Colosseo dell'antica Roma, senza risparmiare crudeltà. I Veneziani sopravvissuti sono stati resi schiavi e confinati in un ghetto, con due assolute proibizioni (valide per tutti gli abitanti di Nova Venezia): quella di utilizzare armi da fuoco e quella di non potersi riprodurre (a tal proposito, esistono dispenser anticoncezionali posizionati sottocute): nell'arco di qualche tempo, di loro non rimarrà traccia, Nova Venezia diventerà un avamposto cinese offerto ai turisti, pronti a spendere per soddisfare desideri inconfessabili. L'orgia senza limiti va avanti coi suoi tempi e i suoi modi, senza che nulla cambi. Un giorno, però, accadranno due fatti capaci di scalfire la rassegnazione degli abitanti. Il primo riguarda il Maestro, colui che prepara e allena i gladiatori sull'isola di San Giorgio Maggiore: gli è nata una figlia, proprio il 25 dicembre, sfuggendo al divieto di procreazione e proprio questa figlia gli permetterà di meditare su un modo diverso di vivere e di ribellarsi. L'altro fatto riguarda Spartaco, il più forte dei gladiatori, pure lui deciso alla ribellione, scappando da Nova Venezia per cercare un altro luogo in cui vivere dopo che la donna amata subisce una tremenda violenza.
Canal Grande a Venezia
La scrittura di Scurati, nota per la sua raffinatezza, contribuisce ad acuire la sensazione di angoscia che aumenta di pagina in pagina, spesso gonfiata da descrizioni raccapriccianti di aspetti della vita quotidiana. Toccanti le pagine riguardanti la fuga di Spartaco da Nova Venezia, che toccano il punto più alto quando il guerriero sarà condotto da un bambino in una chiesa in cui si sta celebrando un battesimo. Il tema della vita torna frequentemente in vari modi, proponendosi come una dichiarazione di guerra alla morte, a partire dall'onda lunga che ha sepolto Venezia. Il mondo distopico raffigurato da Scurati a tratti affascina, a tratti incute timore: esalta alcuni aspetti della società odierna - come, per esempio, l'invasione cinese incontrollata - conducendoli fino all'eccesso, raccogliendo i sentimenti di oggi e adattandoli a quelle situazioni estreme: il quadro che ne possiamo trarre è quello di una società che, avviatasi da lungo tempo sulla via della decadenza, tocca il fondo per rinascere dominata da una cultura che coltiva le ceneri della decadenza per rinfocolarle, consacrando la sua società a piaceri effimeri, al vuoto e all'estinzione.

sabato 2 novembre 2013

LA NONNA DELLA PATRIA

Anna Maria Cancellieri
La "nonna della Patria" - come la definisce Gramellini - ricorda le sagge parole della mamma: "Male non fare, paura non avere". Il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri tira dritto e dribbla l'assedio mediatico seguito alla notizia del suo interessamento per la scarcerazione di Giulia Ligresti, figlia di Salvatore. In attesa dei suoi chiarimenti in Parlamento, previsti a metà settimana, la Cancellieri tiene a spiegare che non c'è nulla di anomalo nel suo interessamento riguardo le scadenti condizioni della Ligresti nel carcere di Vercelli: si è comportata così anche per altri detenuti, le cui situazioni sono state segnalate al suo Ministero (sei casi solo ad agosto). Ciò che crea scandalo è principalmente la pesantezza del nome, certamente delicato in questo periodo: Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, e la Cancellieri si conoscono da quarant'anni e così la segnalazione è stata più facile - pare si voglia far intendere. Tuttavia, la Procura di Torino ha ribadito ieri che non c'è stato nessun occhio di riguardo per la Ligresti, così come confermato dal medico legale Roberto Testi, sulla cui perizia la Procura di Torino ha fondato il parere positivo alla scarcerazione.
Io credo alla buona fede del ministro; tuttavia, mi vengono in mente due cose. La prima: è necessario accertare  che l'intervento della Cancellieri sia stato veramente uguale a quello per un qualsiasi altro Pinco Pallino ovvero che il nome della famiglia Ligresti e la conoscenza intima di Gabriella Fragni non abbiano inciso nel rendere più sollecito l'interessamento: questo lo potrà confermare il ministro nei prossimi giorni, quando riferirà in Parlamento. La seconda: forse, come mi suggerisce qualcuno, all'inizio di un mandato in un pubblico ufficio, un politico deve fare l'elenco delle amicizie "scomode" che si prevede possano in un futuro, più o meno prossimo, creare equivoci o casi mediatici: fa strano, non siamo abituati, ma probabilmente potrebbe aiutare. O forse dobbiamo cambiare la nostra testa e finire di inquadrare qualsiasi vicenda riguardante qualsiasi politico nella categoria dell'inciucio e del magna magna

giovedì 4 luglio 2013

LA LUCINA


La lucina

Antonio Moresco

Mondadori (collana Libellule)

€ 10
Sono venuto qui per sparire, in questo borgo antico abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante. (...) Guardo il mondo che sta per essere inghiottito dal buio.

Lo ammetto senza vergogna: non conoscevo Antonio Moresco prima di leggere l'ultimo suo libro, La lucina. Devo, quindi, ringraziare di cuore Luisella, cui ho "rubato" il libro nella libreria Il Parnaso che gestisce a Ponteranica (BG): il passaggio in libreria è stata l'occasione per riabbracciare una splendida persona, persa di vista quasi quindici anni fa, ed immergermi in quell'atmosfera libresca che tanto mi piace.
La lucina è, per stessa ammissione dell'autore, un testamento, una scatola nera "scaturita da una zona molto profonda della mia vita": tale appare anche ai miei occhi, che riescono a cogliere tra le righe tracce autobiografiche del racconto di una vita difficile, che porta continuamente a meditare e a confrontarsi con la natura circostante. Il romanzo è costruito intorno alla figura di un uomo, che vive in un vecchio borgo disabitato, in totale solitudine; tutte le sere, ad incuriosirlo, c'è una lucina, che compare puntualmente sulla collina dinanzi alla casa di pietra che ospita la voce narrante. Cos'è questa lucina? Un lampione? Un corto circuito elettrico? Un UFO? Niente di tutto questo: quella lucina proviene da una piccola casa, abitata da un bambino, che vive anch'egli solo, badando completamente a se stesso e alla propria esistenza. Proprio a questo punto, la mente dell'uomo è affollata da nuove domande sull'identità del bambino e sul rapporto che li lega. Questo è il nucleo del romanzo, che nasconde una storia terribile e al tempo stesso stupefacente, metafora della vita. La solitudine costringe l'uomo a misurarsi con la natura, non sempre amica dell'uomo, e tale impresa è simbolizzata al meglio dalla salita perigliosa dell'uomo sul crinale per raggiungere la casa del bambino, da cui brilla la lucina. Il rapporto di tacita comprensione che si stabilisce tra i due è raccontato lentamente, proprio così come lentamente cresce e matura. Non c'è bisogno di tante parole, probabilmente la condivisione del silenzio basta a riempire il vuoto di un’esistenza, profondo come il burrone che separa le due montagne su cui abitano.
Il mistero non è del tutto svelato; lo si comprende davvero solo alla fine, con non poca amarezza nel cuore, come una fiaba senza lieto fine. Moresco, in fin dei conti, esplora, pur con un'abile poeticità e un fine romanticismo di fondo, il mondo della morte, ma lo fa in maniera delicata e commovente: così come s'addentra nella casa del bambino in punta di piedi, ne esce con una verità sconcertante. Anziché ricorrere a figure truculente, lo scrittore decide di soffermarsi sulla morte utilizzando lo strumento dell'introspezione: attraverso il bambino, l'uomo ripercorre il dolore e l'angoscia di chi è già andato, condividendo con lui il senso d'impotenza che il triste passaggio della morte porta con sé.

martedì 25 giugno 2013

UN BEL GESTO (GIUSTO)

L'ex ministro e campionessa olimpica Josefa Idem

Josefa Idem si è dimessa da Ministro per le Pari Opportunità, lo Sport e le Politiche giovanili. Un piccolo gesto denso di significato: se si vuole far tornare gli Italiani ad avere fiducia nella politica, bisogna procedere in tale direzione. Pur essendo le accuse tutte da dimostrare , la Idem, dimettendosi, aiuta a far chiarezza e a sgombrare il campo da equivoci. 
Unica nota di leggero demerito? Per dare maggiore incisività al giusto gesto, si sarebbe potuta dimettere non appena uscita la notizia anziché aspettare il colloquio con Letta, che avrà avuto un ruolo influente, come traspariva dalle parole dello stesso Primo ministro domenica scorsa a In 1/2 ora.
Ricordo che comportamenti simili altrove sono normali e non destano stupore: in Germania un ministro si è dimesso per aver copiato la tesi di laurea, tanto per dirne una. Il politico non deve avere scheletri nell'armadio, deve essere impeccabile sotto tutti i punti di vista, non può permettersi di predicare bene e razzolare male. 
Se poi si parla di IMU non pagata, allora il discorso si fa ancora più delicato. 

giovedì 28 marzo 2013

DIFFICILE FAR PEGGIO

Il segretario Pd, Pierluigi Bersani
Penoso spettacolo. D'altronde cos'altro potevamo aspettarci? L'onorevole Bersani ha tirato in lungo per un'altra settimana nascondendosi come un bambino dietro consultazioni, il cui esito era noto già prima di cominciare. Il risultato finale è lo stallo totale, che danneggia tutto il Paese. Bersani si presenta ai giornalisti dicendo che l'esito delle consultazioni non è stato risolutivo - grazie, ma l'avevamo capito ancor prima che cominciassero - e lo fa con quel disappunto e quell'insoddisfazione che investono colui che è deluso per il pessimo risultato personale e non con quell'arrabbiatura e quella preoccupazione di aver lasciato il proprio Paese, tanto amato e decantato in campagna elettorale, in mezzo al guado, preda dei mercati finanziari e dei pericoli che offre l'assenza di un governo. Questo mi indigna, questo mi fa profonda rabbia, questo mi preoccupa: il Pd, per non dare contro il proprio segretario, nonostante egli sia stato incapace di formare un governo, specifica in una nota che che Bersani non ha rinunciato all'incarico. E cosa aspetta? Non ha rinunciato al mandato esplorativo pur sapendo sarebbe finito in un nulla di fatto. Ma ora, che cosa deve ancora valutare? Cos'altro deve succedere? Vuole proprio un calcio nel deretano per andarsene?
Un segretario senza carisma, proveniente dal vecchio PCI (nonostante le evoluzioni successive, è nato e cresciuto dentro il vecchio Partito comunista), sedicente riformista - ma dove?-, capace di parlare ad un'assemblea di partito o in conferenza stampa come parlerebbero i vecchi del Bar Sport della partita della domenica o dei fatti di politica attingendo dal giornale - con tutto il rispetto dei vecchi del Bar Sport che spesso superano il segretario Pd almeno in originalità -, che ha cercato l'acclamazione personale attraverso primarie sapientemente e manifestamente pilotate, abile nel disperdere milioni di voto durante la campagna elettorale, rianimatore di un Berlusconi dato per morto e attualmente risorto e tornato a nuova vita; insomma, un soggetto del genere non meritava l'incarico di Napolitano. E se fosse stato più saggio, manco lo avrebbe accettato, viste le impraticabili condizioni. Tanto più che, all'indomani delle elezioni, ha avuto il becco di dire che non aveva perso - perché non prende lezioni da Renzi ascoltando la conferenza stampa di fine primarie? - e in tutti questi giorni non ha avuto il minimo dubbio di dimettersi da segretario del partito, non essendo riuscito a raggiungere l'obiettivo prefissato, che appariva molto facile. Dimettersi non è frequente in Italia, figurarsi ammettere una sconfitta: sforzandomi per ricordare un gesto del genere, devo ritornare a Walter Veltroni, che, vituperato per i suoi difetti, ha avuto il pregio di dimettersi nel febbraio 2009 (un anno dopo aver perso le elezioni politiche) in seguito alla clamorosa sconfitta elettorale delle regionali della Sardegna. Bersani, purtroppo per lui e per il partito, non ha questa classe e, profondamente piccato dalla sconfitta inaspettata, tiene calda la sedia conquistata e non vuole proprio lasciarla. 
Questo è il politico che tiene all'Italia e che ha a cuore gli interessi degli Italiani?

domenica 17 marzo 2013

IN QUESTA ITALIA CHE NON CAPISCO


In questa Italia che non capisco

Mark Twain

Mattioli 1885

€ 15,90
Per quel che capisco, l'Italia per millecinquecento anni ha concentrato tutte le sue energie, tutte le sue finanze e tutta la sua operosità nella costruzione di una vasta gamma di meravigliosi edifici ecclesiastici, affamando metà dei suoi cittadini pur di riuscirvi. Al giorno d'oggi, è un grande museo di magnificenza e miseria. (...) È il paese più disgraziato e principesco della terra.

All'alba del 1866, Mark Twain decide di intraprendere una crociera per l'Europa con il piroscafo Quaker City che lo porterà per sei mesi tra Francia, Italia e vicino Oriente: a poco più di trent'anni, Twain non è ancora il celebre scrittore che narra le Avventure di Tom Sawyer, ma un (semplice?) letterato e un giornalista affermato. In questa Italia che non capisco è un testo editoriale composto dall'editore Mattioli 1885 (con la traduzione di Sebastiano Pezzani) che raccoglie gli estratti riguardanti la sua permanenza in Italia, i quali, insieme ad altri concernenti le successive tappe del viaggio, sono stati pubblicati a puntate verso la fine dell’Ottocento con il titolo The Innocents Abroad.
Lo scrittore Mark Twain
Il viaggio parte da Genova, tappa obbligata per chi arriva dal mare: portici signorili e antichi palazzi in marmo ora disabitati sono l'emblema di una città in decadenza, che ha visto passare troppo velocemente il tempo dello splendore durante l'egemonia marinara. Di positivo, a Genova, ci sono le donne, la cui bellezza rimane impressa nella mente di Twain mentre il treno corre già in direzione di Milano. Nel tragitto tra Genova e Milano, ricordo bene le parole che Twain tributa ai territori nei quali sono nato e cresciuto: una "regione montuosa i cui picchi erano illuminati dai raggi del sole, i cui pendii erano punteggiati di ville graziose", le "gallerie fresche" e poi, una volta passato l'Appennino, si arriva in pianura. "Superata Alessandria, siamo passati accanto al campo di battaglia di Marengo". Milano si presenta tra le sue consuete luci ed ombre: la ricchezza artistica e museale attrae molto lo scrittore, che visita i principali monumenti cittadini, senza dimenticare il Duomo, cui dedica molte pagine e un'attenzione da appassionato, declamandone le dimensioni e perdendosi in una descrizione particolareggiata. Tuttavia, ad irritare non poco Twain, è il fatto che a Milano è impossibile rintracciare un solo pezzo di sapone. Lasciata alle spalle la Madunina, la carovana di Twain procede spedita verso le bellezze del lago di Como e poi in direzione di Venezia, tagliando per Bergamo e Padova. La città lagunare, secondo lo scrittore, è "finita preda della povertà, della trascuratezza e di una triste decadenza", sebbene, al chiaro di luna, appaia "ancora una volta la più sontuosa tra tutte le nazioni della terra". Il viaggio prosegue verso Firenze, nella quale è infastidito dai chilometri di dipinti che attraversano la città e dove tutto, gli vien detto, è opera di Michelangelo. Quindi prosegue per Roma, dalla quale rimane attratto, ma non troppo: l'anticlericalismo del suo spirito puritano, che lo rende felice per la confisca dei beni della Chiesa e in nome del quale non risparmia la sua indignazione verso la folla di preti che incontra ovunque, è feroce e motivato dal fasto delle chiese e dei conventi e, ovviamente a Roma, raggiunge l' acme; a lato di queste considerazione, dedica pagine dissacranti al culto dell'antico e non risparmia racconti esilaranti di sua produzione sul Colosseo e i giochi gladiatori.

lunedì 4 marzo 2013

PIETRO BEMBO E L'INVENZIONE DEL RINASCIMENTO

Ritratto di Navagero e Beazzano di Raffaello (da Wikipedia.org)

I capelli di Lucrezia Borgia
Seriamente imperdibile: la mostra padovana che espone i gioielli della collezione di Pietro Bembo è Rinascimento ha regalato all'Italia e al mondo. Pietro Bembo è un uomo dalle mille facce: è un linguista, visto che le sue Prose della volgar lingua sono un trattato sulla lingua italiana che parliamo ancor oggi; un cardinale, dal momento che nell'ultima parte della sua vita veste la porpora dopo la nomina di Paolo III Farnese tesa a dare prestigio e splendore ad una Chiesa corrotta; è un amante, capace di flirtare con Lucrezia Borgia, moglie del duca di Ferrara Alfonso d'Este, cui dedica gli Asolani e di cui si è conservata "la bella treccia simile a oro", che la tradizione vuole esser stata ritrovata nel carteggio fra i due amanti; è un collezionista d'arte, in grado di radunare nello studio della sua abitazione padovana, dove si ritira negli ultimi anni di vita, una quantità di dipinti, libri, sculture antiche e moderne, monete, gemme, astrolabi e mappamondi tale da creare un vero e proprio musaeum, un vero tempio delle Muse; è un consulente d'arte, al quale si rivolge, tra gli altri, la marchesa di Mantova Isabella d'Este quando deve acquistare opere d'arte sul mercato veneziano; è un innovatore, se pensiamo che, insieme ad Aldo Manuzio (il maggior tipografo del suo tempo nonché il primo editore in senso moderno), concepisce l'idea del libro tascabile ovvero un'opera facilmente fruibile perché composta dal puro testo, senza commento alcuno; è un uomo di potere, poiché diventa segretario ai brevi di papa Leone X affinché la Curia si esprima in un latino impeccabile. Pietro Bembo è un uomo dal carisma ineguagliabile e dalle multiformi abilità, un personaggio di culto per la sua epoca, una figura di amante dell'arte nel senso più lato del termine che oggi - forse - fatichiamo a comprendere.
un piccolo gioiello, capace di far respirare nelle sue stanze quell'aria di nuovo e bello che il
Ritratto del cardinale Pietro Bembo di Tiziano
Vi posso, tuttavia, assicurare che, fin dalla prima delle undici sale, si respira un afflato del tutto particolare: anche da oggetti apparentemente - e, badate bene, solo apparentemente - di poco valore, si coglie il gusto per il bello e la "sensualità" per gli oggetti. Tanto per fare alcuni esempi, nel percorso d'esposizione, è possibile ammirare il Giovane con il libro verde di Giorgione (a proposito di libro tascabile, è interessante cogliere il particolare del libro verde nella mano del soggetto), l'arazzo mozzafiato e di un lusso inaudito (seta e fili d'oro) raffigurante la Conversione di San Paolo, realizzato su disegno di Raffaello ed esposto nella Cappella Sistina durante le occasioni solenni, il Ritratto di Navagero e Beazzano, amici intimi di Bembo e ritratti da Raffaello di tre quarti, in una posa altamente realistica, come se disturbati dal visitatore nel corso della loro conversazione, il Ritratto del cardinale Pietro Bembo mirabilmente eseguito da Tiziano, che si poteva considerare il ritrattista migliore in circolazione. Insomma, avrete capito lo spessore del personaggio: Bembo è qualcosa di più d’un semplice uomo di corte, è - probabilmente sa di essere - un protagonista del suo tempo,  un preciso termometro della sua epoca, di cui sa cogliere il "punto evolutivo d'equilibrio", "qualcosa di più di un taste-maker e qualcosa di meno d’un genio innovatore".

Tutte le informazioni sulla mostra Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento, allestita a Padova presso il Palazzo del Monte di Pietà,  sono disponibili sul sito ufficiale della mostra: www.mostrabembo.it.

mercoledì 27 febbraio 2013

NIENTE DA CAPIRE

Chissà cosa ci riserverà il prossimo Parlamento...
Non capisco perché Bersani si è autoconfermato al suo posto. Non capisco perché, con responsabilità, non ha preso atto della pessima figura - perdere quattro milioni non è una pessima figura quando si parte col favore dei pronostici? - e ha annunciato le sue dimissioni, ammettendo chiaramente di non essere stato in grado di polarizzare voti intorno alla sua proposta - quale? - e pertanto che, sentendosi sconfitto, non può continuare ad essere segretario del Pd. Non capisco perché c'è chi è ancora sorpreso dall'affermazione elettorale di Beppe Grillo: quando la politica offre di sé l'immagine più becera e ina, l'antipolitica ovvero il populismo sono i frutti avvelenati che tocca raccogliere: forse che ci siamo dimenticati degli esempi che il Novecento ci ha fornito? Non capisco perché molti non credono al successo di Berlusconi, che, pur perdendo, ha dimostrato di essere un'araba fenice: inizialmente destinato all'oblio, è sceso in campo sparigliando le carte e regalando al Pdl un risultato al di sotto delle più rosee aspettative. Perché sorprendersi? In Italia, i politici di matrice comunista non hanno mai avuto fortuna alle elezioni: D'Alema e Bersani lo evidenziano pienamente e fanno rimpiangere quel Romano Prodi, che detiene il primato, unico, di aver battuto due volte Berlusconi. Non capisco perché non comprendiamo lo stallo che ci hanno consegnato queste elezioni: i vecchi partiti, rinnovatisi solo con cambiamenti cosmetici e per nulla strutturali, hanno attentato seriamente alla pazienza degli Italiani e, pertanto, Grillo ha raccolto questi malumori perché, checché se ne pensi, rappresenta un elemento di novità. Non capisco perché adesso, con la coda tra le gambe, si invoca, soprattutto a sinistra, la mancata discesa in campo di Matteo Renzi, sbeffeggiato da primarie-fantoccio costruite su misura per il segretario Bersani alla ricerca di una legittimazione che neanche le primarie gli hanno veramente dato e capace, comunque, di raccogliere un prezioso 40% prontamente annichilito nelle stanze romane del Pd: non uno dei dirigenti vicini al segretario ha ammesso l'errore di strategia, nessuno di loro ha ventilato l'ipotesi che la sconfitta è figlia di quella mancata voglia di cambiamento, al quale sono state tarpate le ali durante le primarie. Non capisco il perché tutto ciò. Provo a meditare, forse non c'è niente da capire.

martedì 26 febbraio 2013

LA COLLINA DEL VENTO


La collina del vento

Carmine Abate

Mondadori 

€ 17,50

La verità è che i luoghi esigono fedeltà assoluta come degli amanti gelosi: se li abbandoni, prima o poi si fanno vivi per ricattarti con la storia segreta che ti lega a loro; se li tradisci, la liberano nel vento, sicuri che ti raggiungerà ovunque, anche in capo al mondo.

Carmine Abate con il Premio Campiello
Il Rossarco, una collina non lontana dal mar Jonio, racchiude tutta la storia della famiglia Arcuri, una storia lunga un secolo e tre generazioni fino a Rino, che ne tira le fila: la collina non esce per un secondo dal racconto, il vento che, a volte la accarezza, a volte la spazza, fa circolare un'enorme quantità di profumi, tra olivi secolari e lecci, mentre le sulle la colorano di rosso. Da qui, probabilmente il nome, Rossarco, altura altrimenti enigmatica, densa di storia e molto fertile, come testimoniato dal caparbio patriarca Alberto, che lì si stabilisce e trascorre tutta la sua vita. Quando il professor Paolo Orsi, un celebre archeologo, la raggiunge, intenzionato a cercare i resti della mitica città di Krimisa ormai sepolta, la vita degli Arcuri viene sconvolta: la prepotenza del potere e di chi non ha rispetto e memoria è fermamente combattuta dalla famiglia, per la quale la collina è un simbolo inalienabile e insostituibile, dalla quale non ci si può staccare, mai. 

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