Le notizie degli ultimi giorni mostrano un ministero, quello della Salute, insolitamente sotto attacco.
Dapprima il dl sulla sanità, preparato dal ministro Balduzzi, che, sebbene non ancora approvato, ha sollevato non poche polemiche per le tasse sulle bibite zuccherate e i superalcolici. Era immaginabile che si scatenasse una crociata contro il governo etico, contro il governo del salutismo, chiedendo di lasciarci liberi di mangiare e bere quanto e come che ci pare. Lo stesso refrain l'avevamo sentito all'epoca del casco obbligatorio da chi rivendicava di voler sfrecciare sulla moto sentendo l'aria nei capelli, libero di sfracellarsi a suo piacimento; e l'abbiamo sentito pure quando la legge Sirchia ha proibito il fumo nei locali pubblici da parte di chi temeva che, senza fumo, i locali si sarebbero svuotati e che si sottraeva ai patiti della sigaretta il gusto di fumarsene una a metà pasto o dopo il caffè o in entrambi i momenti. Insomma, qualsiasi restrizione al nostro personale piacere in nome della tutela della salute viene subito tacciata di repressione, protezionismo, stato etico o negazione della libertà individuale.
Ma, per una volta - almeno una, dico - possiamo ragionare? Perché non vogliamo renderci conto che una dieta scorretta, ricca di grassi e carboidrati, aumenta il rischio di malattie come diabete o obesità nonché di eventi cardiocerebrovascolari? Perché non ci convinciamo che il casco può, talora, salvare una vita o ridurre drasticamente le conseguenze di un incidente? Perché non ci persuadiamo che il fumo passivo è altrettanto dannoso e che non possiamo farlo subire a chi dal fumo è disgustato? Perché non comprendiamo che i costi per la volontà di disattendere a questi divieti sono più elevati?
Ma, per una volta - almeno una, dico - possiamo ragionare? Perché non vogliamo renderci conto che una dieta scorretta, ricca di grassi e carboidrati, aumenta il rischio di malattie come diabete o obesità nonché di eventi cardiocerebrovascolari? Perché non ci convinciamo che il casco può, talora, salvare una vita o ridurre drasticamente le conseguenze di un incidente? Perché non ci persuadiamo che il fumo passivo è altrettanto dannoso e che non possiamo farlo subire a chi dal fumo è disgustato? Perché non comprendiamo che i costi per la volontà di disattendere a questi divieti sono più elevati?
Ciò detto, è perfettamente lecito dubitare dell'efficacia delle misure annunciare e pensare che al governo non importa tanto della nostra salute quanto piuttosto delle finanze pubbliche, prendendo soldi dovunque sia possibile. Tuttavia, è pur lecito chiedersi, come fa Riccardo Chiaberge: "è meglio pagare un modesto balzello sul chinotto o pagare molte più tasse per curare gli obesi o i diabetici di domani?" Anche perché, conclude lo stesso, "chi tuona contro l’invadenza dello stato-mamma quando questo tenta di distoglierlo dalla Fanta o dalle merendine, poi però è il primo a correre tra le sue braccia quando sta male e ha bisogno di assistenza."
La seconda gatta da pelare riguarda la bocciatura della legge 40, quella sulla fecondazione assistita, da parte della Corte europea. Secondo Strasburgo, "il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente", perché un'altra legge dello Stato permetterebbe alla coppia di accedere a un aborto terapeutico ovvero la legge 194. La Corte, inoltre, non comprende come, nel caso di malattia del feto, "un aborto terapeutico possa conciliarsi con le giustificazioni del governo italiano, tenendo conto tra l'altro delle conseguenze che questo ha sia sul feto sia, specialmente, sulla madre". Viene così stabilito che la parte della legge 40 sotto esame ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti a cui lo Stato dovrà per di più versare 15 mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali sostenute. Tuttavia, è bene sottolineare che la "nota" incoerenza, come ricordato da Balduzzi, tra legge 40 e legge 194 non è tale. Infatti, la legge 194 consente l'aborto dopo 90 giorni di gravidanza solo a determinate condizioni, cioè "quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna" o "quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna." Da cui si desume che non è permesso l'aborto per il solo fatto che l'embrione è malato, pertanto l'interpretazione della legge 194 da parte della Corte appare errata. Appare strano ed insolito, almeno per l'Italia, che siano stati bypassati i nostri tribunali per rivolgersi direttamente alla Corte europea; anche perché, ci ricorda Margherita De Bac, che "due anni fa il giudice Antonio Scarpa di Salerno infrange un altro tabù e per la prima volta concede a una coppia fertile di effettuare la diagnosi sull'embrione, decisione presa successivamente da altri tribunali."
Il Governo, col ministro Balduzzi in testa, promette di fare ricorso e, sinceramente, c'era da aspettarselo, vista la nutrita schiera di cattolici al suo interno, dai quali la legge è stata sempre avversata. Vedremo che succederà. Tanto la legge, bene o male, è già stata cambiata da diciassette sentenze: speriamo si vada verso un miglioramento.
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