sabato 27 novembre 2010

MIA SUOCERA BEVE


Mia suocera beve
Diego De Silva
Einaudi

€ 18

Nuovo libro per De Silva, nuovo successo: sembra scontato, ma non potrebbe essere altrimenti. L'ho conosciuto con La donna di scorta, me ne sono innamorato e non ho resistito a leggere Mia suocera beve.
In questo romanzo ritorna il personaggio di Vincenzo Malinconico, un avvocato senza fama e con problemi sentimentali, ma soprattutto un filosofo autodidatta, il quale è capace di riflettere e meditare su ogni aspetto della vita, giungendo a conclusioni talora ovvie e altre volte meno. Partendo da osservazioni a volte sciocche o banali, giunge a conclusioni importanti e decisive su temi come l'amore, la giustizia e il senso della vita; la sua grossa capacità è quella di trascinare anche il lettore in questo turbinio di pensieri e considerazioni, arrivando a staccarsi nella realtà per entrare in una dimensione parallela capace di far guardare il reale in maniera distaccata.
La vicenda intorno alla quale ruota il romanzo è un sequestro di persona che si svolge in un supermercato, nel quale l'avvocato Malinconico si trova per acquistare del pesto, sebbene non ne avesse strettamente bisogno. Si imbatte nell'ingegnere informatico Sesti Orfei, il boia, che dà luogo al sequestro di Gabriele Caldiero, subito ribattezzato da Malinconico "Matrix" per il suo abbigliamento, un boss della camorra ritenuto responsabile della morte accidentale del suo unico figlio. Il piano messo in atto dall'ingegnere è a dir poco geniale: all'arrivo della televisione, l'ingegnere inizia a raccontare la triste vicenda e dà il via ad un processo mediatico, al quale vengono chiamati ad assistere, impotenti, le forze dell'ordine e la folla che sono giunte al supermercato, l'avvocato Malinconico nominato difensore d'ufficio, una vecchietta impaurita che cerca conforto nell'avvocato e il salumiere Matteo. In questo modo lo stesso Malinconico ha la possibilità di riflettere su molti aspetti perversi e biasimevoli della nostra società. Innanzitutto la spettacolarizzazione del dramma e la curiosità morbosa di conoscerne l'esito.

… stavo lì, incapace di staccare gli occhi da quella scena che, a poco più di tre metri di distanza, continuava a crescere e ad aggravarsi in quel supermercato irrealmente deserto dove la gente sembrava non volerne sapere di entrare a fare la spesa (...). Pura pornografia, è chiaro. Perché quando la realtà si mette a dare spettacolo, è quello l’effetto che realizza. Per questo i reality show, che poi ne costituiscono un pallido tentativo d’imitazione, hanno il successo che hanno. Infatti non era solo il timore del peggio a tenere la mia attenzione così stretta. La verità, benché ammetterlo non deponga esattamente a mio favore, è che una parte di me voleva sapere come sarebbe andata a finire.
(...) Un momento dopo, sui due televisori è comparsa l’immagine di Matrix, inginocchiato e ammanettato di spalle al corrimano del banco dei latticini. Sembrava un filmato di Al Jazeera.

La consapevolezza di quello che stava realmente accadendo viene ricercata nei monitor di sorveglianza: solo ciò che viene ripreso, focalizza la nostra attenzione e ci fa dire che sta succedendo seriamente.

Istintivamente mi sono girato a guardare il monitor alle mie spalle, o meglio in alto, pensando di trovare anche lì la schermata di Matrix in versione ostaggio, come infatti è stato. A quel punto la mia confusione ha cominciato a diradarsi.

Prende così corpo il reality show inscenato dall'ingegnere, che, secondo Malinconico, è un colpo di genio perché si limita ad "impiegare l’attrezzatura… di cui il supermercato era dotato senza apportarvi alcuna modifica sostanziale…”: è tutto già implicito nello strumentario tecnologico che rende possibile la sorveglianza e la tutela in tanti luoghi pubblici, perciò l’ingegnere si limita a sfruttare questo mezzo, non inventa nulla e non cambia nulla.
Con la sua proverbiale risolutezza, l'acutezza delle osservazioni, la capacità di tramutare in comico ciò che è tragico, l'avvocato Malinconico riesce a sabotare il piano dell'ingegnere, che conclude il suo tentativo spettacolare sparandosi un colpo di pistola. Parallelamente a questa vicenda, la vita tormentata di Malinconico deve fare i conti con un'ex moglie, una suocera, che l'avvocato non riesce a considerare ex, la quale ha appena scoperto di essere affetta da un tumore (e che solo successivamente prenderà la decisione di sottoporsi alla chemioterapia consigliata) e non vuole più parlare con la figlia, una compagna con la quale la storia sembra essere arrivata al capolinea. In questa intricata commistione di vicende più o meno serie e difficili, l'avvocato Malinconico sfodera sempre le sue armi migliori per porvi rimedio e cercare di mettere ordine in quel pasticcio che è la sua vita.

sabato 20 novembre 2010

MAFIE E FEDERALISMO

Sono contento che il dialogo a distanza tra Maroni e Saviano si sia risolto con la partecipazione del ministro il prossimo lunedì sera nel programma Vieni via con me: nessuno dei due avrebbe tratto alcun risultato utile dalla querelle, anzi, l'immagine che potevano fornire avrebbe somigliato ad una divisione su un obiettivo campale quale la lotta alla criminalità organizzata. Certo, come ha ricordato Stella, il giovane scrittore poteva calibrare meglio alcuni passaggi del suo monologo (per esempio tagliare il passaggio-chiave "Che cos'è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto" della citazione della frase provocatoria di Miglio è stato ingenuo); tuttavia, io continuo a ritenere che di quell'appassionato racconto si debba ritenere il senso generale, il messaggio-chiave: siamo in presenza di una criminalità organizzata che si sta diffondendo a macchia d'olio e non possiamo più continuare a ritenerla un qualcosa di alieno e lontano da noi. Questo è stato il grande merito di Saviano, portare alla ribalta notizie che, pur note, sono state tralasciate dalla gran parte dell'informazione: il fatto che Milano sia stata eletta a capitale della 'ndrangheta al nord è un dato forse non proprio nuovo ma certamente allarmante, che non può essere trascurato, tanto più che si sta mettendo in moto la macchina dell'Expo 2015, cui la criminalità organizzata ha già guardato con interesse.
La recente inchiesta dell'Espresso, condotta da Paolo Biondani e Mario Portanova, ha mostrato come i tentacoli della 'ndrangheta abbiano raggiunto e pervaso il nord, a partire dal capoluogo meneghino: "edilizia, superstrade, ferrovie, aeroporto, centri commerciali, ortofrutta, rifiuti, ospedali, bar, negozi di lusso, banche, prestiti a usura e, naturalmente, droga: la mafia calabrese ha conquistato l'economia del Nord" (a destra, la cartina degli affari della 'ndrangheta in Lombardia, tratta dal sito dell'Espresso). Emblematico è il caso Santa Giulia, "Santa Giulia dei veleni", "bombe ecologiche e sanitarie", veleni mafiosi che hanno contaminato le acque, sostanze classificate come "cancerogene, che mettono a rischio la fertilità e possono danneggiare i bambini non ancora nati". Per non parlare della sanità, settore nel quale la 'ndrangheta ha fiutato la possibilità di grossi guadagni tra ospedali e cliniche private: nella retata di luglio, che ha portato a molti arresti tra Milano e Pavia, è finito in galera Carlo Antonio Chiriaco, direttore sanitario dell'Asl di Pavia, il cui giro d'affari annuale è stimato in 700 milioni di euro. Si parla proprio di "modello Chiriaco", grazie al quale si maneggiano sindaci, assessori e comitati d'affari, cominciando "dai piccoli feudi elettorali della provincia, dove le cosche chiedono favori e promettono i voti di migliaia di calabresi", per creare una struttura di potere in grado di controllare gli interessi sul territorio. Si arriva, nel cuore della Brianza, alla paralisi per mafia di un comune: "Desio, 40 mila abitanti, è la capitale lombarda del mobile. Il consiglio comunale si è riunito una sola volta in quattro mesi: la maggioranza di centrodestra non raggiungeva il numero legale". Altre indagini hanno svelato i massicci investimenti in cliniche private, "decine di milioni riciclati in nuove residenze per anziani tra le province di Bergamo (148 posti letto a Vigolo), Pavia (tre ospizi da accreditare a Costa dei Nobili, Pinarolo Po, Monticelli) e Novara".
Tutto ciò sta a dimostrare la pericolosità di sottovalutare un cancro così potente e così pervasivo, capace di annidarsi in tutti i gangli vitali dell'economia per risalire la china e conquistare il primato. A tal proposito è lo stesso Saviano che in un colloquio con Gianluca Di Feo sull'ultimo numero dell'Espresso mette in guardia da un altro fenomeno particolarmente inquietante con un ragionamento tanto semplice quanto agghiacciante: "le mafie scommettono sul federalismo". "La mentalità delle mafie è essenzialmente predatoria, puntano a divorare le risorse ed è molto più facile farlo nelle capitali regionali che non a Roma: possono fare pesare il loro controllo del territorio, la loro violenza, i loro voti e i loro soldi. Per questo con il livello di infiltrazione che c'è nelle regioni del meridione, il federalismo potrebbe finire con l'essere un regalo e far diventare Campania, Calabria e Sicilia davvero cose nostre, un nome che non è stato scelto a caso. Perché oggi la forza delle mafie non è più nella capacità di usare la violenza ma nella disponibilità quasi illimitata di capitali, affidati a facce pulite e capaci di condizionare la politica soprattutto a livello locale". Con questo, tuttavia, non ci si deve e non ci si può arrendere, il federalismo fiscale può rappresentare una possibilità di rinascita del sud, ma - ricorda Saviano, riportando l'analisi del magistrato Raffaele Cantone - a due condizioni: "creare controlli rigorosi sulle uscite di denaro pubblico e fare una selezione sulla classe dirigente politica e burocratica".
Ecco perché non è possibile indignarsi se un giornalista denuncia la piovra che sta avvolgendo una delle regioni motrici dell'economia italiana, capace di raggiungere tutti i punti nevralgici per sfruttarli a propria discrezione: teniamo gli occhi aperti!

mercoledì 17 novembre 2010

I TENTACOLI DELLA 'NDRANGHETA

Dispiace che intorno ad un'affermazione che, seppure importante ma comunque documentata, si sia scatenata una polemica dai toni accesi. Quella nata, infatti, tra Roberto Saviano e Roberto Maroni potrebbe essere una guerra "avvilente", come ricorda Battista, "tra due simboli della battaglia contro la criminalità organizzata"; il che sarebbe un peccato visto che entrambi, ciascuno con i propri mezzi, agiscono quotidianamente perché le mafie di ogni tipo e ad ogni livello vengano debellate e definitivamente stanate (è di qualche ora fa la notizia dell'arresto del boss Antonio Iovine, storico capo dei Casalesi, latitante da quattordici anni). L'affermazione incriminata di Saviano, pronunciata durante la trasmissione Vieni via con me e per la quale il ministro Maroni minaccia azioni legali, chiama in causa la Lega Nord dicendo che al nord la 'ndrangheta interloquisce con essa e fa riferimento ad un incontro tra Pino Neri e un consigliere regionale lombardo della Lega, fatto emerso da un'inchiesta congiunta della DDA di Milano e Reggio Calabria: Saviano si limita a riportare il fatto per esemplificare il pericolo strisciante, peraltro già dimostrato dalle indagini, delle infiltrazioni malavitose al nord. Si tratta di un monito a tenere gli occhi bene aperti, senza pensare che la mafia sia qualcosa di lontano, appartenente ad un'altra realtà rispetto a quella in cui viviamo.
E per l'appunto, proprio oggi, la relazione al Parlamento della Dia (Direzione investigativa antimafia) relativa al primo semestre dell'anno in corso segnala la "consolidata presenza" in alcune aree lombarde di "sodali di storiche famiglie di ’ndrangheta" in grado di influenzare "la vita economica, sociale e politica di quei luoghi". Si sottolinea inoltre il "coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede ad impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l’assegnazione di appalti ed assestato oblique vicende amministrative". La Dia punta l'attenzione su come le cosche penetrano nel tessuto sociale: esse si muovono seguendo due filoni, "quello del consenso e quello dell’assoggettamento", in modo tale che "da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall’altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici", strategia - questa - favorita da "fattori ambientali"; così riesce a consolidarsi la "mafia imprenditrice calabrese" che con "propri e sfuggenti cartelli d’imprese" si infiltra nel "sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell’edilizia privata" come il "multiforme compartimento che provvede alle cosiddette opere di urbanizzazione". Questo è il quadro terribile della 'ndrangheta al nord, un quadro sconosciuto ai più perché, come ricorda anche Saviano, "non si sente parlare delle organizzazioni qui, non si ha voglia".
Auspico che la querelle tra Saviano e Maroni possa concludersi al più presto, con una replica di Maroni, come è giusto che sia, evitando che il monologo televisivo diventi inquisizione. Tutti insieme, invece, dobbiamo continuare ancora e sempre di più a parlare di tutte le mafie per farle conoscere: solo così si indeboliranno e, magari un giorno, saranno sconfitte.

mercoledì 10 novembre 2010

POMPEI SI SBRICIOLA

Pompei città storica, famosa in tutto il mondo per la tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che l'ha sommersa e che tuttavia ci ha permesso di conservarla fino ai giorni nostri, consacrandola come una delle più grandi aree archeologiche del mondo. Eppure, anno dopo anno, gli scavi vanno sgretolandosi, le infiltrazioni d'acqua mangiano letteralmente le costruzioni, le coperture che sono state pensate ma mai messe in opera: un patrimonio di enorme valore che viene dilapidato di minuto in minuto. Il quale, quasi a richiamare l'attenzione, decide di "urlare" e mostra a tutto il mondo che la Casa dei Gladiatori non reggeva più ed è crollata: un monito per attirare gli occhi su un problema trascurato da decenni. Mi sembra di rivedere alcune foto relative al sisma che nel 1980 ha investito l'Irpinia e che aveva colpito parzialmente anche gli scavi romani di Pompei: situazione simile sotto tutti i punti di vista, l'incuria sembra regnare sovrana con il disinteresse di chi deve vegliare.
Tutto questo non è accettabile, specie in un Paese come l'Italia che da questi patrimoni incommensurabili deve trarre grande beneficio per il turismo: non è possibile che i visitatori annuali siano solo tre milioni, la metà rispetto a quelli che afferiscono al Beaubourg di Parigi che certamente non vanta la storia degli scavi pompeiani; non è possibile accogliere turisti se non si dispone di parcheggi, di servizi di accoglienza, di strutture ricettive; non è possibile che la Soprintendenza abbia tenuto in cassa ottanta milioni senza utilizzarli e senza sapere come spendere i fondi che verranno riversati su Pompei; non è possibile che un luogo così unico e così speciale sia in perdita se si considera che dei ventidue milioni di euro di incasso annuale, sette vengono utilizzati per la manutenzione e il restauro e diciotto per la retribuzione del personale, che appare anche essere sotto organico; non è possibile che le lungaggini burocratiche e le lotte per i posti di comando siano di intralcio alla conservazione di questo tesoro; non è possibile che il Ministro dei Beni Culturali affermi di non avere responsabilità quando il commissariamento è stato affidato a persone di sua fiducia; nulla di ciò è possibile, né immaginabile, sebbene sia tutto reale. Fiumi di soldi che transitano e che vengono mal spesi o nascosti per una non ben nota ragione; una gestione non all'altezza della situazione; un ministro che brancola nel buio.
Questa è l'Italia che tiene al patrimonio della sua storia e che vuole continuare ad essere meta di turisti da tutto il mondo: non ci resta che piangere.

martedì 9 novembre 2010

WEEKEND POLITICO

Ci siamo lasciati alle spalle un weekend denso di avvenimenti politici e qualche strascico è ancora sotto i nostri occhi. Tre diversi eventi, tre diversi messaggi, tre diverse impostazioni: insomma, tre spunti di discussione pronti a guidare - si spera - il prossimo dibattito politico.
Iniziamo da Gianfranco Fini, che dalla convention di Bastia Umbra prepara il lancio ufficiale del nuovo partito Futuro e Libertà e per il momento lancia il Manifesto per l'Italia, letto da Luca Barbareschi con il supporto di alcune immagini della nostra Italia e delle musiche di Ennio Morricone. Si è trattato di una kermesse che ha visto una grande partecipazione e da cui è uscita fuori un'idea abbastanza precisa di quello che vorrà essere Fli: una forza che rappresenti il centrodestra italiano, inserendosi nel solco del popolarismo europeo, con un bagaglio di principi e valori sui quali Fini, pur ricordandoli, è stato un po' generico e poco solido. Visti i tempi, si può dire che le idee ci sono, dovranno poi essere sostanziate dai fatti che diranno in maniera inequivocabile se quei principi e quei valori sbandierati ieri sono veri e genuini o semplicemente uno specchietto per le allodole. Tuttavia, Fini non è riuscito a scaldarmi il cuore: certamente, è un grande oratore, un grande trascinatore, capace di trascinare la platea e renderla partecipe del grande cambiamento in atto, sicuramente il gesto di abbandonare la barca del Pdl è stato coraggioso ed ambizioso è il progetto di Fli. Ma troppi sono i punti controversi del personaggio: è passato all'azione troppo tardi, per troppo tempo ha soggiaciuto agli schemi berlusconiani senza troppi strepitii, speranzoso che un giorno il delfino sarebbe diventato il capo. Ma, uno come lui, avrebbe dovuto capirlo prima che gli spazi di manovra erano risicatissimi e che bisognava lasciare la baracca, senza neanche impegnarsi in un ennesimo progetto di impronta berlusconiana come il Popolo delle Libertà. Quello di Fini con la nascita di Fli pare più un colpo d'ali, giunto sull'onda della disperazione alla ricerca di uno spazio vitale, che arriva con enorme e colpevole ritardo. E poi, Fini abbandona Berlusconi anche per via del troppo personalismo che lo stesso incarnava nel suo partito e nel simbolo di Fli la prima cosa che salta all'occhio è il nome FINI: c'è qualcosa che non torna... E poi, perché non dare la sfiducia in Parlamento al governo e ritirare i ministri piuttosto che gettare il sasso e nascondere la mano chiedendo a Berlusconi di dichiarare la crisi, così da ributtare la palla nel campo del premier e non portare avanti lo strappo fino in fondo?
Passando a Firenze, Matteo Renzi e Pippo Civati hanno organizzato una manifestazione giovane, fresca, essenziale e nuova per rottamare il vecchio: tra keyword, limite di cinque minuti per ogni oratore e relativo gong finale, lettura dei messaggi sulla pagina di Facebook e il diluvio di video citazioni, i due hanno saputo dare una ventata di freschezza e di novità in un centrosinistra paralizzato. L'animo di Renzi e Civati pare essere veramente quello di smuovere le coscienze, risvegliarle dal torpore che la vecchiaia può portare, ravvivare il dibattito in un Pd che appare inchiodato, bene o male, ai vecchi schemi. A conferma di ciò, mentre a Firenze si discuteva, da Roma, come "saluto" sono arrivati fischi: questo dà la misura di quanto i vecchi temono la rottamazione...
Giungiamo a Roma, dove un noioso Bersani decide di convocare, casualmente, l'assemblea dei circoli del Pd proprio nel weekend in cui Renzi aveva già da tempo fissato la riunione dei rottamatori. A calcare questo aspetto e a rendere manifesto quanto democratico sia il partito, da Roma partono fischi in direzione di Firenze, che risponde con un abbraccio. E poi, una litania, a ripetere sempre i medesimi incoraggiamenti con quel linguaggio scarno e scoordinato da bar sport, sapientemente coordinato con le maniche della camicia rimboccate per un futuro (idealmente) migliore. Bersani, basta, queste formule non funzionano, bisogna andare oltre, a Firenze non hanno usato, se non una volta, la parola "compagno": significherà qualcosa? Perché non andare a Firenze? Quale timore per un evento in cui sarebbe stato accolto con amicizia? Quale freno ad andare a parlare con Renzi e Civati dei temi d'attualità?
Ciascuno di questi tre eventi ha portato utili spunti: Fini dovrà proseguire, comunque, nel solco che ha tracciato; Renzi e Civati dovranno continuare a pungolare il Pd per mantenere la barra dritta sull'argomento "rottamazione"; Bersani dovrà riordinare le idee e accogliere i validi spunti che ha intorno a sé per invertire la rotta del Pd. Non ci resta che attendere.

sabato 6 novembre 2010

INTRIGO INTERNAZIONALE


Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire

Giovanni Fasanella, Rosario Priore

Chiarelettere

€ 14

Come ha già mostrato di saper fare, Giovanni Fasanella, con la pazienza e la curiosità del giornalista, torna a scavare nella storia del nostro Paese, che a tutt'oggi ha ancora tanti - forse troppi? - punti oscuri e cerca di restituirci un quadro più ricco di particolari al fine di cercare di chiarire, almeno parzialmente, gli ultimi trent'anni di storia, gli anni del terrorismo e della violenza politica, con centinaia di morti e migliaia di feriti. Per muoversi tra le vicende chiave, Fasanella si fa guidare da Rosario Priore, magistrato per oltre trent'anni che si è occupato dei principali fatti di violenza e terrorismo come il caso Moro, Ustica, il tentato omicidio di Giovanni Paolo II ed altri casi di eversione rossa e nera. Il risultato è un interessantissimo e profondo viaggio attraverso alcuni misteri e alcuni passaggi non noti, che il giudice Priore racconta nel corso della conversazione con Fasanella. "Ci sono verità che non ho mai potuto dire... Avrebbero potuto avere effetti destabilizzanti sugli equilibri interni e internazionali." Così recita la quarta di copertina, tanto per capirci.
Il giudice Priore parte da una considerazione iniziale, nel primo capitolo: nel nostro Paese l'asprezza di conflitti politici, sindacali e sociali è spesso coincisa con la violenza, per "un vizio tutto italiano, una sorta di incapacità ad accettare l'altro, a riconoscere il diritto dell'altro all'esistenza." Un problema che ha origini antiche e che si è acuito nel XX secolo, con la guerra fredda, quando la "nostra situazione di paese di frontiera" ci ha costretto a subire gli scontri dei due blocchi. Il viaggio continua indagando i rapporti tra Francia, Inghilterra, Italia e Gheddafi: ricostruire il perché dell'importanza di ritrovare un ruolo nel Mediterraneo colonizzato da Francia ed Inghilterra e della centralità delle amicizie con la Libia e i paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo. Interessante è anche il capitolo che riguarda il filoarabismo italiano e il conflitto con Israele, che discende direttamente dalle considerazioni suesposte: ritrovare un ruolo da protagonisti nel Mediterraneo. Dall’altra parte la Cecoslovacchia come terra d'asilo, la Germania comunista con la sua preziosa rete di relazioni e la Stasi quale servizio segreto di alto livello giocavano ad alimentare il terrorismo. Ustica, Piazza Fontana, il caso Moro, la strage di Bologna, i rapporti internazionali delle Br, il centro parigino di Hyperion vanno collocati in questo contesto internazionale.
Un libro per aiutare a capire, con alcuni importanti elementi, qualcosa di più riguardo i momenti tristi e i punti oscuri della nostra storia, per cercare di far luce dove il buio copre ancora l'indicibile.

lunedì 1 novembre 2010

ANDY WAHROL A CARBONARA SCRIVIA





A Carbonara Scrivia, presso l'antica torre del Dongione, si è appena conclusa un'interessante mostra su Andy Wahrol, uno dei rappresentanti più singolari della Pop Art, promossa dal comune di Carbonara Scrivia con il patrocinio della Provincia di Alessandria e della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona e con la collaborazione della locale Pro Loco e della Galleria Palmieri di Busto Arsizio. Verrebbe da definirla una mostra di nicchia per le opere esposte, in tutto ventisei, realizzate con la tecnica della serigrafia e in alcuni casi con interventi pittorici su diversi supporti (carta, tela, cotone), tra le quali si ritrovano icone simbolo, ritratti di personaggi, progetti, cover di dischi, t-shirt, lavori ispirati dalle fiabe di Hans Christian Andersen e altre opere meno conosciute di Wahrol ma meritevoli di essere ammirate.
La mostra nasce dall'attenzione dedicatale da un cittadino di Carbonara, che l'ha ammirata presso la Galleria Palmieri di Busto Arsizio, cui è stato chiesto di portarla anche nel paese alessandrino e di curarne l’allestimento. A colpire il gallerista è stato il luogo dove è stata proposta la mostra: la contrapposizione venutasi a creare tra lo stile del torrione del Dongione e la creatività del poliedrico Wahrol. Vi posso assicurare che il risultato, come è possibile giudicare anche dalle foto, è ottimo, con queste opere singolari che riempiono le pareti di mattoncini del torrione a creare un netto contrasto tra passato e presente, tra ordine e disordine.





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