martedì 31 marzo 2009

ANTONIO CAPRARICA AL COLLEGIO NUOVO DI PAVIA

Lunedì 30 marzo 2009, il Collegio Nuovo ha ospitato Antonio Caprarica: il direttore dei Giornali Radio RAI e di RadioUno è tornato a Pavia, con piacere - come lui stesso ha sottolineato - per presentare il suo ultimo libro: “Gli italiani la sanno lunga … O no!? - Chi siamo e perché parliamo tanto male di noi”.


Ad accoglierlo nella sala del collegio una platea abbastanza affollata, composta per lo più da giovani, che gli ha riservato un caloroso applauso di benvenuto.
Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, il giornalista è partito con il suo discorso, all'interno del quale ha toccato i punti forti del libro.
L'esordio è stato chiarificatore: il libro non appartiene alla "letteratura castale", quella cioè in cui si critica una casta, ritenendola totalmente staccata dal popolo cui appartiene e ignorando che invece essa riflette, almeno in parte, i suoi vizi e le sue virtù. Ha ribadito che non è un libro di "denuncia", come tanti altri sullo stesso tema; vuole solo fornire uno "specchio" agli Italiani per consentire loro di guardarsi e di rendersi conto di come sono, "per aiutarci a conoscerci meglio", "capire cosa c'è di vero e di falso negli stereotipi" (dei quali Caprarica riconosce onestamente i limiti).
E' passato, quindi, a spiegare il titolo, che è anche il leitmotiv intorno cui ruota il libro: la "furbizia", il "gusto a irridere lo sconfitto" sono tratti caratteristici degli Italiani. "Saperla lunga vuol dire saperla giusta?", si è chiesto Caprarica stesso; forse no, forse sì, forse molte volte non ce lo chiediamo neanche, tanta è la nostra convinzione di presunzione. E' bene ricordare, però, che "siamo furbi" perchè nel corso dei secoli non abbiamo mai avuto delle istituzioni, se non quelle degli occupanti: "lo Stato, le leggi che creano la regola" in altri Paesi per noi, invece, erano un nemico contro cui lottare. Basti pensare che in Inghilterra, in cui regna sovrana la "rule of law", fin dal XIII secolo esisteva un documento importantissimo come la Magna Charta Libertatum. Il problema è che oggi questa furbizia è esclusivamente rivolta contro noi stessi, dal momento che non ci sono più gli occupanti. Con gli effetti che tutti conosciamo e possiamo toccare con mano. Al punto che siamo così "generosi col perdonarci i nostri difetti" per i quali - tendenza, anche questa, tutta italiana - molto spesso ci autodenigriamo.
Un altro aspetto tutto italiano, analizzato saggiamente da Caprarica, è che "siamo profondamente attaccati alle nostre radici", "profondamente conservatori"; pensiamo alla famiglia, che per secoli ha rappresentato un "effettivo motore di promozione sociale" nei confronti dello Stato nemico. Tanto che oggi essa resta, per molti, un tabù e si assiste a comportamenti spiritosi e contemporaneamente ottusi: come quello per cui la mamma, con grande sollecitudine, fa di tutto perchè il figlio non si allontani da casa, anzi abiti il più vicino a lei, tanto per citare un esempio. Questo, come ha affermato il giornalista e come hanno rilevato alcuni studiosi, ha certamente bloccato "l'ascensore sociale", ha, in un certo modo, tarpato le ali e bocciato le aspettative di tanti giovani che pensavano ad un altro futuro.

Si è trattato, come avete potuto desumere, di una chiacchierata piacevole e stimolante, saggiamente guidata dall'oratore, che ha mostrato di conoscere la vicenda di cui ha parlato nel libro, ricorrendo spesso a richiami della nostra storia passata e di aneddoti di oggi, utili ad esemplificare alcune situazioni chiave. Così come è stato interessante ascoltare le sue risposte in merito ad alcune domande del pubblico.
Sulla radio, per esempio, che egli ha cominciato a fare da circa tre anni, della quale ha parlato molto bene, definendola "agorà moderna", dal momento che il dialogo è assolutamente diretto e le notizie, le testimonianze e qualsiasi altro tipo di espressione arriva prima rispetto alla televisione o al giornale.
Una domanda ha riguardato la multimedialità nell'informazione: pur se dispiaciuto del fatto che i ruoli precedentemente esistenti all'interno di un giornale, della televisione, ecc. oggi sono invece spesso ricoperti da una sola persona, ha riconosciuto comunque la necessità di adeguarsi ai tempi e pertanto seguire questa impostazione.
Infine alla richiesta di come vengono visti gli Italiani all'estero, ha risposto dicendo che l'italiano, in generale", viene immaginato come "uno che sa godersi la vita" (le famose quattro F inglesi: food, fashion, football, Ferrari), "la sa lunga", ha una qualità di vita superiore a quella di molti altri Paesi occidentali. In particolare l'Italiano all'estero dà per lo più mostra della sua intelligenza, della sua imprenditorialità. Tanto che "Londra è piena di Italiani che hanno avuto successo", così come in molte multinazionali gli Italiani hanno sempre avuto posti di vertice. Per quanto riguarda, invece, "l'Italia come collettività e istituzione", ha ammesso che, in effetti, gli stranieri si fidano di meno, per via di molti luoghi comuni e stereotipi, spesso errati, che però appartengono al pensiero comune.

La leggenda, o forse la retorica, vuole gli italiani "brava gente": accoglienti e generosi, poveri ma belli, gaglioffi ma simpatici, ricchi di inventiva e maestri nell'arte di vivere e amare. Una tradizione sostenuta anche da connazionali illustri li dipinge invece furbi, cinici e conformisti, insofferenti alle regole e privi di senso civico.

Chi siamo dunque noi italiani? È possibile tracciare un profilo veritiero, che eviti la trappola del moralismo come l'esercizio, così diffuso, dell'autodenigrazione? Antonio Caprarica ha voluto provarci in questo volume, sottoponendosi di buon grado alla pratica dell'autocoscienza, osservando il Bel Paese quanto più spassionatamente possibile e dalle più diverse prospettive.

Ecco dunque la lotta politica del Nord contro il Mezzogiorno e il federalismo gastronomico, con la pacifica convivenza delle straordinarie cucine regionali; la persistente fedeltà nei confronti della famiglia, fonte, da oltre cinquecento anni, non solo di stabili affetti, ma, se appena si può, di prebende e sinecure, cattedre universitarie, alloggi e impieghi; la scomparsa dei grandi imprenditori e il diffondersi dei "capitalisti di papà", con le loro piccole aziende controllate dalla parentela; il culto della bellezza e l'indifferenza per gli scempi ambientali; la maleducazione imperante dalla strada al Parlamento.

domenica 29 marzo 2009

ROBERTO SAVIANO A "CHE TEMPO CHE FA"

E' stata una grande puntata quella di "Che tempo che fa": mercoledì 25 marzo ospite della trasmissione è stato Roberto Saviano, autore del best seller "Gomorra". Due ore intense e spesso toccanti, mettendo di nuovo l'accento su alcuni aspetti della camorra e del suo rapporto con l'informazione.


Perchè è stata l'informazione il fulcro intorno al quale è ruotata tutta la puntata: come la stampa locale campana tratta della cronaca inerente i fatti di camorra.
Saviano più volte ha detto di essersi raggelato, essersi rabbrividito, aver provato paura dinanzi a molti titoli, in cui si calcava sempre la mano sulla figura del boss di cui si parlava nell'articolo. Ciò che era importante passasse al lettore era il dispiacere per la morte di un parente del boss o per l'arresto di un capo; non i morti ammazzati dalla camorra o per un regolamento di conto o per sbaglio - perchè spesso così capita se si è nel posto sbagliato nel momento sbagliato. La stampa locale, e ancor meno quella nazionale, non ci hanno fatto sapere nulla del carabiniere Nuvoletta, autore dell'uccisione di un nipote di Francesco Schiavone detto "Sandokan", oppure di don Peppe Diana, ucciso perchè affermava che non si poteva continuare a fare il prete senza parlare. Tra l'altro la sua storia è ancor più agghiacciante: non solo è stato ucciso durante lo svolgimento di una funzione, ma dopo la sua morte è iniziata una pesante diffamazione al fine di far dimenticare al più presto la sua figura, che evidentemente aveva smosso qualcosa.
Ciò che più impressiona noi che non viviamo direttamente quella situazione è anche il tipo di notizie che vengono diffuse: i giornali sono dei bollettini di guerra, non una guerra finta, ma una guerra vera, a colpi di pallottole. E in parte a colpi di menzogne: perchè, lo spiega bene Saviano, la camorra non uccide solo con le armi da fuoco, la camorra uccide con la diffamazione, uccide annullando la dignità di una persona.

E ferisce ascoltare il filmato mandato in onda durante la conversazione tra Fazio e Saviano: sentir dire da ragazzini che il libro di Saviano è da bruciare, è una favola, è stato scritto perchè forse gli hanno violentato la moglie, la sorella o la fidanzata, che prima dell'uscita di "Gomorra", con la camorra, si stava bene, tutto filava liscio. Ascoltare il padre di Sandokan affermare che "i veri uomini sono loro", i camorristi. Leggere su una panchina "Saviamo merda".


Toccante, molto toccante, il racconto della vita di Saviano: una vita completamente blindata, in cui ogni movimento è calcolato fino all'ultimo particolare, una "non vita", in cui gli amici di una volta non si fanno più sentre e in cui è sempre presente l'ossessione per ciò che Saviano racconta, quasi da esserne prigioniero. Amando profondamente questa missione che lo scrittore stesso ammette di essersi dato: egli vuole essere "un'operazione mediatica", vuole che il suo libro sia letto, vuole che i fatti da lui raccontati emergano e facciano presa sul pubblico. Ed è questo, infatti, il motivo per cui la camorra gli ha inviato l'avviso di morte: Saviano sarebbe stato relativamente tranquillo se il suo libro avesse venduto pochissime copie, se fosse rimasto un libro qualunque. Invece, dal momento in cui è uscito è sempre rimasto in testa alle classifiche ed è stato tradotto in più di 50 paesi: parliamo di due milioni e mezzo di copie vendute!

Qui sotto potrete vedere gli spezzoni del monologo.







sabato 28 marzo 2009

IL CONGRESSO DEL PDL


Si è aperto venerdì a Roma il congresso fondativo del Pdl. Ieri ha parlato Silvio Berlusconi, oggi è toccato ai vari ministri e ai presidenti di Camera e Senato.
Un congresso dai grandi numeri, con tutti i partiti che vi confluiscono radunati alla fiera di Roma. Ma un congresso particolare, assolutamente sui generis: si sta celebrando la nascita di un partito deciso, in buona sostanza, dal presidente del Consiglio, il quale si è anche autonominato leader indiscusso dello stesso. Un congresso, perciò, in cui io vedo un deficit di democrazia, in cui i delegati fanno presenza, ma non devono eleggere nessuno perchè tutto è già deciso.
Normalmente i partiti sono convocati a congresso nel momento in cui si deve discutere di grandi temi o si deve scegliere il nuovo segretario: sulla base degli interventi e delle mozioni congressuali, si tirano le fila e si elegge il leader. Mentre per il Pdl non vedremo niente di tutto questo. E ritengo sia un'anomalia da correggere per un partito che ha nel suo nome il sostantivo "libertà" e che si propone di parlare al Paese perchè i cittadini, tramite i delegati, devono poter dire la loro al partito in cui si riconoscono e per cui votano.

Un discorso a parte merita Fini: oggi, sentendolo parlare, ho provato imbarazzo al posto suo per il ricordo di ciò che ha dichiarato. Leggete e comprenderete.

10 luglio 2007

«Spero che sia per tutti chiaro che, almeno per me, non esiste alcuna possibilità che Alleanza nazionale si sciolga e confluisca nel nuovo partito di Berlusconi, del quale non si capiscono valori, programmi, classe dirigente. Non ci interessa la prospettiva di entrare in un indistinto partito delle libertà».
«Lui che adesso accetta di discutere sulla legge elettorale, ci ha risposto senza rispetto e quasi sfidando il ridicolo ci ha detto "ho fondato il Pdl, scioglietevi, bussate, venite e vi sarà aperto...". Comportarsi in questo modo non ha a che fare con il teatrino della politica, significa essere alle comiche finali».

domenica 22 marzo 2009

AN SI SCIOGLIE


"Anche oggi c'è pathos, ma è diverso da Fiuggi. Oggi non ci tocca esaminare nulla della nostra identità per vedere quale parte lasciare e quale traghettare nel Pdl. An entrerà nel Pdl con tutta la sua identità e tutta la sua storia". Così ha detto ieri La Russa, il reggente di An che ha traghettato il partito nel Pdl.

Spero vivamente che An entri con tutta la sua identità dentro il nuovo partito, che sappia ritagliarsi più spazio di quello che gli tocca da copione, che faccia sentire ancora la sua voce su alcuni valori della destra, sebbene, come tutti abbiamo percepito, in questi anni quei valori sono stati in parte annacquati da alcune prese di posizione, non solo del leader Gianfranco Fini, al fine di guadagnarsi un posto di rilievo tra i partiti dell'arco costituzionale italiano ed europeo. Non poche sono le critiche che, giustamente, sono state rivolte ad An che, se non è cresciuta granchè nei risultati elettorali di questi ultimi anni, è perchè in parte ha abbandonato la difesa di alcuni paletti che da Fiuggi in poi l'avevano connotata come il partito di destra in Italia.

Spero che i vecchi colonnelli di An sappiano piantare delle forti radici nel Pdl per poter vedere rappresentati le idee della destra: la patria, l'interesse nazionale, la difesa della tradizione. Perchè, senza questi, nel mondo di oggi, il rischio della deriva dei valori civili fondanti una società democratica è forte. E solo la destra, quella vera, però, può difenderli.

venerdì 20 marzo 2009

MOVIMENTI SOSPETTI


Apprendo, con grande sorpresa dai giornali, che l'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris sarà candidato come indipendente con l'Italia dei Valori alle prossime elezioni europee del 6 e 7 giugno. E con la stessa sorpresa apprendo che anche Carlo Vulpio, giornalista del Corsera, per il quale si era occupato delle inchieste Why Not, Poseidone e Toghe Lucane, anch'egli come indipendente, sarà candidato per il Parlamento europeo.
Rimango sgomento dinanzi a queste notizie: si badi bene, non perchè siano gravi in sè, ma perchè alimentano quel (mal)costume, di cui gli Italiani sono tra i più fieri rappresentanti, in base al quale alcune persone, dopo la notorietà mediatica meritata per qualche particolare evento, fanno il grande salto dall'attività precedentemente svolta in politica. Lasciando un dubbio sul fine che li ha spinti al gesto: un impegno profondo per una causa in cui fortemente credono oppure un mero interesse pecuniario?

Il fatto appare tanto più grave quando ad essere coinvolti sono magistrati, coloro che dovrebbero essere «la bocca che pronuncia le parole della legge». Ancor più quando gli stessi, una volta portata a termine l'esperienza legislativa e messo da parte un sostanzioso vitalizio, decidono di ritornare all'ovile (come ricordava ieri Ostellino sul Corriere i casi sono tanti). La Costituzione, che viene tante volte tirata in ballo, afferma solennemente la spartizione dei tre poteri: in casi come quelli sopra ricordati, invece, si fa finta di niente...

Con quanto sopra detto, non voglio assolutamente criminalizzare nessuno, ma solamente sottolineare che talvolta sono dubbi alcuni percorsi: ritengo, cioè, che se si crede in un ideale, in un fine particolare si cerca di portarlo il più avanti possibile, senza prendere la strada della politica, che, per antonomasia, è fatta di compromessi (spesso al ribasso), senza contare il rischio di "dimenticarsi" della causa per cui un tempo si è combattuto.

sabato 7 marzo 2009

UN ENFANT PRODIGE

Jonathan Krohn, da Atlanta, l’anno scorso ha scritto un libro, «Define Conservatism», in cui ha voluto puntualizzare le linee-guida della dottrina conservatrice di fronte allo smarrimento e al disinteresse per la stessa notata durante la campagna elettorale, dominata dal nuovo vento progressista obamiano. Il 27 febbraio è intervenuto al Cpac (Conservative political action commettee) e ha suscitato un grande interesse nell'assemblea nel corso dei tre minuti di discorso in cui ha esposto i quattro fondamenti del pensiero conservatore “secondo Krohn”: rispetto per la Costituzione, difesa della vita, intervento governativo limitato all’essenziale (lasciando il più libera possibile l'iniziativa personale) e responsabilità personale.
E perchè ha avuto così tanto successo? Facile: voce potente, eloquio incalzante e gestualità da oratore navigato.




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