domenica 31 maggio 2009

FIAT SENZA OPEL

Premetto che non ho seguito fin nei minimi particolari la questione Fiat-Opel per mancanza di conoscenze tecniche in merito. Ma sono rimasto certamente dispiaciuto dall'esito della trattativa, alla fine della quale Opel passa al gruppo austro-russo-canadese Magna in cordata con la banca russa di Stato Sberbank.
Ma tenterei di analizzare la questione da un mio personale punto di vista per evidenziare quelle che, a me, paiono delle ambiguità o, per lo meno, delle situazioni dai contorni incerti.

Innanzitutto il dispiacere per la fine, a noi sfavorevole, della trattativa non deve attanagliarci più di tanto. Perchè, come dice Romano sul Corriere, "il «tedesco», in questa faccenda, è stato Marchionne", il quale ha messo sul piatto un piano industriale, conforme sia alle regole aziendali sia al rigore economico, ignorato per interferenze politiche. E conferma di questa tradizione viene anche da Oddone Camerana, il quale conosce la Fiat dall'interno e conferma che "Marchionne agisce, forse senza saperlo, nel solco della tradizione Fiat. Da sempre la Fiat si muove all'estero non con operazioni finanziarie, ma con operazioni industriali, non con acquisizioni onerose e rischiose ma con partnership in cui immette tecnologie e saperi". Nessun dubbio, direi, sulla ottima prova dell'ad Marchionne, che ha sfoderato capacità da grande manager.

E allora perchè la Fiat ha perso Opel? Semplicemente perchè la cancelliera Merkel ha accettato un accordo al ribasso. Vale a dire che ha preferito la soluzio­ne che permette, nel breve termi­ne, il mantenimento degli organi­ci delle ditte praticamente fallite, senza voler affrontare il problema delle dimensioni dell'azienda nel mondo e senza pensare se il futuro della stessa sarebbe stato più roseo nel caso in cui avesse accettato la proposta di Marchionne. e senza voler disturbare Volkswagen, la quale evidentemente avrebbe sofferto con il rafforzamento di Fiat. Intendiamoci bene: la prassi di scegliere sempre le soluzioni più semplici, che poi si rivelano anche le meno adatte, è comune, non solo in Germania (e noi in Italia lo sappiamo bene). Ma non dimentichiamoci che, come sostiene anche il ministro dell'Economia tedesco zu Guttenberg, l'accordo trovato con Magna potrebbe essere rischioso per il contribuente tedesco, dal momento che Berlino fornirà alla nuova Opel almeno sei miliardi di euro in garanzie, mentre l'accordo non comporta alcun rischio economico per i compratori.

Dinanzi a questo scenario, qual è stata la reazione dell'opposizione italiana? Critica serrata, manco a dirlo: con la campagna elettorale che giunge al termine, il fallimento dell'accordo Fiat-Opel è manna dal cielo. Perchè - dice Franceschini - si tratta di "un'occasione perduta", "altri governi si sono impegnati in modo molto determinato per sostenere le loro imprese, dalle nostre parti c'è stata un po' di distrazione". Mentre D'Alema insinua che il premier è troppo occupato dal gossip per occuparsi dell'industria dell'automobile.
Ma ci siamo chiesti veramente cosa poteva fare il Governo? Io direi che ha seguito la vicenda, ma non ha mai ceduto - questo è importantissimo da sottolineare - "a tentazioni stataliste e protezionistiche", con tutti i rischi che esse portano con sé. Questo è quello che doveva fare e ha fatto il Governo: sostenere un'azienda italiana nel corso di un'importante trattativa internazionale, senza far mai adombrare il dubbio di un aiuto da parte dello Stato. Altrimenti: addio libero mercato.
Aggiunge il ministro Tremonti: "Che cosa avrebbe significato fare di più? Fare più debito pubblico e aumentare le tasse per ha di meno? No grazie". Anche perchè "prima della crisi i governi stavano fuori dai giochi mentre adesso si occupano di tutto". Ovvero, la Fiat ha presentato un piano industriale e su quello pensava di ragionare. Mentre la politica è entrata a gamba tesa - basti pensare alla telefonata tra Obama e la Merkel, pensando che gli USA hanno finanziato GM e la Germania si appresta a concedere ad Opel un finanziamento-ponte di 1,5 miliardi.

Questo è il succo della questione: se la politica entra nelle questioni strettamente economiche, finisce spesso per provocare danni o quanto meno inficiare il dialogo tra le parti, in positivo per l'una e in negativo per l'altra.

giovedì 28 maggio 2009

IL BARCELLONA CONQUISTA L'EUROPA



Mi fa strano dirlo perchè i cugini spagnoli ultimamente ci hanno superato spesso in campo sportivo. Ma sono veramente contento della vittoria del Barcellona sul Manchester United. Una finale di Champions League veramente elettrizzante giocata in uno Stadio Olimpico simile ad una bolgia e curato in ogni minimo particolare: un ottimo palcoscenico per accogliere una partita - una finale, per di più - che non esiterei a definire stellare, tali e tante era le punte di diamante sfoggiate dai due club.

L'inizio della gara è segnato dal predominio degli Inglesi, che vanno vicino al gol più volte, sebbene sembrino particolarmente timidi sotto porta; mentre gli spagnoli soffrono il predominio di Ronaldo e dei suoi compagni. E' proprio Ronaldo che impegna Valdes con una punizione di ottima fattura: una palla velenosa che rimbalza dinanzi al portiere e viene spazzata da Piquè. Ma poi è il Barcellona che mette la testa fuori e comincia a macinare gioco, instaurando lentamente un inesorabile predominio che segnerà il leitmotiv della partita. La palla gira senza problemi, anche negli spazi stretti, vengono costruite varie azioni, non tutte ben finalizzate. Ma al 10’ Eto’o riceve palla sulla destra, salta Vidic e sorprende un colpevole Van der Sar sul suo palo: è 1 a 0. La morsa del gioco catalano si fa asfissiante per tutto il primo tempo. E continua nel secondo, anch'esso ricco di occasioni da rete: Henry costringe Van der Sar alla parata di piede e poi una punizione guadagnata dallo straordinario Iniesta e calciata da Xavi finisce sul palo. Ma non è tutto.
Messi, sempre tenuto d'occhio e spesso fermato fallosamente, mette il sigillo alla partita, anche se in maniera insolita. Il giocatore argentino insacca di testa il cross ottimamente pennellato dal compagno Xavi e fa 2 a 0. Partita chiusa, con il Barcellona che non aspetta altro che il fischio dell'arbitro per dare il via ai festeggiamenti.

Non c'è nient'altro da dire: i Catalani sono stati sempre i più pimpanti e i più tonici, hanno sempre tenuto il pallino del gioco, mentre il Manchester ha sofferto per tutto il match, sebbene abbia sfiorato il gol in più occasioni. E quindi grande merito a Guardiola (che ha dedicato la vittoria a Maldini) e a tutto il Barcellona per una Champions League ampiamente meritata.

lunedì 25 maggio 2009

LEGGERE. PERCHE' I LIBRI CI RENDONO MIGLIORI, PIU' ALLEGRI E PIU' LIBERI



LEGGERE.
Perchè i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi

Corrado Augias

Mondadori

€ 12

Non mi soffermerò molto sulla recensione del libro di Augias. Semplicemente perchè non voglio sottrarvi alcuna emozione quando lo leggerete. Per chi ama la lettura, questo breve scritto racchiude una buona parte di quei mille pensieri che passano per la testa quando stiamo leggendo.

Corrado Augias si chiede che cosa significhi "leggere": lo fa attraverso un racconto autobiografico che parte dalle prime emozioni che, da studente liceale, hanno suscitato in lui grandi classici come I Sepolcri di Foscolo, Guerra e pace di Tolstoj o I miserabili di Hugo. Oppure libri proibiti come L'amante di Lady Chatterley. Ma non solo: tanti altri sono gli autori di ieri e di oggi che egli ama e ha amato, da Wallace a Maupassant, da Dante a Saffo e molti altri.
Insomma, un libro che non esiterei a definire stimolante sul piacere insostituibile della lettura, sulla sua capacità di aiutarci a conoscerci e conoscere il mondo intorno a noi, a crescere, a diventare più liberi e molto spesso - parlo anche per esperienza personale - più allegri.

Ecco un piccolo assaggio del libro:

«La vita contemporanea, all'apparenza così piena di luce (in tutti i sensi), contiene in realtà vaste zone d'ombra, dove solo la letteratura e le arti sono in grado di penetrare; sicuramente non riusciranno a illuminarla per intero, tanto meno potranno cambiarne il connotato, ma possono aiutarci a percepirne l'estensione e la complessità , il che sarebbe già un risultato notevole»

domenica 24 maggio 2009

ED ECCO LA SECONDA EDIZIONE DEL MONTAGUTO TG

Dopo quanto espresso nel precedente post Un tesoro chiamato dialetto, torno a parlarvi degli amici della Midramax che curano il sito Montaguto.com.

E' finalmente on line la seconda edizione del MontagutoTg, in cui si parla del terremoto d'Abruzzo, di due progetti in cantiere con Orsara di Puglia, delle prossime elezioni comunali e tanto altro. Il protagonista è sempre il dialetto: Mario Iagulli, l'anchorman, presenta le notizie, mentre i testi dei servizi sono curati da Michele Pilla, Massimo Di Pasquale si occupa della fotografia e Antonio Ricci delle riprese e del montaggio.

Ancora tantissimi complimenti per un'idea che ha avuto grande risalto sugli organi d'informazione locali e grande seguito sul web!



venerdì 22 maggio 2009

VIAGGIO NELLA BORGHESIA CRIMINALE

Nella splendida cornice dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia, Luca Tescaroli, magistrato presso la Procura della Repubblica di Roma e in passato pm nel processo per la strage di Capaci, ha presentato tre giorni fa il suo libro Colletti sporchi, scritto assieme al giornalista Ferruccio Pinotti. A discuterne con lui c'erano Piercamillo Davigo, consigliere presso la Corte di Cassazione, Massimo Mucchetti, editorialista del Corriere della Sera, e Vittorio Grevi, Direttore del Dipartimento di Diritto e procedura penale dell'Università di Pavia.

Il discorso di Tescaroli, supportato da numerosi dati tecnici provenienti dalle indagini, si è però dapprima concentrato sui motivi che lo hanno spinto a scrivere questo libro.
Il primo è stato quello di opporsi ad un'"informazione poco indipendente", che diffonde spesso notizie in modo strumentale. Mentre "l'informazione basata sulla verità è fondamentale ed è temuta dalle organizzazione mafiose", perchè l'informazione tiene alta la guarda, tiene viva l'attenzione e sensibilizza la popolazione. E non a caso tanti sono i giornalisti che hanno perso la loro vita perchè facevano correttamente il loro lavoro.
Il secondo motivo è di "rendere omaggio alle vittime della criminalità mafiosa", raccontando il cammino di legalità, cui appartengono tutte le forze dell'ordine e quelle persone che hanno perso la vita in nome del rispetto della legalità.
Il terzo motivo, particolarmente impegnativo, è quello di fornire "una risposta ragionata sul perchè nel nostro Paese un terzo del territorio e dell'economia continuano a cadere nel dominio delle organizzazioni mafiose": questo appare assolutamente paradossale perchè, teoricamente, chi ha più mezzi - lo Stato - dovrebbe battere senza problemi chi è inferiore, o meglio, era inferiore - la mafia. Ma forse il motivo è che il bene e il male non sono nettamente separati cosicchè il male e le sue condotte possono farsi strada, corrodendo tutto il tessuto dello Stato.
L'ultimo motivo è quello di far conoscere come vive un magistrato che indaga sulla criminalità mafiosa: spesso esposto al pericolo e, soprattutto, a critiche e insulti, al contrario dei mafiosi, i quali vengono innalzati quasi ad eroi.


Dinanzi al quadro abbastanza tetro e preoccupante dipinto da Tescaroli, riportando i dati emersi dalle indagini e dai processi celebrati, Massimo Mucchetti sostiene che l'ottimismo - proposto da Tescaroli in appendice al suo intervento, essendo egli fiducioso di un cambio di rotta in futuro - "perchè diventi politica deve radicarsi nella vita delle persone". E che quindi "l'Italia è forse un po' meno brutta di quella che si dipinge". Perchè val la pena fare un esercizio di memoria e ricordare alcuni passaggi della nostra storia. Per esempio, nel corso di una parte del periodo fascista, col prefetto Mori, il regime mussoliniano faceva dura opposizione alla mafia. Oppure, nel '43, i mafiosi emigrati in America sono ritornati in Italia, d'accordo con i servizi segreti americani, per organizzare la liberazione dell'Italia dal regime nazifascista. Oppure si può ricordare che il banchiere Calvi finanziava Solidarnosc o che il presidente USA Kennedy aveva rapporti con i servizi segreti. Tutto questo semplicemente per dire come i nessi tra criminalità e politica o economia sono spesso labili e altalenanti, vanno e vengono a seconda delle convenienze del momento.

Davigo, dall'alto della sua esperienza, fa notare che - è assolutamente vero - il potere si è sempre sporcato le mani con la criminalità organizzata. Pensiamo al terzo livello di cui parlava Falcone, ossia quel gruppo di giudici che per tutto il corso della Prima Repubblica aveva garantito il rapporto con Cosa Nostra per procurare sostegno politico alla DC. Ma il punto fondante da riconoscere è l'"alterazione dei rapporti di forza". Considerando anche che la criminalità organizzata è oggi transnazionale e le legislazioni nazionali non sono più in grado di fronteggiarla. Bisogna rompere quel delicato equilibrio tra l'enorme massa di denaro e la possibilità di usare le armi per esercitare il potere, dice Davigo; perchè "se non c'è legalità, affonda lo Stato". Diventa fondamentale la lotta all'economia sommersa, humus sul quale la mafia può crescere con radici forti: "laddove le cose sono poco chiare la mafia s'infila".
Però è bene ripensare il complesso delle leggi affinchè queste possano essere efficaci e permettano di raggiungere risultati. Ad esempio la normativa sul riciclaggio evidentemente non è efficace, se, dice Davigo, "la maggior parte dei processi che ho seguito riguardavano i tarocchi di auto". Così come non è un problema di risorse: l'Italia spende quanto la Gran Bretagna per la giustizia, con la differenza che in Gran Bretagna si celebrano 300 000 processi penali e in Italia 3 000 000, numero cui non corrisponde un'adeguata quota di detenuti. Perchè, giunti a 60 000 detenuti, le nostre carceri vengono liberamente aperte grazie all'indulto. Per non parlare della maggiore assurdità: per fare un giorno di carcere (fino al 2 maggio del 2006), la pena comminata deve essere superiore ai sei anni perchè tre anni sono abbonati con l'indulto e tre anni con l'affidamento sociale.
Il quadro che ne esce, direi, è semplicemente surreale, non solo ai nostri occhi, ma anche visto dall'esterno!

mercoledì 20 maggio 2009

LE LETTERE AL GIORNALE

Immagino che, come me, tanti lettori di quotidiani, aprendo la nuova edizione ogni mattina, scorrano le pagine per trovare la sezione dedicata alle lettere al giornale. Io lo faccio sistematicamente, così come con la pagina delle opinioni: sono curioso più che di conoscere le notizie del giorno, che bene o male ho già sentito al tg, di vedere qual è lo spunto di riflessione, scoprendone spesso di molto interessanti.
Di questo hanno parlato ieri, presso l'Aula grande della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Pavia, Giangiacomo Schiavi, attuale vicedirettore del Corriere della Sera, e Sergio Romano, ambasciatore ed editorialista dello stesso quotidiano, coordinati da Sandro Rizzi, giornalista e docente di Metodologia e tecniche del giornalismo presso l'ateneo pavese.
I due ospiti ben conoscono la rubrica delle lettere e ne sono stati a lungo protagonisti: Schiavi sul Corriere della Sera-Lombardia e Romano sulle pagine nazionali dello stesso.


Proprio per sottolineare il ruolo delle corrispondenze ai giornali, Romano ricorda che il Times dedicava la pagina centrale alle lettere, cui, nella piena tradizione anglosassone, non si rispondeva. Così come ancor oggi capita per il New York Times, l'Economist o il Wall Street Journal. Inoltre ricorda come il giornale nasce come "giornale delle lettere", come le prime gazzette inglesi del '700: la materia prima erano le lettere e non a caso oggi noi definiamo corrispondenti i giornalisti che scrivono da località lontane.
Ma di cosa si parla in questa rubrica? A seconda dei giornali, questa può essere la cosiddetta "presse du coeur" o "lonely heart", cioè una sezione in cui chi scrive racconta i suoi travagli personali o le sue vicissitudini, chiedendo ascolto, aiuto o consiglio, come in un confessionale. Oppure - questo è il caso dell'Italia - si cerca di trattare un problema serio come le questioni di attualità: basti ricordare, dice Romano, le tantissime lettere di lamentela, rabbia, collera riguardo la casta della politica italiana, ben prima dell'uscita del libro di Rizzo e Stella. Al punto che l'ambasciatore afferma di essere vissuto "in un microufficio di sondaggi" perchè le lettere gli hanno permesso di sondare effettivamente l'umore del Paese.
Poi si devono considerare le lettere di coloro impegnati in ambito politico o religioso: queste persone, attraverso le loro lettere, continuano le loro battaglie e, con la domanda retorica "Che cosa ne pensa?" aggiunta in fondo, vogliono semplicemente dare maggior sostanza al loro pensiero.

Lo sguardo di Schiavi, al contrario di quello di Romano, è strettamente legato al contesto: ricevere lettere che trattano temi più legati alla città permette anzitutto di concentrarsi maggiormente su argomenti totalmente diversi da quelli presenti nella rubrica nazionale e poi, cosa - secondo me - ancor più importante, permette "un esercizio di giornalismo" in quanto, per poter parlare, bisogna essere necessariamente documentati, pena il discredito e l'allontanamento dei lettori. Ma, oltre a questo, si ha la possibilità di conoscere angoli ignoti della città, conosciuti solo per luoghi comuni attraverso, per esempio, le canzoni di Jannacci e di "avere un colloquio quotidiano" con la popolazione.
Al punto che il predecessore di Schiavi, Guido Vergani, gli aveva dato due consigli: primo, essere sempre leali e ammettere eventualmente un errore; secondo, trovare il modo di portare a compimento una proposta, senza lasciarla cadere nel dimenticatoio, in quanto il ruolo da interpretare è quello del "miglioratore". Perchè, ammette Schiavi, in effetti "chi risponde alle lettere fa una battaglia di servizio per i cittadini" (e non a caso la sua rubrica si chiamava "Dalla parte del cittadino").
Senza dimenticare che le lettere sono un ottimo esempio di giornalismo: quel cosiddetto "giornalismo civico", partecipato, attraverso cui è il lettore che diventa giornalista e attraverso la sua lettera diffonde una notizia.

domenica 17 maggio 2009

UN PAESE NON BASTA







Alle 17,30, nella Sala Rossa, assisto alla presentazione dell'ultimo libro di Arrigo Levi Un Paese non basta. Intervengono, oltre all'autore, Piero Fassino, Mario Calabresi, Gad Lerner, coordinati da Alberto Sinigaglia.

Mario Calabresi, attuale direttore de La Stampa, descrive Arrigo Levi, basandosi sui ricordi personali al Quirinale, "prima che come un grande giornalista", come un "rappresentante della saggezza delle istituzioni". E gli manifesta una "sana invidia" per le innumerevoli esperienze del secolo scorso, alcune belle, altre tragiche, che Levi ha visto e spesso vissuto in prima persona sulla sua pelle.

Piero Fassino, torinese, ricorda come Levi ci consegni "una bellissima testimonianza di etica pubblica e civile". Numerose sono le pagine commuoventi del libro, in cui lo scrittore annota i "passaggi fondamentali" della sua vita attraverso vari Paesi. Ma, per tutto il libro, emerge, e questo vuole sottolineare Fassino, la profonda "fede laica" di Arrigo Levi. Insomma, un libro "straordinario per intensità valoriale", denso di forza valoriale", che "quando hai finito di leggere ti lascia qualcosa".

Gad Lerner, giornalista, condivide con Arrigo Levi la fede ebraica. E lo dipinge come il prototipo del "giornalista cosmopolita", il portavoce del "cosmopolitismo della cultura", valore che è assolutamente da esaltare e non certo da additare a colpa, come spesso è accaduto. Inoltre, Lerner mette in luce un altro aspetto della persona di Levi, che - aggiungo io - si può percepire anche solo osservandolo: egli è l'emblema dell'uomo dai "buoni modi", affinati dall'esperienza londinese, sebbene Lerner preferisca definirlo, parlando più terra terra, "un bastardo", aggettivo di cui lo stesso Levi deve essere felice.

Infine, Arrigo Levi chiude la presentazione, confessando la grande emozione nel presentare il libro a Torino. In fondo è stato a Torino solo per cinque anni, quelli della direzione de La Stampa, eppure ogni volta che tornava e torna a Torino, così come a Modena, ha "un forte tumulto". Perchè, sottolinea, anche se "un Paese non basta", ciò non toglie che ci siano alcune città cui si resta particolarmente legati per svariati motivi. Il libro, quindi, è una "story", non una"history", è più "un libro per me", in cui Levi raccoglie una parte della sua vita, quella, forse, più difficile e intensa. E, concludendo, risponde a Lerner sui "buoni modi": "la componente ebraica di tolleranza" e "l'esperienza in Inghilterra, povera e gloriosa" sono stati decisivi nell'ingentilire i suoi modi.



CLAUDIO MAGRIS RICEVE L'ORDINE DELLE ARTI E DELLE LETTERE DI SPAGNA




Alle ore 15,30, nella Sala Gialla, ho seguito l'incontro con Claudio Magris, in occasione del conferimento dell'Ordine delle Arti e delle Lettere di Spagna, a cura del Ministero per la Cultura di Spagna.
Sono presenti Antonio Gamoneda, poeta; Fernando Savater, scrittore; Rogerio Blanco Martinez, direttore generale del Ministero della Cultura spagnolo e responsabile del Plan de fomento de lectura; Angeles Gonzales-Sinde, Ministro della Cultura spagnolo.

Claudio Magris, nel ringraziare il Ministro Gonzales-Sinde per il conferimento dell'onorificenza, ricorda come il suo legame con la Spagna dati a quasi vent'anni fa. Quando ha intuito che la discendenza spagnola rintracciata nel suo albero genealogico evidentemente aveva un fondo di verità. E poi è stato un susseguirsi di soddisfazioni e soprattutto una presa d'atto di un amore fraterno della Spagna nei suoi confronti, testimoniato non solo negli apprezzamenti, ma anche nelle critiche severe. Sempre rispettose e mai offensive.


DIRITTI DIVERSI. LA LEGGE NEGATA AI GAY



Alle 14,30, nella Sala Rossa, viene presentato il libro di Annamaria Bernardini De Pace, notissima avvocatessa matrimonialista. In sua compagnia dialogano Alessandro Cecchi Paone e Franco Buffoni, autore di Zamel.

La Bernardini De Pace spiega perchè ha scritto questo libro. E parte da quello che lei considera "l'obbrobrio quotidiano", riferito alla scarsa considerazione o alla discriminazione nei confronti degli omosessuali. Forte delle conoscenze tecniche, ricorda come la Costituzione del 1948, "il più bel libro che fu mai scritto", afferma che tutti i cittadini sono uguali e hanno gli stessi diritti, mentre non è scritto che la famiglia debba basarsi sull'unione di un uomo o di una donna. "Forse nel diritto canonico, nella consuetudine, ma là non è scritto così", incalza l'avvocatessa.
Una cosa che non riesce a sopportare è l'ipocrisia: quell'ipocrisia per la quale la classe politica in toto promette e non mantiene promesse riguardo la regolamentazione della condizione giuridica degli omosessuali. E quella stessa ipocrisia per cui si ha un atteggiamento garantista nei confronti di clandestini o stupratori e non si tiene conto di almeno 3 milioni - c'è chi dice 5 - di omosessuali relegati in un ghetto immaginario, nel dimenticatoio più totale. Così come non c'è nessuna legge contro l'omofobia (si celebra oggi, tra l'altro, la IV Giornata mondiale contro l'omofobia), perchè la legge anti-discriminatoria vigente, la legge Mancino, prende in considerazione tutte le categorie, tranne gli omosessuali.






LA RIFORMA RADICALE. ISLAM, ETICA E LIBERAZIONE




Nella Sala Rossa, alle 13, seguo Tariq Ramadan, autore de La riforma radicale. Islam, etica e liberazione in compagnia di Paola Caridi (la cui ultima opera è Hamas. Che cos'è e cosa vuole il movimento radicale palestinese).

Ramadan vuole parlare della condizione dei musulmani occidentali e della loro sfida nei confronti della contemporaneità; è un libro dedicato a tutti, non solo ai musulmani, utile ad una conoscenza non superficiale del mondo islamico, che sta alla base del "rispetto reciproco", e ad una valutazione dei "principi della riforma intellettuale" al fine di trovare un approccio creativo al mondo odierno, mediando tra la giurisprudenza musulmana e il modo di essere dei musulmani di oggi. Nel libro Ramadan si propone di esplicare tre tesi.

La prima riguarda il concetto stesso di riforma, che per molti mulsulmani è un concetto di derivazione crisitiana o ebraica, mentre esso è intrinseco alla cultura musulmana. Inoltre, mentre per molti studiosi musulmani, la "riforma" è "un adattamento alla società, al mondo contemporaneo", per Ramadan è "una trasformazione", che serve a migliorare il mondo. Ecco perchè serve una riforma radicale che parta dalla comprensione del concettodi riforma.

La seconda tesi sostiene che per arrivare alla riforma bisogna allargare la conoscenza al di là della giurisprudenza musulmana, in quanto "il campo legale è per definizione adattativo". Mentre è la conoscenza dei principi, degli obiettivi, dell'etica, del mondo e delle persone che può fornire elementi utili e spesso fondamentali per compiere una trasformazione.

La terza ed ultima tesi spinge a spostare "il centro di gravità dell'Islam", coinvolgendo i cittadini e le comunità nella produzione di questa riforma, che non deve essere affidata a pochi, ma anzi deve essere il più possibile condivisa.

Infine, Ramadan invita gli islamici moderni, alla luce di questa riforma, ad essere "cittadini del mondo" e ad ottemperare a tre doveri importantissimi: primo, conoscere la lingua del Paese, in quanto solo così essi saranno liberi; secondo, rispettare le leggi, perchè essi hanno sottoscritto un contratto sociale; terzo, essere leali al Paese.




GLI AFFARI DEL VATICANO



All'incontro, coordinato da Oliviero Beha, partecipano Michele Ainis, Gianluigi Nuzzi e Marco Politi.
Causa ritardo alla biglietteria, giungo nella Sala dei 500 a conferenza già iniziata.

Sento Ainis che sta concludendo il suo discorso, in cui richiama l'attenzione su quanto la nostra Costituzione afferma riguardo la netta separazione dei poteri religioso e politico, nonostante la realtà dei fatti non lo dimostri per nulla.



Marco Politi, presentando il suo libro, spiega la sua indagine sulla libertà di coscienza degli Italiani, soffocata da una "Chiesa del no"; quello che emerge dal libro, dopo aver raccolto le testimonianze della gente, è la profonda voglia di poter decidere in assoluta libertà, pur ascoltando le indicazioni della Chiesa sui temi sensibili, le quali sono passibili di pensieri e riflessioni del tutto personali.

Giusto per apprezzare un po' il lavoro di Nuzzi, guardate il video che è stato proiettato!






UNA FANTASTICA GIORNATA ALLA FIERA DEL LIBRO


Come passare una bella giornata per gli amanti del libro? Una risposta facile è: visitare la XXII Fiera Internazionale del Libro a Torino, di cui vi ho parlato nell'ultimo post. E io l'ho fatto, ci sono andato e ne sono rimasto entusiasta. Quasi dodici ore, completamente immerso in un mondo di libri, tra stand e presentazioni, per rivivere tra i veri protagonisti la mia passione per la lettura. Un'esperienza piacevole che ricorderò per un bel po' di tempo.


La giornata in Fiera comincia intorno alle 10,30, quando arrivo alle biglietterie e mi metto in fila: ho almeno cinquanta persone davanti, ma sono fiducioso perchè vedo che la fila scorre abbastanza velocemente.

Nel corso della lunga giornata (quasi dodici ore di Fiera), ho seguito varie presentazioni, di cui vi darò conto nei prossimi post, e soprattutto, nei momenti di pausa delle conferenze, ho girato tra i vari stand, curiosando tra le ultime novità e i titoli che mi colpivano maggiormente.

I due libri che ho acquistato sono stati:




  • Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c'è di Gianfranco Viesti, edito da Editori Laterza, collana Saggi Tascabili.


Avrei potuto comprarne altri mille, ma ho dovuto trattenermi: un sacco di titoli interessanti, tra i quali ho dovuto necessariamente scegliere per tenere a bada la mia matta voglia. Se l'avessi assecondata, forse sarei uscito con due borse piene di libri!
Consiglio a tutti di visitare la Fiera (chiude domani, lunedì 18 maggio) per fare un tuffo in una dimensione parallela, popolata solo di libri, in cui trovare anche spunti di riflessioni durante le conferenze.

mercoledì 13 maggio 2009

XXII FIERA INTERNAZIONALE DEL LIBRO


Si apre domani, 14 maggio, e si conclude lunedì 18 maggio a Torino la XXII Fiera Internazionale del Libro, appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di lettura e occasione importante per conoscere le ultime novità letterarie ed assistere a numerosi incontri con molti autori che presentano i propri volumi.

Ospiti importanti, quest'anno, sono Orhan Pamuk, Salman Rushdie, Adonis, Jeffrey Deaver e altri ancora.

Il tema di questa edizione è "Io, gli altri - occasioni per uscire dal guscio": viene dedicata, così, grandissima attenzione alla persona in un periodo in cui la stessa è spesso dimenticata al fine di capire "quanto oggi l'Io sia malato. Esibizionista, egoista, autoreferenziale, indifferente al destino e alle necessità degli altri, ha perso il senso della comunità ed è incapace di elaborare progetti condivisibili, di riconoscersi in una causa di utilità comune. Un Io che non sa guardarsi dentro, e invece di affrontare una coraggiosa autoanalisi preferisce creare un alter ego virtuale da far circolare in rete, offrendo di sé un'immagine edulcorata che non corrisponde al vero: non il ritratto di quello che si è, ma di quello che si vorrebbe essere". E per raccontare l'Io si chiederà aiuto a tutte le discipline: dalle neuroscienze alla psicanalisi, dalla filosofia alla storia, dal diritto alla narrativa.

Paese ospite è l'Egitto, la cui partecipazione coincide con due grandissimi eventi di cui esso è il Leitmotiv: la mostra archeologica dei Tesori sommersi, aperta da febbraio 2009 alla Reggia della Venaria Reale e la mostra a Palazzo Bricherasio dedicata ad Akhenaton, faraone del Sole.

Per maggiori informazioni visitate il sito ufficiale della XXII Fiera Internazionale del Libro, dove troverete il programma completo per scegliere l'evento che più vi interessa, i costi dei biglietti e come arrivare
al Lingotto.

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