venerdì 22 maggio 2009

VIAGGIO NELLA BORGHESIA CRIMINALE

Nella splendida cornice dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia, Luca Tescaroli, magistrato presso la Procura della Repubblica di Roma e in passato pm nel processo per la strage di Capaci, ha presentato tre giorni fa il suo libro Colletti sporchi, scritto assieme al giornalista Ferruccio Pinotti. A discuterne con lui c'erano Piercamillo Davigo, consigliere presso la Corte di Cassazione, Massimo Mucchetti, editorialista del Corriere della Sera, e Vittorio Grevi, Direttore del Dipartimento di Diritto e procedura penale dell'Università di Pavia.

Il discorso di Tescaroli, supportato da numerosi dati tecnici provenienti dalle indagini, si è però dapprima concentrato sui motivi che lo hanno spinto a scrivere questo libro.
Il primo è stato quello di opporsi ad un'"informazione poco indipendente", che diffonde spesso notizie in modo strumentale. Mentre "l'informazione basata sulla verità è fondamentale ed è temuta dalle organizzazione mafiose", perchè l'informazione tiene alta la guarda, tiene viva l'attenzione e sensibilizza la popolazione. E non a caso tanti sono i giornalisti che hanno perso la loro vita perchè facevano correttamente il loro lavoro.
Il secondo motivo è di "rendere omaggio alle vittime della criminalità mafiosa", raccontando il cammino di legalità, cui appartengono tutte le forze dell'ordine e quelle persone che hanno perso la vita in nome del rispetto della legalità.
Il terzo motivo, particolarmente impegnativo, è quello di fornire "una risposta ragionata sul perchè nel nostro Paese un terzo del territorio e dell'economia continuano a cadere nel dominio delle organizzazioni mafiose": questo appare assolutamente paradossale perchè, teoricamente, chi ha più mezzi - lo Stato - dovrebbe battere senza problemi chi è inferiore, o meglio, era inferiore - la mafia. Ma forse il motivo è che il bene e il male non sono nettamente separati cosicchè il male e le sue condotte possono farsi strada, corrodendo tutto il tessuto dello Stato.
L'ultimo motivo è quello di far conoscere come vive un magistrato che indaga sulla criminalità mafiosa: spesso esposto al pericolo e, soprattutto, a critiche e insulti, al contrario dei mafiosi, i quali vengono innalzati quasi ad eroi.


Dinanzi al quadro abbastanza tetro e preoccupante dipinto da Tescaroli, riportando i dati emersi dalle indagini e dai processi celebrati, Massimo Mucchetti sostiene che l'ottimismo - proposto da Tescaroli in appendice al suo intervento, essendo egli fiducioso di un cambio di rotta in futuro - "perchè diventi politica deve radicarsi nella vita delle persone". E che quindi "l'Italia è forse un po' meno brutta di quella che si dipinge". Perchè val la pena fare un esercizio di memoria e ricordare alcuni passaggi della nostra storia. Per esempio, nel corso di una parte del periodo fascista, col prefetto Mori, il regime mussoliniano faceva dura opposizione alla mafia. Oppure, nel '43, i mafiosi emigrati in America sono ritornati in Italia, d'accordo con i servizi segreti americani, per organizzare la liberazione dell'Italia dal regime nazifascista. Oppure si può ricordare che il banchiere Calvi finanziava Solidarnosc o che il presidente USA Kennedy aveva rapporti con i servizi segreti. Tutto questo semplicemente per dire come i nessi tra criminalità e politica o economia sono spesso labili e altalenanti, vanno e vengono a seconda delle convenienze del momento.

Davigo, dall'alto della sua esperienza, fa notare che - è assolutamente vero - il potere si è sempre sporcato le mani con la criminalità organizzata. Pensiamo al terzo livello di cui parlava Falcone, ossia quel gruppo di giudici che per tutto il corso della Prima Repubblica aveva garantito il rapporto con Cosa Nostra per procurare sostegno politico alla DC. Ma il punto fondante da riconoscere è l'"alterazione dei rapporti di forza". Considerando anche che la criminalità organizzata è oggi transnazionale e le legislazioni nazionali non sono più in grado di fronteggiarla. Bisogna rompere quel delicato equilibrio tra l'enorme massa di denaro e la possibilità di usare le armi per esercitare il potere, dice Davigo; perchè "se non c'è legalità, affonda lo Stato". Diventa fondamentale la lotta all'economia sommersa, humus sul quale la mafia può crescere con radici forti: "laddove le cose sono poco chiare la mafia s'infila".
Però è bene ripensare il complesso delle leggi affinchè queste possano essere efficaci e permettano di raggiungere risultati. Ad esempio la normativa sul riciclaggio evidentemente non è efficace, se, dice Davigo, "la maggior parte dei processi che ho seguito riguardavano i tarocchi di auto". Così come non è un problema di risorse: l'Italia spende quanto la Gran Bretagna per la giustizia, con la differenza che in Gran Bretagna si celebrano 300 000 processi penali e in Italia 3 000 000, numero cui non corrisponde un'adeguata quota di detenuti. Perchè, giunti a 60 000 detenuti, le nostre carceri vengono liberamente aperte grazie all'indulto. Per non parlare della maggiore assurdità: per fare un giorno di carcere (fino al 2 maggio del 2006), la pena comminata deve essere superiore ai sei anni perchè tre anni sono abbonati con l'indulto e tre anni con l'affidamento sociale.
Il quadro che ne esce, direi, è semplicemente surreale, non solo ai nostri occhi, ma anche visto dall'esterno!

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