mercoledì 20 maggio 2009

LE LETTERE AL GIORNALE

Immagino che, come me, tanti lettori di quotidiani, aprendo la nuova edizione ogni mattina, scorrano le pagine per trovare la sezione dedicata alle lettere al giornale. Io lo faccio sistematicamente, così come con la pagina delle opinioni: sono curioso più che di conoscere le notizie del giorno, che bene o male ho già sentito al tg, di vedere qual è lo spunto di riflessione, scoprendone spesso di molto interessanti.
Di questo hanno parlato ieri, presso l'Aula grande della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Pavia, Giangiacomo Schiavi, attuale vicedirettore del Corriere della Sera, e Sergio Romano, ambasciatore ed editorialista dello stesso quotidiano, coordinati da Sandro Rizzi, giornalista e docente di Metodologia e tecniche del giornalismo presso l'ateneo pavese.
I due ospiti ben conoscono la rubrica delle lettere e ne sono stati a lungo protagonisti: Schiavi sul Corriere della Sera-Lombardia e Romano sulle pagine nazionali dello stesso.


Proprio per sottolineare il ruolo delle corrispondenze ai giornali, Romano ricorda che il Times dedicava la pagina centrale alle lettere, cui, nella piena tradizione anglosassone, non si rispondeva. Così come ancor oggi capita per il New York Times, l'Economist o il Wall Street Journal. Inoltre ricorda come il giornale nasce come "giornale delle lettere", come le prime gazzette inglesi del '700: la materia prima erano le lettere e non a caso oggi noi definiamo corrispondenti i giornalisti che scrivono da località lontane.
Ma di cosa si parla in questa rubrica? A seconda dei giornali, questa può essere la cosiddetta "presse du coeur" o "lonely heart", cioè una sezione in cui chi scrive racconta i suoi travagli personali o le sue vicissitudini, chiedendo ascolto, aiuto o consiglio, come in un confessionale. Oppure - questo è il caso dell'Italia - si cerca di trattare un problema serio come le questioni di attualità: basti ricordare, dice Romano, le tantissime lettere di lamentela, rabbia, collera riguardo la casta della politica italiana, ben prima dell'uscita del libro di Rizzo e Stella. Al punto che l'ambasciatore afferma di essere vissuto "in un microufficio di sondaggi" perchè le lettere gli hanno permesso di sondare effettivamente l'umore del Paese.
Poi si devono considerare le lettere di coloro impegnati in ambito politico o religioso: queste persone, attraverso le loro lettere, continuano le loro battaglie e, con la domanda retorica "Che cosa ne pensa?" aggiunta in fondo, vogliono semplicemente dare maggior sostanza al loro pensiero.

Lo sguardo di Schiavi, al contrario di quello di Romano, è strettamente legato al contesto: ricevere lettere che trattano temi più legati alla città permette anzitutto di concentrarsi maggiormente su argomenti totalmente diversi da quelli presenti nella rubrica nazionale e poi, cosa - secondo me - ancor più importante, permette "un esercizio di giornalismo" in quanto, per poter parlare, bisogna essere necessariamente documentati, pena il discredito e l'allontanamento dei lettori. Ma, oltre a questo, si ha la possibilità di conoscere angoli ignoti della città, conosciuti solo per luoghi comuni attraverso, per esempio, le canzoni di Jannacci e di "avere un colloquio quotidiano" con la popolazione.
Al punto che il predecessore di Schiavi, Guido Vergani, gli aveva dato due consigli: primo, essere sempre leali e ammettere eventualmente un errore; secondo, trovare il modo di portare a compimento una proposta, senza lasciarla cadere nel dimenticatoio, in quanto il ruolo da interpretare è quello del "miglioratore". Perchè, ammette Schiavi, in effetti "chi risponde alle lettere fa una battaglia di servizio per i cittadini" (e non a caso la sua rubrica si chiamava "Dalla parte del cittadino").
Senza dimenticare che le lettere sono un ottimo esempio di giornalismo: quel cosiddetto "giornalismo civico", partecipato, attraverso cui è il lettore che diventa giornalista e attraverso la sua lettera diffonde una notizia.

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