domenica 31 maggio 2009

FIAT SENZA OPEL

Premetto che non ho seguito fin nei minimi particolari la questione Fiat-Opel per mancanza di conoscenze tecniche in merito. Ma sono rimasto certamente dispiaciuto dall'esito della trattativa, alla fine della quale Opel passa al gruppo austro-russo-canadese Magna in cordata con la banca russa di Stato Sberbank.
Ma tenterei di analizzare la questione da un mio personale punto di vista per evidenziare quelle che, a me, paiono delle ambiguità o, per lo meno, delle situazioni dai contorni incerti.

Innanzitutto il dispiacere per la fine, a noi sfavorevole, della trattativa non deve attanagliarci più di tanto. Perchè, come dice Romano sul Corriere, "il «tedesco», in questa faccenda, è stato Marchionne", il quale ha messo sul piatto un piano industriale, conforme sia alle regole aziendali sia al rigore economico, ignorato per interferenze politiche. E conferma di questa tradizione viene anche da Oddone Camerana, il quale conosce la Fiat dall'interno e conferma che "Marchionne agisce, forse senza saperlo, nel solco della tradizione Fiat. Da sempre la Fiat si muove all'estero non con operazioni finanziarie, ma con operazioni industriali, non con acquisizioni onerose e rischiose ma con partnership in cui immette tecnologie e saperi". Nessun dubbio, direi, sulla ottima prova dell'ad Marchionne, che ha sfoderato capacità da grande manager.

E allora perchè la Fiat ha perso Opel? Semplicemente perchè la cancelliera Merkel ha accettato un accordo al ribasso. Vale a dire che ha preferito la soluzio­ne che permette, nel breve termi­ne, il mantenimento degli organi­ci delle ditte praticamente fallite, senza voler affrontare il problema delle dimensioni dell'azienda nel mondo e senza pensare se il futuro della stessa sarebbe stato più roseo nel caso in cui avesse accettato la proposta di Marchionne. e senza voler disturbare Volkswagen, la quale evidentemente avrebbe sofferto con il rafforzamento di Fiat. Intendiamoci bene: la prassi di scegliere sempre le soluzioni più semplici, che poi si rivelano anche le meno adatte, è comune, non solo in Germania (e noi in Italia lo sappiamo bene). Ma non dimentichiamoci che, come sostiene anche il ministro dell'Economia tedesco zu Guttenberg, l'accordo trovato con Magna potrebbe essere rischioso per il contribuente tedesco, dal momento che Berlino fornirà alla nuova Opel almeno sei miliardi di euro in garanzie, mentre l'accordo non comporta alcun rischio economico per i compratori.

Dinanzi a questo scenario, qual è stata la reazione dell'opposizione italiana? Critica serrata, manco a dirlo: con la campagna elettorale che giunge al termine, il fallimento dell'accordo Fiat-Opel è manna dal cielo. Perchè - dice Franceschini - si tratta di "un'occasione perduta", "altri governi si sono impegnati in modo molto determinato per sostenere le loro imprese, dalle nostre parti c'è stata un po' di distrazione". Mentre D'Alema insinua che il premier è troppo occupato dal gossip per occuparsi dell'industria dell'automobile.
Ma ci siamo chiesti veramente cosa poteva fare il Governo? Io direi che ha seguito la vicenda, ma non ha mai ceduto - questo è importantissimo da sottolineare - "a tentazioni stataliste e protezionistiche", con tutti i rischi che esse portano con sé. Questo è quello che doveva fare e ha fatto il Governo: sostenere un'azienda italiana nel corso di un'importante trattativa internazionale, senza far mai adombrare il dubbio di un aiuto da parte dello Stato. Altrimenti: addio libero mercato.
Aggiunge il ministro Tremonti: "Che cosa avrebbe significato fare di più? Fare più debito pubblico e aumentare le tasse per ha di meno? No grazie". Anche perchè "prima della crisi i governi stavano fuori dai giochi mentre adesso si occupano di tutto". Ovvero, la Fiat ha presentato un piano industriale e su quello pensava di ragionare. Mentre la politica è entrata a gamba tesa - basti pensare alla telefonata tra Obama e la Merkel, pensando che gli USA hanno finanziato GM e la Germania si appresta a concedere ad Opel un finanziamento-ponte di 1,5 miliardi.

Questo è il succo della questione: se la politica entra nelle questioni strettamente economiche, finisce spesso per provocare danni o quanto meno inficiare il dialogo tra le parti, in positivo per l'una e in negativo per l'altra.

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