sabato 29 novembre 2008

GRAN SUCCESSO DI VENEZIANI A CASTEGGIO

Grande successo domenica scorsa per la presentazione del libro "Rovesciare il '68" di Marcello Veneziani, la sala della Certosa Cantù tutta piena per poter ascoltare l'autore spiegare il suo punto di vista sul 68. A dialogare con lui è stato il dottor Fabrizio Guerrini, giornalista della Provincia pavese, che ha avuto il merito di toccare tutti i temi più importanti trattati nel libro: si partiva da una citazione per poi allargare il discorso ad ambiti affini.

Innanzitutto Marcello Veneziani tiene a precisare che il suo è un libro "omeopatico": ha voluto scrivere cioè "un libro che curasse il '68 scendendo sul terreno del '68", evitando la formula del saggio, con lunghe frasi contenenti tesi poco
chiare, e preferendo la forma del flash, di frasi brevi ed efficaci, che potessero arrivare subito al dunque. Nel corso dell'incontro, l'autore sottolinea e spiega le tesi forti della sua opera, che trapelano nettamente dai flash che la compongono. Egli ritiene che il 68 sia stato uno "spartiacque culturale e civile, italiano e forse non solo italiano", così come hanno sostenuto papa Ratzinger e Monsieur Sarkozy, i quali hanno espresso la volontà di mettersi alle spalle questo periodo. Perchè intorno al 68 si è creata una "retorica di celebrazione", sebbene esso sia stato "un anno povero di eventi", "un anno piccolo" che non ha "innescato una rivoluzione politica o economica" in quanto nessun Paese ha mutato il suo assetto di governo, né è stato rovesciato il sistema capitalistico criticato dai sessantottini. E allora perché ne parliamo?, si chiede lo stesso Veneziani; ne parliamo perché è stata una "grande rivoluzione civile, una grande rivoluzione di costume": infatti, "quando parliamo del '68 (...) intendiamo sintetizzare un cambiamento d'epoca, un clima che muta radicalmente". Ne parliamo anche perchè, in fondo, il 68, nei Paesi occidentali, "fu una rivolta parricida: il simbolo da abbattere era il padre", intendendo definire con la parola "padre" il padre reale, il Padreterno, la tradizione, il docente ovvero tutto ciò che incarnava la responsabilità e l'autorità; "una rivolta contro il padre, che aveva da una parte uno spirito anarco-libertario e dall'altra una tensione massimalista, estremista". Lo spirito anarco-libertario caratterizzò il 68 fin dall'inizio, con le contestazioni americane contro la guerra in Vietnam, per un'università libera, contro il puritanesimo, mentre la tensione massimalista influì, invece, sulla violenza che sfociò negli anni di piombo. Ciò che sottolinea inoltre Veneziani è il fatto che "i sessantottini hanno rotto i ponti non solo col passato ma anche con l'avvenire"; si tratta, infatti, della prima generazione a crescita zero: la generazione, nata dal boom demografico, che "produce lo sboom demografico, cioè la denatalità dei nostri anni". Questo perchè "i sessantottini sono egocentrici, vivono nella dimensione dell'adolescenza permanente (...), non vogliono sentirsi responsabili del futuro" e quindi "mettere al mondo figli è un ingombro, una perdita del loro io, del loro egocentrismo, del loro egoismo". L'attenzione si sposta poi sul '68 dell'Est, totalmente diverso dal nostro: come si legge in un passo del libro, mentre loro "affrontavano i carri", "noi affrontavamo la carriera" piazzando in posti sempre più prestigiosi persone che avevano sfasciato la famiglia, l'università, ecc. e che, proprio per aver fatto il 68, ereditavano il diritto a vedersi assegnato un posto nella società. Per esempio, nella scuola: il giudizio di Veneziani al proposito è severo, in quanto "la scuola, con i docenti, non ha governato il cambiamento", "dopo il 68 è stata privata dei suoi criteri elementari: il senso di responsabilità, l'intreccio tra diritti e doveri, la meritocrazia, la valorizzazione delle qualità", togliendo così ai meno abbienti la possibilità di guadagnarsi un posto nella piramide sociale. Veneziani afferma con forza: "quando tu togli la meritocrazia, togli l'unico criterio alternativo alla ricchezza, quello fondato sulle capacità personali", permettendo così solo a "chi ha un contesto favorevole" di avanzare e raggiungere degli obiettivi. L'ultimo punto trattato dall'autore è il "conformismo della trasgressione che diventa un obbligo rituale" tanto che oggi è "più trasgressivo dirsi sensibile alla tradizione". A tal proposito Veneziani ricorda come il linguaggio è cambiato dopo il '68. I sessantottini criticano il linguaggio borghese, ipocrita, il "manierismo delle buone maniere": si arriva così da una parte alla trivialità, al linguaggio volgare e sboccato, alla parolaccia e alla bestemmia, dall'altra il linguaggio adeguato al politically correct, "che impone di non dire mai le cose come sono" per cui il cieco è il non vedente, il bocciato è il non promosso, ecc.

Insomma, il giudizio di Veneziani sul '68 è assolutamente caustico, teso però a cercare di superare al più presto la moda di parlarne, anche a quarant'anni di distanza, perchè in fondo non vi sono motivi per ricordare il 68 come un anno diverso dagli altri.

Ecco due video con i frammenti più significativi della presentazione del dottor Veneziani.
Ricordiamo che, per meglio ascoltare il video, è necessario fermare la riproduzione della musica di sottofondo; per farlo, basta scorrere la pagina fino in fondo, dove è collocata la banda di riproduzione, su cui cliccare il pulsante di pausa. In alternativa, cliccate sui seguenti link: 1° FRAMMENTO ; 2° FRAMMENTO.


1° FRAMMENTO



2° FRAMMENTO



sabato 22 novembre 2008

E' MANCATO SANDRO CURZI

All'età di 78 anni, è mancato Sandro Curzi, voce inconfondibile del giornalismo italiano.
Ha militato prima nel Pci, poi ha seguito Fausto Bertinotti con la nascita di Rifondazione comunista.
Inoltre è stato storico direttore del Tg3 alla fine degli anni '80 (quando nacque l'epopea di TeleKabul), quindi direttore del quotidiano di Rifondazione Comunista "Liberazione".
Attualmente era consigliere d'amministrazione della Rai.

giovedì 20 novembre 2008

MARCELLO VENEZIANI E IL '68


Rovesciare il '68.
Pensieri contromano su quarant'anni di conformismo di massa

Marcello Veneziani


Mondadori

€ 17,00

Il 68 è al potere e vigila su di noi. L'onda lunga e corrosiva del 68, l'ultima febbre che attraversò le giovani generazioni in Occidente, pervade ancora la nostra epoca.
I rivoluzionari di allora e i loro continuatori sono divenuti la nuova classe dominante nel mondo della cultura e della politica, dei media e dell'istruzione, del sindacato e della magistratura, e primeggiano nel regno del divertimento e della pubblicità. Fallito come rivoluzione politica, il 68 si è mutato in ideologia radical, conformismo di massa e canone di vita. Ha distrutto i valori della tradizione, dell'educazione, della religione, mandando in frantumi scuola e famiglia e lasciandoci in eredità un'ideologia libertina e permissiva sul piano dei valori e dei doveri, dei costumi e dei linguaggi, ma intollerante e repressiva verso chi non si riconosce in quel movimento libertario, nei suoi codici e modelli.
Dopo quarant'anni è ormai tempo di bilanci, revisioni critiche e necessarie inversioni di rotta. Marcello Veneziani ripercorre la multiforme eredità della parabola contestataria e critica le ideologie discendenti con un caleidoscopico e caustico bazar di appunti e frammenti, di foto di gruppo e di istantanee di pensiero. Un viaggio attraverso quattro stagioni: l'autunno del 68, "virus di un'epoca riassunto nella superstizione di una cifra"; l'inverno del nostro scontento, tra le ingombranti rovine lasciate dal ciclone sessantottino, soprattutto nell'ambito dell'educazione e della scuola; la primavera della famiglia distrutta dall'ideologia contestataria; infine l'estate della tradizione, intesa come vera trasgressione futura, capace di ricomporre i frammenti di una narrazione interrotta, di un tessuto civile lacerato, di simboli culturali mozzati.
Un testo negazionista del 68, irriverente verso i nuovi divieti e i nuovi obblighi di leva, che non ha paura di essere troppo rivoluzionario né troppo conservatore.

Insomma, Veneziani getta uno sguardo quarant'anni dopo su quel fenomeno che è diventato il '68, traendone un bilancio, dal momento che quel periodo ha partorito figli e anche nipoti. È salito al potere e diventato conformismo di massa, anzi, sostiene Marcello Veneziani, canone di vita.
Ha creato luoghi comuni e nuovi pregiudizi, codici ideologici, il cui rispetto implacabile è il presupposto unico per poter vivere il proprio tempo: emblema di questa tendenza è il politically correct.
Nel 2008 - ricorda curiosamente l'autore - i sessantottini sono diventati sessantottenni ed è ora di fare i conti con la loro opera e la loro eredità.
Per compiere questo viaggio in un'epoca così particolare e così importante per le ripercussioni sul presente, Veneziani si affida ad un veloce insieme di schizzi e frammenti, di flash e immagini, di foto di gruppo e istantanee di pensiero. Uno zapping animato da un triplice progetto: descrivere in breve il '68; ricordare cosa resta e quali sono le sue rovine oggi spesso ingombranti; capovolgere il '68 attraverso l'uso creativo e trasgressivo della tradizione, quella tradizione che per tanto tempo è stata denigrata e che andava superata.

Solo per darvi un'anteprima, abbiamo scelto alcuni passi, che ci sono parsi interessanti e significativi per ciò che racchiudono: giusto per un assaggio prima della lettura, caldamente consigliata!

La rivoluzione sognata dal 68 non ha rovesciato gli assetti di potere, i rapporti di classe, ma i valori e i costumi.

Il 68 infiammò un'epoca e poi lasciò una nuvola di fumo. Fumo ideologico per una generazione rapita da fumose utopie. Fumo di molotov, micce e P38 per una generazione che scelse la violenza e il partito armato. Fumo di canne e allucinogeni per una generazione che fuggì dalla realtà attraverso la droga. Le tre gioventù fumanti che uscirono dal 68 inseguivano un miraggio comune: il paradiso artificiale a portata di mano.

(...) gli effetti sociali e culturali furono vasti e devastanti: la scuola e l'università, la chiesa e le istituzioni, la famiglia e la borghesia uscirono peggio di come vi erano entrate. Non solo più affaticate e demotivate, ma anche umanamente, culturalmente, eticamente sfiancate, inacidite, peggiorate.

L'egocentrismo generazionale e soggettivo fu l'effetto più profondo del 68.

Il professor Platone, nell'VIII libro della Repubblica dimostra che il 68 non fu nemmeno una novità, ma un vetusto rigurgito anarchico che periodicamente risale dalle viscere della storia.

La società estetica, fondata sul principio del piacere, fu il sogno che percorse il 68, somministrato da Marcuse.

La liberazione sessuale ha coinciso con l'uso commerciale e consumistico e della donna.

Il professore che un tempo godeva di prestigio e autorevolezza è ridotto al rango di colf o animatore. E' sceso nella scala sociale, e costituisce un antimodello, ciò che i ragazzi non vogliono diventare... Altrimenti finisci come lui, a insegnare...

La trasgressione è intesa come la normalità.

La maggior parte degli antifascisti che fecero la Resistenza non volevano la libertà ma un'altra dittatura, comunista o giacobina. Sognavano un totalitarismo più compiuto rispetto a quello fascista, che abolisse proprietà, disuguaglianze, mercato e religione.

(...) Interiorizzazione del pubblico, esternazione dell'intimo. Ciò che è privato si confessa in pubblico, esige pubblico. Con la scusa dei diritti civili, la città entra in casa. Qui ha vinto davvero il 68: il personale è politico.

Lo sfascio famigliare ha prodotto una nuova figura tragica, grottesca e vagabonda: lo sfamiglio, che non è semplicemente un single, ma il profugo e il superstite dall'esplosione che ha colpito al cuore la cellula basilare della società, la famiglia.

La famiglia è il primo stadio di quel passaggio dalla natura alla civiltà; non cancella quel che è in natura, ma gli dà un senso, una norma, un riconoscimento, un'eredità e una prospettiva. (...)

(...) La tradizione trasmette non rimpiange. Esprime continuità, non cordoglio.

Le caste in Italia sono tre e non una soltanto: a quella politica, si aggiunge quella tecno-economica e quella intellettuale, allevata dall'italomarxismo e consacrata dal 68. Un sistema di caste a circuito chiuso, a cui si accede per cooptazione, affiliazione e accettazione del canone.

Né single né sposati, in medio stat virtus. In anulare stat virus.

I veri tradizionalisti amano gli alberi, a cominciare dall'albero genealogico.

Troppe morti per velocità, abusi, sesso, droga, alcol. La vita piace da morire.

La tv ha due facce: fa compagnia a chi è solo, isola chi è in compagnia.

(...) Nobile, contrazione aristocratica di non abile.

Gli ambientalisti crescono con l'inquinamento. Una città sana ha i polmoni verdi intorno e la materia grigia in testa. Qui si è invertito l'ordine cromatico.

La scuola si fonda sulla tradizione. Non c'è scuola se non c'è nulla da trasmettere, da tramandare. La scuola è connessione a una rete verticale di saperi ed esperienze tra generazioni. La sua chiave d'accesso è tra.

L'ipocrisia non è il contrario della verità, ma il suo galateo. L'ipocrisia non è come la menzogna: è il velo dorato sul vivere civile, funge da imene della verità, perchè la tutela, impedisce di violarla o abolirla. La verità attiene all'essenza della vita, l'ipocrisia riguarda le relazioni civili. La cultura discesa dal 68 pensò al contrario: dichiarò guerra all'ipocrisia ma dichiarò morta la verità. Squarciare il velo per non trovare nulla.

domenica 16 novembre 2008

LA POLEMICA SULLA COMMISSIONE DI VIGILANZA RAI

E' veramente assurda la discussione sull'elezione del presidente della Vigilanza Rai, veramente senza senso. O meglio c'è un senso, ma è sbagliato.
Innanzitutto è un bene che si sia arrivati a questa elezione, sebbene Pd e Idv non la pensino così: l'elezione di Villari ha chiuso un vulnus che durava da alcuni mesi e la sua modalità dell'elezione è stata regolare: Villari è stato eletto col Pd e pertanto si è rispettata la normale prassi che assegna all'opposizione il presidente della Vigilanza.
Ma Veltroni & co. si sono chiesti perchè si sia giunti a questo punto? La vicenda è partita con l'elezione di un giudice della Consulta (che doveva succedere a Vaccarella): questa spettava per prassi parlamentare al centrodestra, che aveva indicato il nome di Gaetano Pecorella. Un nome certo importante, ma con qualche problema di opportunità politica, dal momento che è attualmente indagato. Allora il centrodestra ha proposto un nuovo nome, su cui si è trovata l'intesa: Giuseppe Frigo. Parallelamente si trascinava l'elezione del presidente della Commissione di Vigilanza Rai, che spetta al Pd: il nome proposto da Pd e Idv è stato quello di Leoluca Orlando, portavoce dell'Italia dei Valori di Di Pietro. Oltre alle riserve sulla persona, lo stesso Orlando ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera in cui affermava che il nostro Paese è in una situazione simile all'Argentina e si avvicina alla "deriva autoritaria".
A questo punto mi chiedo come una persona del genere possa essere definita equilibrata e come possa essere la persona giusta per presiedere un organo di garanzia come la Vigilanza Rai? Perciò auguri a Villari per la sua elezione, sperando che, avendo a cuore l'interesse del Paese, non ceda alle richieste di dimissioni di Veltroni, che certo ora ha un problema interno con l'Idv.

giovedì 6 novembre 2008

LA NOTTE DI PINTURICCHIO











Santiago Bernabeu, Madrid

REAL MADRID - JUVENTUS

0 - 2


17' pt, 22' pt ALESSANDRO DEL PIERO


Ieri sera, nel tana dei lupi madridisti, una leggenda ci ha incantato: Pinturicchio ha dipinto sulla tela bianconera due reti da incorniciare che hanno fatto gioire i tifosi juventini giunti nella capitale spagnola e incantato i tifosi avversari. Risultato: standing ovation per il Capitano all'uscita dal campo; e non è poco considerando che: 1) si giocava al Santiago Bernabeu; 2) il Real perdeva 2 a 0.
Perciò onore a Del Piero che al Bernabeu non aveva mai segnato: a quasi 34 anni (domenica festeggia il compleanno) si è tolto una delle più belle soddisfazioni della sua vita. E poi, sempre a proposito di statistiche, la Juve non vinceva a Madrid dal 1962 con Sivori: 46 anni dopo compie l'impresa e la compie con un altro uomo simbolo. Ieri sera, Alex, ha mostrato in maniera ancora più lampante (se ancora ve n'era bisogno) che lui è il Capitano, che ha saputo prendersi sulle spalle questa squadra che fino a un mese fa sembrava in crisi e ora ha collezionato cinque vittorie di fila, di cui due con il Real.
E giusto notare come ieri sera, per quanto il match sia stato sofferto, il Real non ha giocato al massimo e ha sprecato alcune palle gol, molto pericolose sotto la porta di Manninger (cui va dato atto di essersi comportato bene), graziando così la Juve, che da par suo ha tirato fuori i denti e ha affondato i colpi.

MITICO CAPITANO!





mercoledì 5 novembre 2008

BARACK OBAMA PRESIDENTE DEGLI USA


E così Barack Obama è il primo presidente di colore degli Stati Uniti d'America, una cosa impensabile fino ad un anno fa, resa possibile oggi dalla grande prova corale di democrazia che gli Statunitensi hanno mostrato al mondo. Da mesi i sondaggi davano Obama davanti a McCain al punto che in molti hanno creduto che il candidato democratico avrebbe potuto bruciarsi; ma così non è stato. La sua campagna elettorale è stata magistrale e impeccabile, dovunque si parlava del fenomeno Obama: Internet, giornali, libri dedicati a questo uomo che ci ha mostrato come, lottando con i denti, si può raggiungere l'obiettivo.
Torno però a sottolineare come gli Stati Uniti, ancora una volta e per chi ne voleva un'ulteriore conferma, hanno mostrato unità e amore per la democrazia recandosi in massa alle urne (l'affluenza è stata veramente alta) a votare un uomo che incarna, almeno a parole, il nuovo, la speranza nel domani, il segno di una nuova era.
E poi come si può non soffermarsi sul discorso che ha pronunciato dopo la vittoria? Lo ritengo un esempio che tanti politici nostrani dovrebbero leggere e considerare nel futuro, un discorso nel quale, oltre ai ringraziamenti di rito, Obama rende onore al suo avversario, si congratula con lui per gli sforzi compiuti per il Paese. Un discorso speciale fin dalle prime parole, nelle quali comunica a tutti che il "fenomeno Obama" non è più un fenomeno e basta, bensì è pura realtà, da toccare con mano.
Ecco alcune frasi prese dai rispettivi discorsi pronunciati in seguito all'acquisizione dei dati elettorali.

BARACK OBAMA

Se là fuori c'è ancora qualcuno che dubita che l'America sia un luogo dove tutto è possibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri Fondatori sia vivo nella nostra epoca, che ancora mette in dubbio la forza della nostra democrazia, questa notte è la vostra risposta.
È la risposta data dalle file di elettori che si estendevano intorno alle scuole e alle chiese, file mai viste prima da questa nazione, è la risposta che hanno dato le persone che hanno aspettato tre, quattro ore, molti per la prima volta in vita loro, perché erano convinti che questa volta doveva essere diverso, che la loro voce poteva fare la differenza.


Noi non siamo mai stati semplicemente un insieme di individui o un insieme di Stati rossi [Repubblicani] e Stati blu [Democratici]: noi siamo e saremo sempre gli Stati Uniti d'America.

È la risposta che ha spinto quelli che per tanto tempo, da tanta gente, si sono sentiti dire che dovevano essere cinici, spaventati, scettici su quello che possiamo fare, sulla possibilità di mettere le mani sul corso della storia e piegarlo in direzione della speranza di un giorno migliore.

Poco fa ho ricevuto una telefonata estremamente gentile da parte del senatore McCain. Il senatore McCain si è battuto a lungo e con convinzione in questa campagna, e ha combattuto ancora più a lungo e con ancora più convinzione per il paese che ama. Ha sopportato sacrifici per l'America che la maggior parte di noi non riesce neppure lontanamente a immaginare. Tutti abbiamo beneficiato dei servizi resi da questo leader valoroso e altruista. Gli faccio le mie congratulazioni, faccio le mie congratulazioni alla governatrice Palin per tutto quello che hanno saputo fare, e spero veramente di poter lavorare insieme a loro nei mesi a venire per rinnovare le promesse di questa nazione.

l'incrollabile supporto di quella che è stata la mia migliore amica negli ultimi 16 anni, la roccia della nostra famiglia, l'amore della mia vita, la prossima first lady della nazione, Michelle Obama.

E anche se non è più con noi, so che mia nonna sta guardando, e con lei la mia famiglia, che mi ha reso quello che sono. Sento la loro mancanza stanotte, e so che il debito verso di loro è incommensurabile.

Ma soprattutto non dimenticherò mai a chi appartiene veramente questa vittoria. Appartiene a voi. Appartiene a voi.

JOHN MCCAIN

Poco fa ho avuto l'onore di chiamare il senatore Barack Obama e di congratularmi con lui per l'elezione a prossimo presidente del paese che entrambi amiamo. In un contesto lungo e difficile come questa campagna elettorale, il solo fatto che abbia vinto merita tutto il mio rispetto.

Siamo alla fine di un lungo viaggio, il popolo americano ha parlato chiaro ma adesso nessun americano deve essere dispiaciuto.

Questa è un'elezione storica, riconosco il significato speciale che ha per gli afroamericani, per l'orgoglio speciale che devono provare stanotte. Ho sempre ritenuto che l'America offra opportunità a chiunque abbia la capacità e la volontà di coglierle e anche il senatore Obama la vede così. Ma entrambi riconosciamo che anche se abbiamo percorso una lunga strada dalle vecchie ingiustizie che un tempo macchiarono la nostra reputazione, il loro ricordo ha ancora il potere di ferire. Invito tutti gli americani che mi hanno sostenuto a unirsi a me non solo nel congratularsi con Obama ma nell'offrire al prossimo presidente la nostra buona volontà e il più grande sforzo per unirci. Quali che siano le nostre differenze, siamo tutti americani.

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