sabato 27 febbraio 2010

MAL DI SCUOLA


Mal di scuola

Marco Imarisio

Bur Futuropassato

€ 9,80

Scuola: parola solenne e al contempo maltrattata, temuta e derisa, troppo importante e troppo degradata. Sono i sentimenti contrastanti che ci animano quando pensiamo alla scuola, quando ne sentiamo parlare alla televisione, quando i fratelli o i figli la raccontano, quando prendiamo contatto diretto con essa. Sono i sentimenti che, come in un caleidoscopio, sono raccolti in maniera sciolta e trascinante in Mal di scuola di Marco Imarisio, un libro risalente a circa due anni fa, nel quale l'inviato del Corriere della Sera concentra nei diversi racconti esperienze contrastanti, gioie, dolori, successi, frustrazioni di maestri e professori alle prese con i giovani di oggi.
Il titolo del libro non è scelto a casa: guardando le scuole da fuori, entrando al loro interno, camminando nei corridoi e conversando con gli insegnanti, la sensazione più facile da notare è proprio il "mal di scuola", l'insofferenza per un luogo che ha perso molto del suo patrimonio culturale che storicamente l'ha collocato tra le istituzioni del Paese; e con la scuola hanno perso peso e dignità i principali artefici che hanno contribuito alla sua grandezza, i docenti. E' quello che si può notare da Milano a Palermo, da Torino a Taranto, da Genova a Napoli: in ogni angolo d'Italia la scuola ha cambiato tristemente volto, rispecchiando il cambiamento della società.
Uno degli aspetti che più impressiona, ricordato in vari punti del libro e mostrato chiaramente nel linguaggio forbito del verbale di un ispettore, è il rapporto genitori-insegnanti; se prima i genitori si rimettevano alle decisioni dei docenti e riprendevano i propri figli evidentemente rei di qualche mancanza, ora i genitori sono i più strenui difensori, sempre e comunque, dei figli, non più accusabili di alcuna omissione, semplicemente vittime della persecuzione degli insegnanti, che evidentemente amano prendere di mira e crocifiggere gli alunni. Il disagio montante è il Leitmotiv, il disamore per la cultura è il segno di una società in declino, lo scarso coinvolgimento degli alunni riflette sia una loro povertà di valori spesso legata a situazioni familiari non ideali sia a una difficoltà e talora ad un'incapacità di molti docenti che, al di là delle nozioni didattiche, non riescono più ad essere educatori. Ben inteso: sarebbe assurdo delegare l'educazione dei figli alla scuola, mallevando i genitori da una loro precipua responsabilità, ma storicamente la scuola era una palestra di vita, era il luogo in cui per la prima volta si veniva a contatto con i piccoli problemi della vita, gli enigmi di situazioni intricate, il banco di prova sul quale maturare e crescere per camminare nella vita più forti e più solidi.
Pur condividendo tutto quanto sopra esposto, non posso fare a meno di sottolineare come nei racconti del libro manchi comunque un po' di autocritica da parte degli insegnanti che hanno accettato di raccontare le proprie storie. Perché, come sempre, le colpe, seppure in misure diverse, sono da ambedue le parti; se un ragazzo fallisce nel suo obiettivo, al di là delle sue mancanze, è necessario che l'insegnante si chieda cosa non ha funzionato, cosa si è inceppato nel meccanismo di insegnamento, ricerchi la causa della difficoltà di comunicazione. Solo così l'insegnante crescerà e i suoi ragazzi ne trarranno giovamento, si dimostreranno più interessati e più coinvolti dalle lezioni.

La scuola, come ben sappiamo, viene vissuta oggi come un problema: non c'è governo che non si faccia ricordare per aver messo in campo una riforma, sostenendo che quella possa risolvere tutti i problemi che invece a distanza di tempo si ripresentano o rimangono invariati. Ma la scuola è una risorsa che non possiamo permetterci di perdere, che non possiamo usare come totem ideologico, è il petrolio del nostro futuro, la sola via percorribile per assicurare ai giovani un futuro più roseo e non possiamo mortificarla continuando ad affrontarla come un'emergenza: serve che tutti i soggetti in campo, lasciando da parte gli egoismi, si adoperino per un ammodernamento serio e utile. Chissà quando questo avverrà...

domenica 21 febbraio 2010

SANREMO: O LO ODI O LO AMI

E pure questo Festival è passato: cinque giorni di musica e polemiche a non finire che hanno segnato la manifestazione che dovrebbe consacrare la canzone italiana. E' di moda da qualche anno, invece, sottrarre attenzione alla musica e montare casi mediatici utili ad aumentare i dati d'ascolto. Come dimenticare la querelle su Morgan? Vogliamo dire che è stato un modo artificioso di escluderlo? O che è stato un ottimo viatico per tenere più spettatori attaccati alla tv, tra la certezza che sarebbe stato riammesso e l'incertezza di una sua partecipazione come ospite?
Nonostante l'alto share che ha caratterizzato questa 60^ edizione, non si può certo parlare di un Festival di successo. A partire dalla presentatrice, Antonella Clerici, sicuramente brava ma più adatta a districarsi tra pentole e fornelli, con vestiti non sempre adatti al fisico ancora robusto, sebbene ritoccato da pillole dimagranti, responsabile di una conduzione certamente apprezzata, ma forse troppo "casereccia". Avrei pensato ad una Milly Carlucci, ieri sera seduta in platea, che avrebbe potuto dare più brio e freschezza alla trasmissione.

lunedì 15 febbraio 2010

PROCESSO MEDIATICO. E COSI' SIA

A leggere l'intervista a Guido Bertolaso pubblicata qualche giorno fa sul Corriere della Sera, si ha l'impressione che il sottosegretario a capo della Protezione civile sia rimasto vittima di un sistema di intricati e non sempre trasparenti rapporti d'affari su opere come il G8 alla Maddalena o i Mondiali di nuoto. Bertolaso è stato "tradito", come confessa egli stesso, e si rammarica per la vicenda, dalla quale potrebbe trasparire un suo tradimento nei confronti del popolo italiano che nutre simpatia nei confronti di una persona che ha dimostrato di sapersi spendere nelle situazioni più difficili e disparate. Il problema non risiede in questo, ma in tutto ciò che è successo nei giorni seguenti.


domenica 7 febbraio 2010

CHE LA FESTA COMINCI

Che la festa cominci

Niccolò Ammaniti

Einaudi Stile Libero

€ 18

E pure questo è finito: era sommerso da altri libri acquistati nell'ultimo periodo, prima di Natale, ma poi - si sa - si fatica a trovare un attimo per leggere. Così, due settimane fa, mi sono deciso e l'ho preso in mano; ho riletto la dedica in prima pagina, firmata in occasione della presentazione al Collegio Nuovo di Pavia e ho cominciato a leggerlo. Fin dalle prime pagine, che mi avevano conquistato durante la lettura in occasione della presentazione, sono "entrato" nel libro, ho cominciato a rapportarmi con Fabrizio Ciba, con Saverio Moneta e le sue Belve di Abaddon. Ammaniti non è nuovo a questo tipo di rapporto col lettore: una sensazione simile l'ho vissuta leggendo Io non ho paura, da cui è stato tratto un intenso film: lo scrittore romano sa conquistare il lettore, sa portarlo letteralmente nel romanzo. E poi, la forma narrativa che salta, di capitolo in capitolo, da un personaggio all'altro, aiuta ad aumentare la tensione del lettore, la sua attenzione e a tenerlo incollato in modo tale da poter riannodare i fili della narrazione al termine del libro, dove, inevitabilmente, Ciba, Moneta e gli altri personaggi si incontrano e si scontrano in attesa di conoscere il proprio destino.
In breve, la trama ruota attorno alla residenza di Villa Ada, nel centro di Roma, acquistata dal palazzinaro Sasà Chiatti, il quale, per festeggiare, organizza una festa che dovrà essere ricordata come un evento mondano tra i più importanti d'Italia. Per fare questo ricrea una foresta con flora e fauna autoctoni, convoca battitori neri e tutta la Roma bene tra calciatori, veline, politici, attori e attricette; tra tutti ci sono anche il grande scrittore Fabrizio Ciba, la famosa cantante Larita, Saverio Moneta detto Mantos e le sue Belve di Abaddon, che alla fine del libro si incontrano dopo aver vissuto numerose e differenti peripezie. Tutta la narrazione è condita da un'ironia, tipica di Ammaniti, capace di cogliere vizi e virtù della società contemporanea, nella quale gli ideali e i sentimenti sembrano cedere il passo ai più bassi piaceri.
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