mercoledì 28 luglio 2010

LA PRIGIONE DI NEVE

La prigione di neve

Jan Elizabeth Watson


Fazi Editore

€ 18,50

Un libro eccitante e travolgente per com'è scritto: questo il giudizio sintetico su La prigione di neve, primo romanzo della statunitense Jan Elizabeth Watson. Potrebbero bastare queste poche parole per raccontarvi il romanzo e vi spiego perché: ho fatto fatica a scrivere questa recensione perché sono convinto che svelare anche solo alcune parti della trama sia controproducente per il lettore, proprio com'è capitato a me. Leggendo l'introduzione di Diego de Silva, dopo due pagine, ho pensato di saltarla (proprio nel punto in cui è accennato in modo esplicito al finale) per entrare subito nel mondo di Asta e Orion Hewitt, i due protagonisti. Il lettore dovrebbe avere la completa libertà durante la lettura di non sapere nulla dell'intreccio, di poterlo scoprire pagina dopo pagina, procedendo da solo in una storia che compendia il racconto della vita di due bambini di nove e sette anni, Asta e Orion, in compagnia della madre Loretta, e riflessioni su temi come la malattia mentale, la precisa scansione del tempo data da abitudini consolidate, il potere della suggestione, le fissazioni maniacali, l’amore travagliato tra madre e figli che porta all'isolamento di questi ultimi dal mondo al fine di proteggerli da una presunta malattia, "un universo che Loretta ha costruito secondo la grammatica di un incubo infantile, dal quale non ci si può salvare che isolandosi"; tuttavia un giorno tutto cambia e per i due bambini c'è la possibilità di prendere contatto col mondo esterno e scoprire che in realtà è completamente diverso da quello raccontato sui libri o descritto dalla madre. "La prigione di neve è la storia di una relazione familiare, di un sistema che vive di regole folli ma tenaci. La storia di un orrore sottile nel quale si leggono, in controluce, la voce e il timbro della pietà. E di un rovesciamento: perché non è detto che la reclusione e la schiavitù parlino la stessa lingua, che in un abbraccio ferreo non si possa annidare una qualche forma d’amore.
Insomma, un libro da leggere in puro relax che, accanto ad una storia all'apparenza normale, nasconde numerosi spunti di riflessione per vedere il nostro mondo quotidiano con gli occhi di un alieno, con le sue contraddizioni e le sue difficoltà, l'ostilità nei confronti di chi è considerato "diverso" e perciò non viene compreso, proprio come fa Asta da adulta ricordando la sua infanzia.

sabato 17 luglio 2010

ADDIO ALLA PRO VERCELLI


Quei sette storici scudetti campeggiano ancora nella parte alta della home page: eppure è questione di poco e spariranno per sempre, sparirà per sempre un pezzo del nostro calcio d'antan che all'inizio del Novecento ha dato lustro di sé regalando tanti ottimi elementi alla Nazionale. Questo accadrà alla Pro Vercelli, sbriciolatasi sotto il peso di costi insostenibili, facendo piazza pulita di tutto ciò che è stata. Il comunicato della società, diramato il 17 luglio, è amaro, ma lascia aperto uno spiraglio almeno per i giovani, per la "vera risorsa della società".

La decisione del Consiglio Federale di escludere l’U.S. Pro Vercelli Calcio dal Campionato di Seconda Divisione Lega Pro, ha creato sconcerto in città e in società.
In attesa di conoscere le motivazioni inerenti la decisione del Consiglio Federale, l’U.S. Pro Vercelli Calcio comunica ai tifosi che provvederà nei prossimi giorni a presentare ricorso contro la decisione del medesimo Consiglio Federale.
La dirigenza rivolge un appello particolare a tutti i ragazzi e genitori del Settore Giovanile, vera risorsa della società, affinché sappiano “attendere” con pazienza e senza ansia gli sviluppi della vicenda.
Si continuerà comunque a lavorare su un settore che non vuole vanificare il lavoro di anni: l’attività di programmazione per la stagione 2010-2011 continuerà…
Siamo fiduciosi nel buon esito della vicenda e ci auguriamo di avere presto nuovi riscontri positivi da comunicarVi.

…ancora una volta FORZA PRO!!!

Risale al 1903 la nascita della prestigiosa società di Vercelli, terra di riso e di sport, visto che la nascita della Società Ginnastica Pro Vercelli data al 1892, prima fra le sorelle del quadrilatero: Alessandria, Casale e Novara. Solo undici anni dopo, grazie a Marcello Bertinetti, studente appassionatosi al nuovo sport dopo aver visto la Juventus, nasce la specifica sezione dedicata al football ed inizia la lunga tradizione calcistica. Ben sette gli scudetti del palmares, tra il 1908 e il 1922, forse otto se l'Inter avesse accettato di rinviare lo spareggio del 1910, dal momento che i migliori giocatori delle "bianche casacche" erano impegnati in tornei militari.
Come ci si può dimenticare di Silvio Piola, straordinario giocatore d'altri tempi e vero uomo dei record? E' stato il miglior cannoniere di tutti i tempi in serie A con 274 reti; ha segnato il maggior numero di gol in una partita di serie A: ben sei nella partita di campionato Pro Vercelli-Fiorentina (7-2 del 29 ottobre 1933); è stato il più anziano goleador su azione del campionato italiano a 40 anni, 6 mesi e 9 giorni (Novara-Milan del campionato 1953-54); è stato il miglior realizzatore in serie A di ben tre squadre: Pro Vercelli, Lazio e Novara. Oltre al grande Piola, la Pro Vercelli aveva altri gioielli: Giuseppe Milano I, centrocampista e capitano della Nazionale nelle undici partite con essa disputate; Guido Ara, strepitoso mediano, vercellese di nascita, esordiente nella Pro Vercelli non ancora ventenne; Virginio Rosetta, che esordì a 17 anni nella Pro Vercelli come attaccante per poi diventare terzino, passato alla Juventus nel 1923 per cinquantamila lire quando presidente era Edoardo Agnelli.
Se ne va, in un attimo, tutto un pezzo di storia, un pezzo di tradizione calcistica che affonda le sue radici in profondità e che ha sempre nobilitato questo sport. I primi problemi c'erano stati agli inizi degli anni Novanta, ma poi si riuscì a risalire la china. Solo pochi mesi, visti i problemi incipienti, era stata organizzata una fiaccolata al fine di sensibilizzare la città sulla vicenda e per fare in modo che "la storia di 118 anni e 7 scudetti non venga cancellata, auspicando un futuro senza nubi"; erano stati invitati ex vecchie glorie e istituzioni cittadine. Era l'ultimo atto di fede di una tifoseria preoccupata per le sorti delle "bianche casacche" e amareggiata dalle tante trattative fallite o mai cominciate o solo frutto di inopportune e gratuite pubblicità. Ora tutto appare più duro, si ha l'impressione di una chiusura definitiva di un capitolo di storia di grande calcio, nonostante il tentativo di salvataggio da parte di una cordata di imprenditori locali che poche settimane fa aveva raccolto 140 mila euro per l'iscrizione al campionato di seconda divisione di Lega Pro. Sforzo invidiabile ma inutile, non è bastato a salvare le "bianche casacche" dal baratro.
Eppure il campionato appena trascorso era stato chiuso al dodicesimo posto nella seconda divisione della Lega Pro e solo due anni fa avevano festeggiato il centenario del primo scudetto. Destino crudele: quando il calcio, soffocato dal business, rischia di morire.

giovedì 15 luglio 2010

LA POLITICA SOTTO SCACCO

Un grande successo delle forze dell'ordine, una retata con 300 arresti tra Calabria e Lombardia, un'operazione dalla quale viene un colpo deciso alla 'ndrangheta, di cui viene svelata l'organizzazione sino ad oggi conosciuta solo in minima parte. Soprattutto si alza il velo di connivenze che l'organizzazione criminale aveva steso al Nord, tra imprenditori e personaggi vicino alla politica. Nessuna condanna anzitempo, per ora si tratta di avvisi di garanzia e non di condanne.
Tuttavia, se allarghiamo per un attimo lo sguardo sulle vicende politiche degli ultimi tempi, troppe volte incappiamo in notizie tutte molto simili: accuse di corruzione, di associazione con organizzazioni criminali, di uso illecito di denaro pubblico e simili. E questo ci impone una riflessione, non possiamo far finta di nulla e continuare ad alzare le spalle. Perché, a ben pensarci, se queste condotte si stanno ripresentando con una frequenza così elevata, allora c'è qualcosa anche nell'opinione pubblica che non funziona. Ritengo che il ruolo svolto dal popolo nel vigilare affinché tutto proceda sul binario della legalità non debba mai venir meno, non debba essere annichilito da sentenze che non si condividono e che fanno pensare che se a protestare non si ottiene nulla, allora non val la pena far sentire la propria voce. E' fondamentale che la popolazione tenga continuamente gli occhi aperti e denunci con tutti i mezzi a sua disposizione il malcostume: non possiamo permetterci il lusso di perdere questo importante faro. Perché credo che, se i comportamenti illeciti da parte dei politici sono aumentanti, questo sia anche dovuto al fatto che l'opinione pubblica ha un po' mollato la presa, ha fatto sentire meno il fiato sul collo alla politica, convinta che tanto la politica è solo denaro, favoritismi, arricchimento personale e nulla di più e a tale stato di cose non ci si può opporre. Con questo non voglio dire che, al contrario, sia tutto rose e fiori: c'è del marcio e sembra essercene molto, almeno a prima vista, ma non possiamo girarci dall'altra parte per non sentirne il tanfo.
Sull'altro lato della barricata, è chiaro che la politica è in un momento cruciale: almeno una parte del mondo politico è messa all'angolo, costretta a fare i conti con la realtà che ha cercato di dirigere a suo uso e consumo, infischiandosene del bene comune. Come ieri, anche oggi la corruzione passa attraverso la spesa pubblica: tuttavia, se ieri lo Stato in senso lato pensava a finanziare i partiti e i suoi dirigenti, oggi è palese la preoccupante involuzione per la quale sono le lobbies a comprare coloro che hanno il potere per asservirli ai loro bisogni. C'è stata quindi un'inversione di tendenza, ma nessun miglioramento: la crisi profonda della politica che pensavamo di aver superato dopo il giro di boa di Tangentopoli in realtà perdura ancora oggi, nonostante i cambiamenti che non hanno cambiato nulla. Proprio come il Gattopardo, abbiamo cambiato per non cambiare e ci ritroviamo con una politica ancora più debole, incapace di rispondere alle pressioni differenti che le vengono fatte. O almeno ci siamo illusi di cambiare e ci abbiamo creduto. Tuttavia, lasciando qualche metastasi qua e là, dimenticandola (in)volontariamente, abbiamo permesso che il male potesse comunque sopravvivere e forse i risultati sono quelli che abbiamo oggi sotto i nostri occhi. Si badi bene, l'ho già ripetuto in altre occasioni e voglio precisarlo: non tifo perché ci sia una nuova Tangentopoli, non ne abbiamo bisogno visto il momento di difficoltà; è innegabile, però, che ciò che emerge dalle cronache giudiziarie ricordi, forse alla lontana, quei comportamenti in parte puniti e che pensavamo, forse sognando, di esserci messi alle spalle.
Se ci caliamo un po' nella situazione, è facile vedere qual è lo scadimento della politica: un partito come il Pdl che nasceva per unire si trova a combattere le spinte centrifughe. Un partito come il Pdl che doveva dimostrare di essere in grado di governare il Paese senza scossoni per cinque anni singhiozza davanti alle correnti nate nel suo seno e davanti alle inchieste a raffica che gli piovono addosso ogni giorno. E non si salva nulla invocando il vittimismo, recitando la parte di chi è bersaglio di un complotto (quanto siamo bravi noi Italiani a vedere complotti dovunque!): ci sarà pure una parte della magistratura politicizzata, ma dinanzi a tante anomalie messe in fila una dietro l'altra, sarebbe più saggio fermarsi a riflettere per prendere la decisione più saggia anziché sbraitare ogni giorno da un palco o dalle pagine dei giornali. Perché troppi sono i nomi grossi tirati in ballo: Cosentino, le cui accuse di collaborazione con la camorra gli erano costate la candidatura a governatore della Campania; Verdini, coinvolto nell'inchiesta sugli appalti in Abruzzo; Scajola, coinvolto (ma non indagato) nell'inchiesta sugli appalti del G8, la cui vicenda ha fatto sorridere tutti: non è da tutti i giorni vedersi comprare una casa senza saperlo! (l'accusa è che la sua casa di fronte al Colosseo fosse stata acquistata in parte con i soldi del costruttore Anemone); Brancher, costretto alle dimissioni-lampo dopo essere diventato ministro per meriti ignoti e per di più capo di un dicastero simile, se non uguale, a quello già presieduto da Bossi: una mossa esclusivamente mirata ad evitare, tramite il legittimo impedimento, di presentarsi alle udienze del processo per la scalata ad Antonveneta.
Seguiremo l'evolversi dei fatti perché al momento non c'è nessuna condanna e il garantismo non può essere a corrente alternata. Resta tuttavia l'amaro in bocca per tutto quanto sta avvenendo, a testimonianza di una caduta libera della politica che, se non saprà riprendersi, potrà farsi e fare molto male.
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