martedì 24 febbraio 2009

DOVEVA MORIRE. CHI HA UCCISO ALDO MORO. IL GIUDICE DELL'INCHIESTA RACCONTA.



DOVEVA MORIRE
CHI HA UCCISO ALDO MORO

IL GIUDICE DELL'INCHIESTA RACCONTA

Ferdinando Imposimato

Sandro Provvisionato


Chiarelettere


€ 15,60

Grandi complimenti ad Imposimato e Provvisionato per questo libro: in quasi 400 pagine hanno racchiuso tutti i principali equivoci di quello che viene considerato uno dei più grandi misteri del nostro Paese.
E' bene sottolineare come il titolo non debba ingannare il lettore: nessuna dietrologia sul delitto Moro, nessun teorema costruito ad hoc per giudicare qualcuno; solo un resoconto di fatti, documenti e testimonianze preziosissimi, soprattutto perchè alcuni di questi sconosciuti fino a poco tempo fa, per cercare di capirci qualcosa di più. Con una tesi finale: Aldo Moro, nonostante numerose circostanze favorevoli alla sua liberazione, è stato lasciato morire perchè doveva morire.
Solo scorrendo il sommario, già vengono i brividi: "La prigione che nessuno voleva trovare. Ma la polizia di Cossiga sapeva tutto", "Il Comitato di crisi. Indagini bloccate, tutti piduisti", "I consiglieri di Cossiga. Le parole agghiaccianti di Steve Pieczenik", "Depistaggi di Stato. La svolta: via Gradoli e il lago della Duchessa" solo per citarne alcuni, sebbene tutti siano interessanti ed aiutino ad inquadrare meglio la vicenda.
Si giunge alla fine del libro con una strana sensazione: sembra che per trent'anni ci sia stata raccontata un' altra storia e che questa sia totalmente inventata. E invece no: a supporto delle loro tesi i due autori hanno una quantità immensa di documenti, alcuni dei quali presenti nelle pagine finali del libro, tanto per destare ancora più stupore nel lettore.

Le "Conclusioni" del libro, una sorta di riassunto, sono semplicemente agghiaccianti: il sequestro Moro era chiaramente un sequestro annunciato, come dimostrano i timori personali di Moro e gli strani movimenti precedenti il sequestro in via Savoia, dove aveva sede il suo studio; ad interferire nelle indagini sono stati vari personaggi: Cossiga prima di tutti , il quale aveva interferito vistosamente nell'operato della magistratura, anche aiutato dalla sua creatura, l' Ucigos, oltre al ruolo chiave della P2, "un organismo che, di fatto, decise la strategia politico-militare, ma anche investigativa e giudiziaria, da tenere nei cinquantacinque giorni della prigionia di Moro"; le occasioni mancate per liberare Moro sono state troppe, almeno otto ne contano gli autori: tra tutte gioca un ruolo importante via Gradoli, che vanta tre perquisizioni nel giro di 32 giorni senza risultati, escludendo l'ultima, che dalla dinamica sembra essere stata "suggerita" dalle stesse Br; la ragion di Stato, cui Moro stesso nelle lettere dal carcere si oppone, viene data come giustificazione all' atteggiamento di fermezza del Governo, nascondendo il "vero movente che sottende la sua morte". C'è un movente, che può apparire "incredibile" e " che Moro aveva compreso perfettamente: la corsa al Quirinale" del duo Cossiga-Andreotti. Il primo ci riuscirà nel 1985, "occupando proprio quella poltrona che molti pensavano sarebbe spettata a Moro" (val la pena ricordare come il boicottaggio contro Moro era cominciato nel 1971 quando al Quirinale fu eletto Segni), il secondo, nominato senatore a vita dallo stesso Cossiga nel 1992, in quello stesso anno "si presenterà con tutte le carte in regola per succedergli. Ma nel maggio 1992, momento clou della battaglia al Quirinale, Andreotti sarà eliminato a seguito dell'uccisione di Salvo Lima prima e poi della strage di Capaci".

domenica 22 febbraio 2009

CIAO CANDIDO!


Candido Cannavò è morto questa mattina alle 8,48 a Milano, all’ospedale Santa Rita dove era ricoverato da giovedì per una emorragia celebrale. Storico direttore della Gazzetta, poi editorialista, si è spento a 78 anni; ha guidato la Gazzetta dal 1983 al 2002.

Se ne va un altro grande giornalista, uno di quelli che viveva per scrivere, come testimonia il fatto che il malore gli è occorso proprio nella redazione della Gazzetta, il grande amore della sua vita che ha diretta per quasi vent'anni.

CIAO CANDIDO!

venerdì 20 febbraio 2009

LA SCONFITTA DI VELTRONI E LA MENTALITA' DELLA SINISTRA

Ormai da pochi giorni si sono consumate le dimissioni di Walter Veltroni da segretario del Pd e le analisi politiche su tutti i giornali ci hanno illuminato sui possibili scenari futuri e sui retroscena, più o meno evidenti.
Io ritengo che sia utile leggere questo evento politico di grande importanza da un'altra ottica. Ossia analizzando le cause profonde che ormai da quindici anni attanagliano la sinistra italiana, rendendola instabile e costringendola, come ha ricordato Veltroni nella conferenza stampa, a cambiare sei-sette leader, bruciandoli, senza arrivare a nulla. E' il punto di vista che condividono due addetti ai lavori come Fabrizio Rondolino e Sergio Romano, che hanno sapientemente argomentato che i problemi attuali del Pd riconoscono una genesi comune legata ad incomprensioni del passato, a problemi irrisolti di ieri che si ripropongono variamente ed inevitabilmente oggi.
Risulta evidente che se il Pd non ha saputo imporsi come partito a vocazione maggioritaria, non riuscendo a conquistare quella fetta di elettorato alla quale vuole parlare, il problema è legato alla mancanza di una vera identità. Perchè? Perchè il Pd nasce dalla confluenza dei Ds e della Margherita ovvero dalla confluenza degli ex comunisti che ancora non sono riusciti a fare completamente i conti col passato e degli ex democristiani, anch'essi impegnati a rivedere i propri profili identitari, motivo per cui ne nasce un così forte contrasto. Si diceva che la fusione Ds-Dl non era a freddo, ma io nutro forti dubbi. Il caso lampante della mancata decisione della collocazione a livello europeo è paradigmatico.
Riguardo la figura di Veltroni, è bene sottolineare come l'abitudine di usare una persona come capro espiatorio di colpe commesse da un gruppo in Italia è ancora ben radicata. In altri Paesi europei, nonostante alcune sconfitte amministrative, i leaders non hanno dovuto rassegnare le proprie dimissioni, ma - si sa - noi Italiani siamo diversi, siamo speciali per certe cose.
Accanto a questa considerazione, mi preme invece evidenziare il modo in cui la sinistra ha preso atto della sconfitta in Sardegna al fine di mettere in luce come la presunta superiorità comporti errate analisi e pertanto errate ricette. Proprio a Ballarò, martedì sera, ho sentito Concita De Gregorio, direttrice de L'Unità: ancora dalla sua bocca, nel corso dell'analisi del voto, sono uscite le parole "Berlusconi pericolo per la democrazia", confermando così che l'antiberlusconismo, checchè ne dicesse Veltroni con buoni propositi, è ancora vivo, oggi più che mai, e viene usato. Verrebbe da dire: contenti loro, contenti tutti; se loro ritengono di analizzare così una sconfitta, addossando le proprie colpe su altri, anzichè fare un vero e serio esame di coscienza, allora non abbiamo speranze. Perchè - vedete - ho come l'impressione che questa malattia - quella di non saper analizzare le sconfitte per non dover ammettere di aver sbagliato, minando quel teorema della superiorità morale della sinistra, così ben descritto da Luca Ricolfi - sia talmente grave nella sinistra da essere difficile, se non impossibile, da curare. Non illudiamoci, quindi, che cambiando il segretario, cambi la musica: finchè non ci si mette intorno a un tavolo e si discute seriamente su tutto ciò che serve al Pd per essere un partito che raccolga consensi (identità, le cosiddette piattaforme politiche, etc.), non si arriverà alla soluzione.
Ciò che dice D'Alema oggi su Repubblica va in parte in questa direzione: spero sia l'inizio.

martedì 17 febbraio 2009

IL PDL VINCE IN SARDEGNA

E così, anche la Sardegna è andata al Pdl. Non senza qualche dubbio, almeno inizialmente. Dubbio dettato dal fatto che il candidato Cappellacci è stato una creatura di Berlusconi ("Ha scelto il candidato e per dote gli ha dato se stesso: il suo simbolo, il suo volto, il suo nome e la sua voce" affermava Verderami sabato scorso sul Corriere). Il quale però ha dimostrato, per l'ennesima volta, la sua vera potenza politica: ha replicato la scelta di Cappellacci dopo quella di Chiodi in Abruzzo, anche quest'ultimo un uomo fuori dagli schieramenti consueti, che ha riportato la vittoria.
E pertanto il problema politico ora si pone: di fronte ad una Lega troppo forte, sempre pronta a chiedere posti, spesso anche importanti, è sceso in campo Berlusconi stesso a cercare di calmare gli animi. Riuscendoci, direi. E con la sicurezza e il nerbo del politico navigato, ha dimostrato, ancora una volta - se ancora se ne sentiva il bisogno - che l'uomo forte del centrodestra è lui: è grazie a lui se nel Pdl non si assiste ai molti mal di pancia che affliggono il Pd, è grazie a lui, insomma, se la navigazione del Pdl è abbastanza tranquilla. Ma il problema politico si pone anche per gli altri alleati: guai a chi metterà in dubbio i candidati di Berlusconi alle Amministrative, rivelatisi sempre vincenti. Una brutta gatta da pelare, per tutto il centrodestra, che sicuramente si troverà a discutere sugli equilibri interni, in vista delle prossime elezioni amministrative ed europee.
Il Pd, invece, esce nuovamente con le ossa a pezzi da questa competizione: nuovamente il candidato appoggiato da Veltroni frana sotto i colpi del centrodestra. Segno tangibile, come è successo in Abruzzo, di un male politico su cui il Pd non ha saputo riflettere, trovando adeguate soluzioni. E questo, a mio avviso, è molto grave: se il Pd non vince a livello locale, è semplicemente perchè troppe sono le beghe che gli amministratori di Comuni e Province devono risolvere, sia all'interno del Pd sia con gli alleati. E, molto probabilmente, figlia di questa incapacità di vincere è anche la profonda divisione a livello nazionale, con un Veltroni che ogni giorno è sempre più debole, lavorato ai fianchi dagli ex Ds che reclamano un cambio di rotta e dagli ex Dl che si lamentano per la mancanza di peso che hanno dentro il partito. E, quindi, un partito diviso a livello nazionale paga a caro prezzo questi litigi con le divisioni a livello locale, le quali conducono a sconfitte, spesso brucianti, nel corso delle consultazioni elettorali.

domenica 8 febbraio 2009

FERMIAMOCI DINANZI AL DOLORE

Da quanti giorni assistiamo al tam tam di notizie sul caso Englaro? Tanti, anzi troppi, francamente troppi: credo sia giunta l'ora del silenzio per rispetto della famiglia Englaro.
Come ha ben ricordato l'ex Capo dello Stato Ciampi su "Repubblica" ("mi rattrista molto vedere che un caso umano così doloroso diventi occasione per cercare di attaccare il Capo dello Stato. E' davvero inopportuno, e mi amareggia innanzitutto come cittadino, che si prenda spunto da una vicenda drammatica per cercare di affievolire i poteri del Presidente"), è molto triste utilizzare strumentalmente il dolore, non solo per attaccare il presidente Napolitano, ma proprio per una questione di buon gusto personale: nessuno di noi ha una misura, neppure minima, del grave dolore che Beppino Englaro da 17 anni vive stando al fianco di sua figlia. Che non è più la stessa Eluana delle fotografie: considerazioni - queste - ben espresse dal professor Da Monte ("Ho provato un dolore immenso per questa ragazza, che ci è stata presentata nel fiore della giovinezza, piena di gioia di vivere. Mi sono trovato davanti a una persona completamente diversa dall'immaginario che ognuno di noi si era creato.")
A questo punto mi chiedo: è giusto che la politica continui a parlare e ad usare per meri interessi propri la vicenda Englaro? Stiamo parlando di quella stessa politica che da tempo ragiona di una legge sul testamento biologico, senza giungere a nessun atto concreto. Con la mia memoria arrivo ancora ai tempi del governo Prodi, con Ignazio Marino presidente della commissione Sanità del Senato, la quale aveva licenziato un testo; e poi come mai non se n'è più fatto nulla? Troppi erano i disaccordi sulla questione tra i cattolici e i laici del Pd, duramente contrapposti. E arriviamo così ad una sentenza della Corte di Cassazione che respinge il ricorso della procura di Milano, autorizzando la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione ad Eluana.
Ritengo che la politica debba fare un serio esame di coscienza: su una materia riguardo la quale doveva legiferare il Parlamento è dovuta intervenire la magistratura per sanare evidentemente una mancanza della legge. E ora che fa il Governo? Fa i salti mortali, convocando in fretta e furia Camera e Senato per lunedì al fine di discutere un ddl sul testamento biologico...
Non credo sia proprio la maniera più giusta di agire: indipendentemente da ciò che ciascuno di noi possa pensare riguardo la fine della vita, è bene mantenere comunque un certo contegno dinanzi al dolore profondo di un padre che vede da 17 anni la sua figlia nelle condizioni che tutti conosciamo. Rispettando quindi anche la sua decisione di porre fine alla vita (se tale può essere definita) di Eluana. Ecco perchè ha fatto bene, a mio parere, il presidente Napolitano a non firmare il decreto legge approvato venerdì mattina dal Governo dal momento che "non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di necessità ed urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione se non l’impulso pur comprensibilmente suscitato dalla pubblicità e drammaticità di un singolo caso."
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