venerdì 20 febbraio 2009

LA SCONFITTA DI VELTRONI E LA MENTALITA' DELLA SINISTRA

Ormai da pochi giorni si sono consumate le dimissioni di Walter Veltroni da segretario del Pd e le analisi politiche su tutti i giornali ci hanno illuminato sui possibili scenari futuri e sui retroscena, più o meno evidenti.
Io ritengo che sia utile leggere questo evento politico di grande importanza da un'altra ottica. Ossia analizzando le cause profonde che ormai da quindici anni attanagliano la sinistra italiana, rendendola instabile e costringendola, come ha ricordato Veltroni nella conferenza stampa, a cambiare sei-sette leader, bruciandoli, senza arrivare a nulla. E' il punto di vista che condividono due addetti ai lavori come Fabrizio Rondolino e Sergio Romano, che hanno sapientemente argomentato che i problemi attuali del Pd riconoscono una genesi comune legata ad incomprensioni del passato, a problemi irrisolti di ieri che si ripropongono variamente ed inevitabilmente oggi.
Risulta evidente che se il Pd non ha saputo imporsi come partito a vocazione maggioritaria, non riuscendo a conquistare quella fetta di elettorato alla quale vuole parlare, il problema è legato alla mancanza di una vera identità. Perchè? Perchè il Pd nasce dalla confluenza dei Ds e della Margherita ovvero dalla confluenza degli ex comunisti che ancora non sono riusciti a fare completamente i conti col passato e degli ex democristiani, anch'essi impegnati a rivedere i propri profili identitari, motivo per cui ne nasce un così forte contrasto. Si diceva che la fusione Ds-Dl non era a freddo, ma io nutro forti dubbi. Il caso lampante della mancata decisione della collocazione a livello europeo è paradigmatico.
Riguardo la figura di Veltroni, è bene sottolineare come l'abitudine di usare una persona come capro espiatorio di colpe commesse da un gruppo in Italia è ancora ben radicata. In altri Paesi europei, nonostante alcune sconfitte amministrative, i leaders non hanno dovuto rassegnare le proprie dimissioni, ma - si sa - noi Italiani siamo diversi, siamo speciali per certe cose.
Accanto a questa considerazione, mi preme invece evidenziare il modo in cui la sinistra ha preso atto della sconfitta in Sardegna al fine di mettere in luce come la presunta superiorità comporti errate analisi e pertanto errate ricette. Proprio a Ballarò, martedì sera, ho sentito Concita De Gregorio, direttrice de L'Unità: ancora dalla sua bocca, nel corso dell'analisi del voto, sono uscite le parole "Berlusconi pericolo per la democrazia", confermando così che l'antiberlusconismo, checchè ne dicesse Veltroni con buoni propositi, è ancora vivo, oggi più che mai, e viene usato. Verrebbe da dire: contenti loro, contenti tutti; se loro ritengono di analizzare così una sconfitta, addossando le proprie colpe su altri, anzichè fare un vero e serio esame di coscienza, allora non abbiamo speranze. Perchè - vedete - ho come l'impressione che questa malattia - quella di non saper analizzare le sconfitte per non dover ammettere di aver sbagliato, minando quel teorema della superiorità morale della sinistra, così ben descritto da Luca Ricolfi - sia talmente grave nella sinistra da essere difficile, se non impossibile, da curare. Non illudiamoci, quindi, che cambiando il segretario, cambi la musica: finchè non ci si mette intorno a un tavolo e si discute seriamente su tutto ciò che serve al Pd per essere un partito che raccolga consensi (identità, le cosiddette piattaforme politiche, etc.), non si arriverà alla soluzione.
Ciò che dice D'Alema oggi su Repubblica va in parte in questa direzione: spero sia l'inizio.

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