domenica 24 ottobre 2010

LA DONNA DI SCORTA

La donna di scorta

Diego De Silva

Einaudi

€ 9,50

Un uomo e una donna. Una giornata di pioggia, un incontro casuale per strada, le facce che si studiano e si piacciono da lontano: lei è Dorina, titolare di un'agenzia di traduzioni e ricerche bibliografiche, giovane, bella e single; lui è Livio, antiquario, sposato con Laura e padre di Martina. Da qui comincia quella che apparentemente si potrebbe definire un'ordinaria relazione tra amanti clandestini, che al contrario, pagina dopo pagina, diventa sempre meno ordinaria e sempre più straordinaria, una storia in cui i ruoli si invertono fin dall'inizio. Amore, adulterio, relazione, amicizia, il loro rapporto non si può classificare, i ruoli sono chiari da subito. Livio rimane estremamente colpito da questa relazione in cui le gerarchie non esistono: Dorina non è una donna di scorta, non vuole prendere il posto di Laura, non vuole da Livio nulla di più di quello che le può dare, non patisce la sua condizione di amante, non le importa quello che succede nella sua famiglia quando Livio è marito e padre. E questo Livio non lo capisce; inizia, così, a farsi prendere da un'ossessione che lo attanaglia in tutti i momenti della giornata, vuole capire se il silenzio, la mancanza di domande, la quiete che pervade Dorina ogni volta che Livio rientra in famiglia stanno a significare disinteresse oppure comprensione della sua posizione e nulla di più.
Domenico Scarpa afferma che "De Silva è un narratore nato, che sa raccontare e riflettere nello stesso respiro di frase" e nulla di più vero è condensato in questa frase se si pensa che tutta la storia riesce a restituire al lettore, in maniera veritiera e con enorme partecipazione emotiva, il sentimento di autarchia sentimentale che Dorina prova per Livio: non ricatta, non pretende, non insegue un posto perché a lei basta il desiderio dell'altro, la sua vicinanza, la sua presenza e nulla di più. Consiglio, perciò, caldamente questo libro, apprezzerete l'essenza più profonda del racconto di un sentimento che, inizialmente, può apparire malato, ma che in realtà si rivela essere genuino e composto; in special modo, ritengo che le donne potranno apprezzare meglio le sfumature dei comportamenti dei protagonisti e percepire in profondità i loro atteggiamenti e le loro movenze.

mercoledì 20 ottobre 2010

CONTROLLI CHE FANNO ACQUA

Ciò che è successo a Genova una settimana fa è ancora ben chiaro a tutti: una bella partita di calcio non si è potuta giocare per colpa di un gruppo di facinorosi capitanati da un teppista. Nel post di commento a tale vicenda, mi facevo una domanda: "Mi chiedo come quello sfasciatore incivile e il suo codazzo siano potuti entrare a Marassi muniti di fumogeni, pinze e quant'altro per dar luogo alla devastazione dello stadio." Il problema fondamentale era proprio questo: i controlli non erano sufficienti, se a qualcuno sono state controllate bottigliette e patatine ed altri sono entrati con fumogeni, pinze e quant'altro era utile a devastare lo stadio.
A sostenere questi dubbi, arriva il servizio di Striscia la notizia a cura di Valerio Staffelli, che mostra come è possibile entrare negli stadi italiani senza alcuna difficoltà, eludendo i controlli o trovando aiuto nei bagarini. Verrebbe da chiedersi: le nuove norme imposte dal ministro Maroni non dovevano servire a garantire maggiori controlli e maggiore sicurezza negli stadi? Sì, teoricamente sì, mentre all'atto pratico viene mostrato come è facile scampare ai controlli, nonostante i biglietti nominali, che non vengono controllati. La cosa ancor più grave è che non ci sono perquisizioni da parte degli steward e perciò si può portare sia in curva sia in tribuna oggetti pericolosi, anche di importanti dimensioni: gli attori ingaggiati per il servizio portavano all'interno dello stadio solo un salame, ma è facile capire come è possibile introdurre anche spranghe, pinze, fumogeni e tanto altro.
E allora? Si tratta di un problema di steward? Fulvio Bianchi su Repubblica.it ricorda che "gli steward vengono pagati poche decine di euro, e non hanno (al momento) una sufficiente tutela giuridica: perché mai dovrebbero rischiare? Non era meglio lasciare certi controlli alla polizia?" E poi: i tornelli funzionano? I biglietti nominativi servono se non vengono controllati? La tessera del tifoso serve, a parte il fatto che ha fatto guadagnare soprattutto le banche?
Non resta che guardare il video per rendersi conto che i provvedimenti decisi devono essere fatti rispettare per garantire la sicurezza degli spettatori negli stadi, che hanno il sacrosanto diritto di godersi una partita di calcio, senza temere per la propria incolumità.



martedì 19 ottobre 2010

STACCHIAMO LA SPINA

Non pensate sia ora di finirla? Non credete sia giunto il momento di spegnere le telecamere, staccare le penne dai taccuini, smettere con i talk show e lasciare in pace una povera e giovane vittima e dare tregua ad una famiglia uccisa dal dolore? No, mi sembra di no, mi sembra proprio non siate dello stesso avviso, voi "teleguardoni da obitorio" che avete trasformato Avetrana nel set cinematografico di un film giallo, al punto che si è creata la folla di curiosi intorno alla casa del delitto. Capisco che il lavoro del giornalista e lo ammiro; quello che non riesco a comprendere è la pervasività dei reportage, dei retroscena e tutte le congetture che, senza quasi nulla di certo in mano, che vorrebbero prendere il posto della verità e spiegare agli Italiani come si è consumato il triste episodio. E poi, io continuo a domandarmi perché la gente è così tanto incuriosità da tali efferatezze, da cosa nasce questa curiosità morbosa e inutile, per quale motivo si perde tempo ad inseguire ipotesi e supposizioni basate su sentito-dire e null'altro.
Ricordo il tragico delitto di Novi Ligure del 2001 ed anche allora l'eco mediatica è stata enorme: per tanti giorni, Novi Ligure è stato trasformato in uno studio televisivo, dal quale tutte le trasmissioni di approfondimento hanno trasmesso, cercando persone disposte a parlare, dispensando informazioni più o meno vere, lanciandosi in fantasiose ricostruzioni. Novi Ligure come Avetrana o come Cogne, solo per fare alcuni esempi: sempre il medesimo comportamento, sempre la stessa mania di voyeurismo, sempre gli occhi aguzzati per cogliere un particolare da lanciare in esclusiva. Tanto per renderci conto del degrado in cui siamo inesorabilmente caduti, basti pensare che la cugina di Sarah, dopo ore di silenzio trascorse in Procura, avrebbe chiesto se alla tv avessero parlato male di lei. Può bastare questo ad inquietarsi?
Pensateci, potrebbe essere una buona idea staccare per un attimo la spina e rispettare il dolore di una famiglia spezzata da un fatto così tragico.

A tal proposito vi consiglio anche la lettura di questo articolo su DavideMaggio.it: Caso Scazzi, ora il vero orrore sono i teleguardoni e i giornalisti da obitorio.

domenica 17 ottobre 2010

NON ESISTE SAGGEZZA


Non esiste saggezza

Gianrico Carofiglio

Rizzoli

€ 14

L'avevo lasciato a Il passato è una terra straniera, premio Bancarella 2005, nonché graditissimo regalo di compleanno di mio fratello, e l'ho ritrovato una settimana fa con Non esiste saggezza: Gianrico Carofiglio, che da subito ho stimato, ha continuato a produrre opere letterarie di ottima fattura con quello stile tutto suo, capace di prenderti e coinvolgerti nel vortice di emozioni contrastanti.
Abbandonando per un attimo il romanzo, in questo libro si è buttato su dieci racconti, riuscendo comunque a confermarsi un grande scrittore. Racconti nei quali le figure protagoniste sono quelle femminili: una bambina, una ragazza, una dottoressa volontaria e la sua compagna colombiana. I personaggi maschili si affacciano in ogni racconto e sono destinati ad inseguire: si parte da un'impressione ricavata in un secondo scambiando qualche parola oppure da un sospetto colto nel modo di fare oppure da una curiosità nata per caso e sostenuta da un brivido particolare per entrare in storie che sono proiettate verso l'imprevedibile e talora anche l'illecito. Tutti i protagonisti delle storie perdono progressivamente la loro solida consistenza umana per trasformarsi in figure evanescenti e simboliche, assurgendo a metafore delle ansie e delle paure tipiche della nostra società. Non si può dimenticare, poi, un'impensabile e quanto mai riuscita intervista a Tex Willer che ricorda il passaggio dell'autore dall'adolescenza all'età adulta, dai comportamenti adolescenziali tesi ad imitare l'eroe prendendolo a modello all'età matura del ragazzo cresciuto che ha abbandonato Willer per farsi da sé.
Il libro si legge in un attimo, lo si divora; Carofiglio, conservando il suo stile sobrio, asciutto e scorrevole, regala ai suoi lettori un libro così piacevole e così intenso che, giunti alla fine di ogni storia, si è dispiaciuti perché questa non proceda, sembra mancare qualcosa che non possiamo avere: è tempo di passare al racconto successivo e rituffarsi in un'altra meravigliosa storia.

martedì 12 ottobre 2010

IL PESSIMO SPETTACOLO DI MARASSI


Grazie per il pessimo spettacolo! Un vero genio! Non potevi startene a casa tua, a giocare con i fumogeni nel tuo cortile, anziché farti qualche centinaio di chilometri e venire a Genova a rovinare una serata di calcio? Perché hai dovuto mandare all'aria una partita, vissuta da tutti i protagonisti con grande attesa e che aveva tutti i presupposti per regalare spettacolo? Perché hai regalato a tutti i bambini presenti allo stadio un siparietto che non ho proprio parole per definire? E poi, perché avevi il volto coperto? Continuo a chiedermi tutto ciò e non ho risposte. O meglio ne ho una: sei un incivile, uno che non ha la minima nozione di educazione civica, uno che non ha la minima conoscenza delle regole del buon vivere civile, uno che non riesce a concepire il concetto di libertà, uno sfasciatore capace solo di rovinare un tranquillo martedì sera di metà ottobre dedicato al calcio. Si poteva cogliere l'occasione per ricordare anche i nostri quattro soldati caduti in Afghanistan, i nostri giocatori scendevano in campo con il lutto al braccio; e invece nulla: il tuo pessimo spettacolo ha rovinato anche questo. Vergognati! Sono sempre più senza parole.
Non è il momento delle polemiche, però una riflessione mi viene naturale: a parte l'egregio comportamento della polizia dopo l'inizio dei disordini nello stadio, mi chiedo come quello sfasciatore incivile e il suo codazzo siano potuti entrare a Marassi muniti di fumogeni, pinze e quant'altro per dar luogo alla devastazione dello stadio. Qualcosa nei controlli non ha funzionato, qualcosa è sfuggito alle maglie delle forze dell'ordine allorché i facinorosi hanno varcato le porte dello stadio; e quel qualcosa non doveva sfuggire, purtroppo.

lunedì 11 ottobre 2010

IL FEDERALISMO FISCALE E IL SUD




Come il federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno


Piercamillo Falasca, Carlo Lottieri

Rubbettino

€ 14

Se qualcuno di voi ha seguito la trasmissione Otto e mezzo su La7 i cui ospiti erano Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, e Roberto Cota, presidente della Regione Piemonte, forse riuscirà a capire la rabbia che m'è presa nel momento in cui il governatore Cota, in maniera del tutto propagandistica, celebrava l'approvazione del federalismo fiscale in Parlamento e riteneva che lo stesso federalismo potesse essere la panacea a tutti i mali.
Le cose, purtroppo, stanno in termini diversi e in un precedente post ho cercato di spiegarlo. Oggi si parla di federalismo fiscale come se si parlasse di pere dal fruttivendolo o di rosette dal panettiere: non si può ridurre un argomento di così grande portata e di enorme complessità ad un totem elettorale, buono per condurre una campagna elettorale permanente. E' giunta l'ora di capire cos'è il federalismo fiscale, come funziona e come passare dalla teoria alla pratica: come far sì che la parola non rimanga tale ma si traduca in quel beneficio per il cittadino che viene tanto propagandato. Intendiamoci bene, sono indubbi gli effetti positivi di tale misura nel lungo periodo - e sottolineo lungo -, su questo non ci piove; tuttavia, è bene che esso sia applicato con criteri razionali e al pieno delle sue potenzialità per sfruttarne i benefici.


domenica 10 ottobre 2010

A PROPOSITO DELLA FICTION SU GIRA E POLLASTRI

Le imprecisioni sui particolari della fiction su Pollastro e Girardengo, andata in onda la scorsa settimana su RaiUno, sono varie; navigando su Novionline.net, mi sono imbattuto in un interessante e preciso articolo a firma di Benedetta De Paolis, che fa letteralmente le pulci alla fiction che si è attirata dietro molte critiche.
Partendo dall'inizio, la fiction si apre nella Novi del 1910 con i due protagonisti, bambini, coetanei, con la stessa passione per la bicicletta e la stessa condizione di povertà. 
Nella realtà i due hanno sei anni di differenza: Costante Girardengo nasce a Novi Ligure nel 1893, mentre Sante Pollastro nasce sempre a Novi Ligure nel 1899; inoltre, come già avevo sottolineato, non si sa con certezza se siano stati amici, sebbene certamente si siano incontrati più volte. Sempre nella fiction, nel 1922, quando Sante esce di prigione, incontra Girardengo che lavora nei campi e i due, ritrovatisi, continuano ad allenarsi insieme; in realtà, all'epoca, Giarardengo era già all'apice della sua carriera ciclistica.
 La fiction appare anche molto romanzata dalla presenza femminile di Mela, la donna tacitamente contesa tra Gira e Sante da ragazzi, la quale 
crea una momentanea rottura tra i due quando viene salvata dal bordello in cui lavora da Sante, con il quale nasce una storia di cui Girardengo è geloso. 
Particolare importante a tal proposito è il seguente: secondo la fiction, il primo omicidio di Sante è stato commesso proprio nei confronti di colui che aveva violentato Mela, un merciaio, mentre nella realtà Sante Pollastro uccide per la prima volta un carabiniere durante la sua prima rapina; sebbene diverse siano le ipotesi sul primo omicidio di Pollastro, nessuna trova supporto in alcuna documentazione e in nessun caso si parla del merciaio e di una violenza carnale nei confronti di una donna di cui Sante si era invaghito.
 Nella fiction sono addirittura Girardengo e la moglie Agostina a prendersi cura di una Mela partoriente del figlio di Sante mentre il bandito viene creduto morto.
La stessa De Paolis definisce "tragicomica" la scena finale in cui, durante una gara di Parigi, a pochi metri dal podio, Sante corre incontro a Costante che, per salvarlo dalla sparatoria, si butta invano con la bici contro ai poliziotti armati invece di vincere una gara molto importante.
Ultima nota: nessuna scena del film è stata girata a Novi Ligure; a parte le riprese nei campi e nei viali di campagna, le scene cittadine riprendono strade che, seppur cambiate negli anni, non sono certamente quelle novesi.

Anche il sindaco di Novi Ligure, Lorenzo Robbiano, è piuttosto perplesso sia sulla verosimiglianza della trama sia sulla ricostruzione dei personaggi e sugli aspetti insoliti dell'ambientazione storica. I grassetti della dichiarazione non erano presenti nel testo originale e li ho inseriti io al solo fine di attirare l'attenzione sugli aspetti più importanti del primo cittadino novese.

La fiction andata in onda su RaiUno potrebbe anche essere discreta, se non fosse legata a Novi (Ligure: da quando ci sono gli ulivi? e si parla in toscano?) e a Sante Pollastri e Costante Girardengo. Certo è che senza questi due nomi famosi, non avrebbe avuto una così grande audience. Mi rendo conto che una fiction, per definizione, debba rispondere a regole diverse rispetto ad un documentario, ma è anche vero che non si può stravolgere la realtà. Lascia desiderare anche la ricostruzione (non la definirei nemmeno storica) dell'epoca: quando mai gli operai che giravano con gli zoccoli ai piedi e mangiavano una volta al giorno, sarebbero andati a lavorare con le scarpe nuove ricevute in dono? Più verosimilmente, le avrebbero conservate per la domenica e le feste comandate. Anche la figura di Biagio Cavanna (il masseur, ndr), che segue i ciclisti con un'automobile lussuosa, è piuttosto improbabile. Infine, non risulta un'amicizia così stretta tra Girardengo e Pollastri. Può darsi che si conoscessero, visto che all'epoca Novi era una piccola città, ma da qui a farne due amici per la pelle come risulta dalla fiction, ce ne passa. In ogni caso, sia dai libri scritti finora su Pollastri, sia dai racconti delle persone che hanno conosciuto entrambi, non emerge questo rapporto così stretto tra i due protagonisti della storia".

Insomma, cari amici, appare chiaro da questi due contributi che la fiction, a parte la quota di fantasia e romanzo assolutamente lecita, sia andata oltre la realtà fattuale, distorcendo anche i dati storici, peraltro facilmente verificabili in quanto puntualmente riportati nel libro di Ventura, da cui la fiction stessa trae spunto. Resta sempre l'ammonimento già ricordato: inventare e romanzare sì, falsare la realtà e non prestare attenzione ai particolari no.

giovedì 7 ottobre 2010

OCCHIO AI PARTICOLARI

E' andata in onda lunedì 4 e martedì 5 ottobre, su Raiuno, la fiction La leggenda del bandito e del campione, scritta da Andrea Purgatori e Debora Alessi e diretta da Lodovico Gasperini, liberamente tratta dal libro di Marco Ventura, recentemente recensito su questo blog.
A dire la verità, nonostante l'attesa, sono rimasto piuttosto deluso da ciò che ho visto: ho seguito per intero la prima puntata, cercando di riannodare i fili del racconto, e con molte difficoltà ho provato a seguire la seconda. E non ho potuto non notare alcuni particolari che stonavano con il racconto di una storia degli anni Venti. Trovandomi d'accordo con quanto ha sostenuto anche Aldo Grasso, che certamente s'intende più di me di televisione, il particolare in una fiction che racconta fatti storici è fondamentale, è la base da cui partire per dare realismo e credibilità a quanto si sta raccontando. Una di quelle che balzano subito agli occhi riguarda le strade: l'asfalto quando si allenava Girardengo era ancora lungi dal ricoprire le strade, che al contrario erano polverose o fangose, a seconda dalle condizioni atmosferiche; altro particolare, come ricorda Aldo Grasso, sono le locomotive sbuffanti ma neanche l'ombra di una traversina.
In conclusione, non mi è piaciuta la fiction nel complesso: l'ho trovata un po' troppo lontana dalla storia raccontata da Ventura, il che è certamente lecito per una fiction ma avrei preferito il racconto di una storia più simile al vero. Nel libro non ho rintracciato, come invece è apparso nella fiction, un rapporto così stretto tra Gira e Pollastri, il primo uomo integro, onesto e molto concentrato sul ciclismo, il secondo, una volta datosi alla macchia, dedito a scappare per sfuggire alla cattura. Pure la scarsa aderenza ai particolari, che ritengo molto importanti, è mancata, rendendo così povero il racconto di una vecchia storia.
Il problema è che quando si mettono in scena fatti storici bisogna ricordarsi di indossare gli occhiali di quegli anni e dismettere quelli dei giorni nostri: è necessario tuffarsi indietro nel tempo per rendere al meglio l'atmosfera e le circostanze del tempo passato.


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