Alle 17,30, nella Sala Rossa, assisto alla presentazione dell'ultimo libro di Arrigo Levi Un Paese non basta. Intervengono, oltre all'autore, Piero Fassino, Mario Calabresi, Gad Lerner, coordinati da Alberto Sinigaglia.
Mario Calabresi, attuale direttore de La Stampa, descrive Arrigo Levi, basandosi sui ricordi personali al Quirinale, "prima che come un grande giornalista", come un "rappresentante della saggezza delle istituzioni". E gli manifesta una "sana invidia" per le innumerevoli esperienze del secolo scorso, alcune belle, altre tragiche, che Levi ha visto e spesso vissuto in prima persona sulla sua pelle.
Piero Fassino, torinese, ricorda come Levi ci consegni "una bellissima testimonianza di etica pubblica e civile". Numerose sono le pagine commuoventi del libro, in cui lo scrittore annota i "passaggi fondamentali" della sua vita attraverso vari Paesi. Ma, per tutto il libro, emerge, e questo vuole sottolineare Fassino, la profonda "fede laica" di Arrigo Levi. Insomma, un libro "straordinario per intensità valoriale", denso di forza valoriale", che "quando hai finito di leggere ti lascia qualcosa".
Gad Lerner, giornalista, condivide con Arrigo Levi la fede ebraica. E lo dipinge come il prototipo del "giornalista cosmopolita", il portavoce del "cosmopolitismo della cultura", valore che è assolutamente da esaltare e non certo da additare a colpa, come spesso è accaduto. Inoltre, Lerner mette in luce un altro aspetto della persona di Levi, che - aggiungo io - si può percepire anche solo osservandolo: egli è l'emblema dell'uomo dai "buoni modi", affinati dall'esperienza londinese, sebbene Lerner preferisca definirlo, parlando più terra terra, "un bastardo", aggettivo di cui lo stesso Levi deve essere felice.
Infine, Arrigo Levi chiude la presentazione, confessando la grande emozione nel presentare il libro a Torino. In fondo è stato a Torino solo per cinque anni, quelli della direzione de La Stampa, eppure ogni volta che tornava e torna a Torino, così come a Modena, ha "un forte tumulto". Perchè, sottolinea, anche se "un Paese non basta", ciò non toglie che ci siano alcune città cui si resta particolarmente legati per svariati motivi. Il libro, quindi, è una "story", non una"history", è più "un libro per me", in cui Levi raccoglie una parte della sua vita, quella, forse, più difficile e intensa. E, concludendo, risponde a Lerner sui "buoni modi": "la componente ebraica di tolleranza" e "l'esperienza in Inghilterra, povera e gloriosa" sono stati decisivi nell'ingentilire i suoi modi.
Mario Calabresi, attuale direttore de La Stampa, descrive Arrigo Levi, basandosi sui ricordi personali al Quirinale, "prima che come un grande giornalista", come un "rappresentante della saggezza delle istituzioni". E gli manifesta una "sana invidia" per le innumerevoli esperienze del secolo scorso, alcune belle, altre tragiche, che Levi ha visto e spesso vissuto in prima persona sulla sua pelle.
Piero Fassino, torinese, ricorda come Levi ci consegni "una bellissima testimonianza di etica pubblica e civile". Numerose sono le pagine commuoventi del libro, in cui lo scrittore annota i "passaggi fondamentali" della sua vita attraverso vari Paesi. Ma, per tutto il libro, emerge, e questo vuole sottolineare Fassino, la profonda "fede laica" di Arrigo Levi. Insomma, un libro "straordinario per intensità valoriale", denso di forza valoriale", che "quando hai finito di leggere ti lascia qualcosa".
Gad Lerner, giornalista, condivide con Arrigo Levi la fede ebraica. E lo dipinge come il prototipo del "giornalista cosmopolita", il portavoce del "cosmopolitismo della cultura", valore che è assolutamente da esaltare e non certo da additare a colpa, come spesso è accaduto. Inoltre, Lerner mette in luce un altro aspetto della persona di Levi, che - aggiungo io - si può percepire anche solo osservandolo: egli è l'emblema dell'uomo dai "buoni modi", affinati dall'esperienza londinese, sebbene Lerner preferisca definirlo, parlando più terra terra, "un bastardo", aggettivo di cui lo stesso Levi deve essere felice.
Infine, Arrigo Levi chiude la presentazione, confessando la grande emozione nel presentare il libro a Torino. In fondo è stato a Torino solo per cinque anni, quelli della direzione de La Stampa, eppure ogni volta che tornava e torna a Torino, così come a Modena, ha "un forte tumulto". Perchè, sottolinea, anche se "un Paese non basta", ciò non toglie che ci siano alcune città cui si resta particolarmente legati per svariati motivi. Il libro, quindi, è una "story", non una"history", è più "un libro per me", in cui Levi raccoglie una parte della sua vita, quella, forse, più difficile e intensa. E, concludendo, risponde a Lerner sui "buoni modi": "la componente ebraica di tolleranza" e "l'esperienza in Inghilterra, povera e gloriosa" sono stati decisivi nell'ingentilire i suoi modi.
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