L'esordio è stato chiarificatore: il libro non appartiene alla "letteratura castale", quella cioè in cui si critica una casta, ritenendola totalmente staccata dal popolo cui appartiene e ignorando che invece essa riflette, almeno in parte, i suoi vizi e le sue virtù. Ha ribadito che non è un libro di "denuncia", come tanti altri sullo stesso tema; vuole solo fornire uno "specchio" agli Italiani per consentire loro di guardarsi e di rendersi conto di come sono, "per aiutarci a conoscerci meglio", "capire cosa c'è di vero e di falso negli stereotipi" (dei quali Caprarica riconosce onestamente i limiti).
E' passato, quindi, a spiegare il titolo, che è anche il leitmotiv intorno cui ruota il libro: la "furbizia", il "gusto a irridere lo sconfitto" sono tratti caratteristici degli Italiani. "Saperla lunga vuol dire saperla giusta?", si è chiesto Caprarica stesso; forse no, forse sì, forse molte volte non ce lo chiediamo neanche, tanta è la nostra convinzione di presunzione. E' bene ricordare, però, che "siamo furbi" perchè nel corso dei secoli non abbiamo mai avuto delle istituzioni, se non quelle degli occupanti: "lo Stato, le leggi che creano la regola" in altri Paesi per noi, invece, erano un nemico contro cui lottare. Basti pensare che in Inghilterra, in cui regna sovrana la "rule of law", fin dal XIII secolo esisteva un documento importantissimo come la Magna Charta Libertatum. Il problema è che oggi questa furbizia è esclusivamente rivolta contro noi stessi, dal momento che non ci sono più gli occupanti. Con gli effetti che tutti conosciamo e possiamo toccare con mano. Al punto che siamo così "generosi col perdonarci i nostri difetti" per i quali - tendenza, anche questa, tutta italiana - molto spesso ci autodenigriamo.
Un altro aspetto tutto italiano, analizzato saggiamente da Caprarica, è che "siamo profondamente attaccati alle nostre radici", "profondamente conservatori"; pensiamo alla famiglia, che per secoli ha rappresentato un "effettivo motore di promozione sociale" nei confronti dello Stato nemico. Tanto che oggi essa resta, per molti, un tabù e si assiste a comportamenti spiritosi e contemporaneamente ottusi: come quello per cui la mamma, con grande sollecitudine, fa di tutto perchè il figlio non si allontani da casa, anzi abiti il più vicino a lei, tanto per citare un esempio. Questo, come ha affermato il giornalista e come hanno rilevato alcuni studiosi, ha certamente bloccato "l'ascensore sociale", ha, in un certo modo, tarpato le ali e bocciato le aspettative di tanti giovani che pensavano ad un altro futuro.
Si è trattato, come avete potuto desumere, di una chiacchierata piacevole e stimolante, saggiamente guidata dall'oratore, che ha mostrato di conoscere la vicenda di cui ha parlato nel libro, ricorrendo spesso a richiami della nostra storia passata e di aneddoti di oggi, utili ad esemplificare alcune situazioni chiave. Così come è stato interessante ascoltare le sue risposte in merito ad alcune domande del pubblico.
Sulla radio, per esempio, che egli ha cominciato a fare da circa tre anni, della quale ha parlato molto bene, definendola "agorà moderna", dal momento che il dialogo è assolutamente diretto e le notizie, le testimonianze e qualsiasi altro tipo di espressione arriva prima rispetto alla televisione o al giornale.
Una domanda ha riguardato la multimedialità nell'informazione: pur se dispiaciuto del fatto che i ruoli precedentemente esistenti all'interno di un giornale, della televisione, ecc. oggi sono invece spesso ricoperti da una sola persona, ha riconosciuto comunque la necessità di adeguarsi ai tempi e pertanto seguire questa impostazione.
Infine alla richiesta di come vengono visti gli Italiani all'estero, ha risposto dicendo che l'italiano, in generale", viene immaginato come "uno che sa godersi la vita" (le famose quattro F inglesi: food, fashion, football, Ferrari), "la sa lunga", ha una qualità di vita superiore a quella di molti altri Paesi occidentali. In particolare l'Italiano all'estero dà per lo più mostra della sua intelligenza, della sua imprenditorialità. Tanto che "Londra è piena di Italiani che hanno avuto successo", così come in molte multinazionali gli Italiani hanno sempre avuto posti di vertice. Per quanto riguarda, invece, "l'Italia come collettività e istituzione", ha ammesso che, in effetti, gli stranieri si fidano di meno, per via di molti luoghi comuni e stereotipi, spesso errati, che però appartengono al pensiero comune.
La leggenda, o forse la retorica, vuole gli italiani "brava gente": accoglienti e generosi, poveri ma belli, gaglioffi ma simpatici, ricchi di inventiva e maestri nell'arte di vivere e amare. Una tradizione sostenuta anche da connazionali illustri li dipinge invece furbi, cinici e conformisti, insofferenti alle regole e privi di senso civico.Chi siamo dunque noi italiani? È possibile tracciare un profilo veritiero, che eviti la trappola del moralismo come l'esercizio, così diffuso, dell'autodenigrazione? Antonio Caprarica ha voluto provarci in questo volume, sottoponendosi di buon grado alla pratica dell'autocoscienza, osservando il Bel Paese quanto più spassionatamente possibile e dalle più diverse prospettive.
Ecco dunque la lotta politica del Nord contro il Mezzogiorno e il federalismo gastronomico, con la pacifica convivenza delle straordinarie cucine regionali; la persistente fedeltà nei confronti della famiglia, fonte, da oltre cinquecento anni, non solo di stabili affetti, ma, se appena si può, di prebende e sinecure, cattedre universitarie, alloggi e impieghi; la scomparsa dei grandi imprenditori e il diffondersi dei "capitalisti di papà", con le loro piccole aziende controllate dalla parentela; il culto della bellezza e l'indifferenza per gli scempi ambientali; la maleducazione imperante dalla strada al Parlamento.
mi sembra un bravo giornalista
RispondiElimina