venerdì 3 aprile 2009

MARCELLO PERA ALL'UNIVERSITA' DI PAVIA

Giovedì 2 aprile 2009, nella splendida cornice del Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria di Pavia, ho seguito la presentazione del libro "Perchè dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l'Europa, l'etica" di Marcello Pera, edito da Mondadori nel 2008. Sono intervenuti nel corso della presentazione anche Luigi Zanzi e Luigi Vittorio Majocchi, entrambi docenti presso l'Università degli Studi di Pavia.


Certamente tutti ricorderanno Marcello Pera nelle vesti di presidente del Senato della Repubblica tra il 2001 e il 2006. Ma egli è prima di tutto un grande studioso di filosofia della scienza, sui cui temi ha prodotto numerosi saggi. Dopo il 2000, ha dedicato diversi articoli e saggi al rapporto fra la cultura storica europea e il cattolicesimo. Sicuramente degni di nota sono "Senza radici", scritto assieme all'allora cardinale Ratzinger, e "Perchè dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l'Europa, l'etica".

L'esordio della presentazione è incentrato sul titolo, di cui Pera tiene moltissimo a precisare il senso: innanzitutto "non è un libro autobiografico", che vuole parlare del rapporto che l'autore ha con la religione; nè è un libro "apologetico del Cristianesimo". Semplicemente è un libro di "filosofia politica, morale e dell'attualità". Scritto "aprendo la finestra": cioè non basandosi su luoghi comuni oppure sentito-dire oppure critiche di tesi portate da altri filosofi; ma ascoltando effettivamente ciò che la gente dice, percepisce, lascia intendere.
E cosa si coglie? Una profonda "crisi di carattere morale e spirituale, di identità", una grandissima difficoltà a definire chi siamo noi in Italia e in Europa. Spesso, soprattutto negli ultimi decenni, non ci siamo posti questa domanda a causa della difficoltà della risposta. Oppure siamo stati messi dinanzi all'evidenza in modo drammatico: basti pensare al terrorismo islamico, ai problemi di integrazione con gli stranieri, alle questioni etiche al vaglio in Parlamento.
Come mai si è giunti fin qui? - si chiede Marcello Pera. La risposta è abbastanza semplice. C'è stata una profonda crisi del liberalismo e della democrazia, dottrine da sempre basate su solidi fondamenti. E pertanto, venendo a mancare solide basi, si è passati "dall'universalismo al relativismo", ossia quella posizione filosofica che nega l'esistenza di verità o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva.
E l'esempio di questa crisi è, secondo Pera, ben rappresentato dalla "parabola dell'Europa". Tutto è iniziato con il disegno post-bellico dei tre padri fondatori Adenauer, Schumann e De Gasperi di "costruire un'identità politica, un'unione politica di Stati intorno all'identità cristiana". Mentre questo non è stato. Si è proceduto per trattati tra Stati autonomi sovrani, lasciando intatte le carte costituzionali dei singoli membri. Quando, però, si è cercato di passare dall'"aggregazione di Stati", come era quella configurata dai trattati, al "sovrastato o sovranazione europei" attraverso la Costituzione europea, il progetto è naufragato e si è tornati indietro ai trattati. Chiaramente, le ripercussioni di una scelta del genere sono evidenti a tutti: la forza, in qualsiasi ambito, viene attribuita ad un solo soggetto, non ad un insieme di soggetti, ciascuno dei quali parla con la propria voce. Veniamo spesso rimproverati così: "l'Europa non parla con una voce sola": semplicemente perchè l'Europa non è un soggetto unitario politico.
Pera si sofferma ampiamente sul principale motivo di fallimento della Costituzione europea. Spiega come "non si trattava di menzionare il Dio cristiano". La proposta era quella di inserire un "preambolo, unica occasione tra tutte le Costituzioni europee", nel quale illustrare perchè gli Stati si univano e mettevano a punto gli articoli della Costituzione. Lo scontro aspro è stato sull'inserimento, nel preambolo, del richiamo alle radici cristiane: dai sostenitori era ritenuto opportuno e dovuto, dato che "la storia europea è stata tenuta a battesimo da Pietro e Paolo", dovunque ci giriamo c'è un segno cristiano come nell'arte, nella cultura, nella musica: insomma, pur senza rendercene conto, il substrato della nostra cultura è cristiano. I detrattori, invece, avevano chiesto di inserire qualsiasi altro richiamo: all'Umanesimo, all'Illuminismo, al socialismo, ecc.
Un ruolo importante in questa diatriba è stato giocato dal relativismo, secondo il senatore Pera. Non è stato possibile inserire il richiamo alle radici cristiane per evitare di "urtare i molti immigrati islamici" oppure per non rendere difficile l'ingresso della Turchia in Europa". Il relativismo si è tradotto, in politica, in "multiculturalismo": un crogiolo di culture, tutte aggregate tra loro, ma nessuna superiore alle altre, nessuna con un peso maggiore. Tuttavia gli effetti nefasti del multiculturalismo sono sotto gli occhi di tutti: aver voluto concedere agli immigrati gli stessi diritti degli Europei e il mantenimento delle loro culture ha portato a inevitabili scontri, come ricordiamo tutti in Francia, Inghilterra e Olanda, Paesi che, pure prima di altri, hanno dato libero corso al multiculturalismo.
L'ultimo aspetto toccato dall'autore riguarda l'etica pubblica: egli fa notare come la rivoluzione liberale, da Locke a Kant per arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ha proclamato l'esistenza di alcuni diritti fondamentali inviolabili. I quali, però, sono stati vittime - anch'essi - dell'ondata relativistica e pertanto messi in discussione perchè (e qui ritorna la tesi precedente) si è avuto una "crisi dei fondamenti".

In fin dei conti, dice Pera, "se ti dici cristiano recuperi un'identità" che potrà essere molto utile in futuro e "metti un freno alla deriva dell'etica pubblica". Si prende, quindi, coscieza di chi siamo, dove viviamo e con chi ci confrontiamo in maniera più forte e convinta, arma importantissima nel mondo globale e multiculturale in cui ci troviamo a vivere ogni giorno.

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