Marcello Veneziani ritorna alle origini. Ritorna alla sua terra natale, in quella Puglia che accoglie Bisceglie (dove è nato e cresciuto) e più in generale in quel Sud, al giorno d’oggi sempre più bistrattato e sempre più agli onori della cronaca per fatti di cui certo non vantarsi. Ma Veneziani, invece, come si vede anche nel sottotitolo, fa “un viaggio civile e sentimentale”, racconta il Sud “come un mito vivente”.
Sta in queste e in altre parole la spiegazione del perché egli abbia scritto un libro che parla del Sud: si tratta di “un elogio dell’arretratezza”? O di un “un tardivo amore di coccodrillo per le origini tradite”? Ha considerato che “al Sud si legge poco” e che “difendere il Sud è una battaglia di retroguardia”? No, dice l’autore, “non è così o forse è così come dite voi, ma tutto quel che dite in blocco, senza escludere niente…”
Il viaggio, non solo letterario, parte dal punto estremo, Capo Leuca (chiunque non vi sia ancora stato è caldamente invitato a recarvisi, pena la perdita della vista di un posto veramente ameno, con annesso giro in Salento, per rimanerne estasiato, ndr), in un pomeriggio estivo, in cui “un solleone maestoso” e una canicola infernale non danno tregua né permettono di trovare refrigerio. E si snoda per mille strade e mille pensieri, con un ritmo incalzante e piacevole e un’atmosfera ricreata ad arte, che, ad un certo punto, sposta il lettore direttamente sul luogo del racconto. “Risalendo lungo la balconata pugliese”, Veneziani tratteggia la Puglia: “una specie di Padania del Sud, una congettura”, “un condominio di province, repubbliche o principati”. Ricorda così le tradizioni inventate nel corso del Novecento, come la devozione per Padre Pio a San Giovanni Rotondo, la Fiera del Levante a Bari, i festival di “pizzica e taranta” come quello di Melpignano. O le figure importanti, almeno tre: Peppino Di Vittorio, “capo storico della Cgil”, Araldo di Crollalanza, ministro dei Lavori pubblici durante il fascismo, “che fece moltissimo per il Sud arretrato e terremotato, e soprattutto per la sua Bari” e Padre Pio “che espresse l’anima antica del devoto Sud”. Oltre a Gaetano Salvemini, Aldo Moro, don Pasquale Uva. E come dimenticare Pinuccio Tatarella, “il Peròn di Cerignola”. Senza tralasciare la Sacra Corona Unita che “non ha attecchito del tutto in Puglia” e la Striscia di Andria, “organizzazione malavitosa del dopoguerra che saccheggiava i treni”. Veneziani si scaglia poi contro “Cafon Valley”, “un animato sobborgo dell’estate (…) fondato sulla vistosità e sul rumore”, l’emblema del cattivo gusto e della sguaiatezza, il mezzo più utile per far male alla Puglia e al Sud in genere (perché, girando il Sud, si incontrano tante Cafon Valley). Una menzione speciale per la cucina pugliese, che nasce da “ricchezza e povertà”.
Il viaggio continua in “Entroterronia, sprofondo Sud”, dove in una sola giornata si può assistere a tutti i mali del Sud. Come? Rimanendo bloccati in autostrada a causa del rovesciamento di un’autocisterna tra Caianello e Caserta. Il Sud isolato dal mondo, fuori da ogni via di comunicazione. E il problema delle autostrade al Sud, e dei collegamenti in generale, è questione annosa e decennale: tanto che – dice Veneziani – “Cristo si è fermato a Eboli per non imboccare la Salerno-Reggio Calabria”. Perché, se il Sud è “discretamente collegato con il Nord o con il centro”, invece “è disastrosamente scollegato da se stesso”. Vogliamo parlare, poi, del terremoto? Ormai, al Sud, il terremotato è un mestiere. Come ha dimostrato l'articolo di Stella sul Corsera di qualche giorno fa, c’è chi campa sul terremoto: non solo cittadini, ma politici e amministratori locali si spartiscono e, pertanto cercano di allargare il più possibile, la torta dei terremotati.
Veneziani viene poi a tracciare i ritratti, antropologicamente pungenti, di Clemente Mastella e Antonio Di Pietro, “dioscuri del profondo Sud, quello dell’entroterra”, “i Romolo e Remo dell’Interno Sud, fratelli coltelli a volte con ruoli invertiti”.
Si scende poi in “Calabria Saudita”, dove, nonostante l’aspetto squallido ed aspro del paesaggio, in realtà si incontra “l’ospitalità radicale dei calabresi” e i “segni persistenti della matrice ellenica”. La Calabria è anche la terra che ha visto morire Gioacchino Murat, “l’unico re giacobino che la storia ricordi”, che aveva regnato a Napoli e aveva beneficiato e valorizzato Bari, sebbene trovò la morte a Pizzo Calabro nel corso di un’”esecuzione tormentata”.
Che rapporto ha il Sud con il denaro?, si chiede Veneziani. Al Sud, a giocare un ruolo ancora molto importante, è il contante, dal momento che “le carte di credito non hanno sfondato”. E poi non dimentichiamo il valore della provvista d’olio, di un terreno o di una casa di proprietà: è ancora importante il “rapporto fondato sul baratto, sul dono e la riconoscenza”.
Oltrepassando lo Stretto, si sbarca in Sicilia, “un cannolo puntato sul continente”. Veneziani è assolutamente convinto che, essendo la Sicilia “un mondo a sé, per natura e cultura, indole e storia”, è un bene per entrambi, Sicilia e continente, se gli stessi rimangono separati. Quindi parla di mafia, che fa affari col potere, “si piazza al crocevia tra ricchezza e povertà, speculando su ambedue”; ma qual è la sua matrice psicologica? “Il mammismo meridionale è la placenta della mafia”, per quella “vocazione meridionale e mediterranea a infrangere il codice paterno e a riconoscersi nel principio materno del clan”. Interessante il passo riguardante la violenza in quanto l’autore si chiede se effettivamente essa sia un tratto distintivo del Sud in genere. E risponde ricordando che in questo “imbarbarimento” ha pesato molto “la crescita della ricchezza senza la parallela crescita della civiltà”, “il dislivello tra la tecnica in espansione e la cultura in ritirata”, la “perdita della tradizione”.
Come poter sorvolare sul “paradigma meridionale, nazionale e forse mondiale del personale inutile e sovrabbondante, iperpagato e ipoimpegnato” che è la regione Sicilia? In questo contesto la raccomandazione “distorce il principio della responsabilità individuale” e il merito è alieno. Particolarmente simpatico il passo su Cenzino Benaccolta, colui che aveva mandato “al suo caro compagno di scuola Totò Cuffaro” un vassoio di cannoli per festeggiare la condanna a cinque anni.
Risalendo dalla Sicilia, si arriva a “Napule, caput mundezzi” per fare un viaggio nel “voluttuoso declino di una capitale svogliata”. Il cui degrado è iniziato dopo il 1980 con la conseguente “gestione infame”. Facendo apparire la città come la capitale degli scippi, dei furti, dell’immondizia, del potere mal gestito, dell’inganno sempre e comunque. “Il tutto è bagnato nell’indolenza, nell’accidia e in un falso fatalismo ai danni del prossimo”.
Due pagine sono dedicate a Roberto Saviano, “vittima annunciata e spettacolarizzata della camorra, da lui sfottuta in modo così plateale”. Viene lodata la sua opera e un po’ criticata la sua decisione di far sapere di voler lasciare l’Italia. Ciò che Veneziani non condivide in assoluto è stata la scelta di mandare Gomorra ad Hollywood a rappresentare l’Italia, riducendo l’immagine del nostro Paese a sola camorra, “un’immagine vera ma unilaterale e miserabile”.
Altrettanto caustico è il ritratto di Mario Merola, non tanto rivolto alla persona, quanto al mondo di valori che ha impersonato: ad un suo spettacolo teatrale, accanto al “patriottismo popolano”, con annessi folclore e sentimenti veri, si poteva fare “un censimento della malavita locale e dell’indice di consenso all’illegalità”. Triste è stato vedere le più alte cariche dello Stato ad “omaggiare Merola in piena bufera di malavita”.
Il capitolo si conclude nella speranza di un “camorrismo inverso”, cioè di quell’insieme di “reti di comparaggio solidale e clan buonavitosi”, che possano far cambiare l’immagine triste e criminosa che generalmente è attribuita a Napoli.
Come avete potuto apprezzare, il viaggio di Veneziani è un viaggio nelle viscere, nell'anima del Sud, un viaggio alla riscoperta del Sud più vero e genuino. Verrebbe quasi da dire, giunti al termine del libro, che tutto il Sud è paese, tali e tanti sono i tratti distintivi che segnano le peculiarità di una terra, che ha visto nascere la civiltà moderna ed è stata culla e vittima delle dominazioni di varie popolazioni. La quale tuttavia oggi soffre della cattiva immagine attribuitale, non certo casualmente: si parla di “questione meridionale”, termine che Veneziani stesso aborrisce perchè è diventato ormai un semplice velo, dietro il quale nascondere quel mix di accidia, indifferenza ed indolenza che tanto male hanno fatto e fanno tuttora al Sud.
Un libro, in definitiva, che non vuole nè idealizzare il Sud nè tanto meno non ricordare le amenità che da sempre ne hanno fatto una terra fertile sotto tutti i punti di vista.
Sta in queste e in altre parole la spiegazione del perché egli abbia scritto un libro che parla del Sud: si tratta di “un elogio dell’arretratezza”? O di un “un tardivo amore di coccodrillo per le origini tradite”? Ha considerato che “al Sud si legge poco” e che “difendere il Sud è una battaglia di retroguardia”? No, dice l’autore, “non è così o forse è così come dite voi, ma tutto quel che dite in blocco, senza escludere niente…”
Il viaggio, non solo letterario, parte dal punto estremo, Capo Leuca (chiunque non vi sia ancora stato è caldamente invitato a recarvisi, pena la perdita della vista di un posto veramente ameno, con annesso giro in Salento, per rimanerne estasiato, ndr), in un pomeriggio estivo, in cui “un solleone maestoso” e una canicola infernale non danno tregua né permettono di trovare refrigerio. E si snoda per mille strade e mille pensieri, con un ritmo incalzante e piacevole e un’atmosfera ricreata ad arte, che, ad un certo punto, sposta il lettore direttamente sul luogo del racconto. “Risalendo lungo la balconata pugliese”, Veneziani tratteggia la Puglia: “una specie di Padania del Sud, una congettura”, “un condominio di province, repubbliche o principati”. Ricorda così le tradizioni inventate nel corso del Novecento, come la devozione per Padre Pio a San Giovanni Rotondo, la Fiera del Levante a Bari, i festival di “pizzica e taranta” come quello di Melpignano. O le figure importanti, almeno tre: Peppino Di Vittorio, “capo storico della Cgil”, Araldo di Crollalanza, ministro dei Lavori pubblici durante il fascismo, “che fece moltissimo per il Sud arretrato e terremotato, e soprattutto per la sua Bari” e Padre Pio “che espresse l’anima antica del devoto Sud”. Oltre a Gaetano Salvemini, Aldo Moro, don Pasquale Uva. E come dimenticare Pinuccio Tatarella, “il Peròn di Cerignola”. Senza tralasciare la Sacra Corona Unita che “non ha attecchito del tutto in Puglia” e la Striscia di Andria, “organizzazione malavitosa del dopoguerra che saccheggiava i treni”. Veneziani si scaglia poi contro “Cafon Valley”, “un animato sobborgo dell’estate (…) fondato sulla vistosità e sul rumore”, l’emblema del cattivo gusto e della sguaiatezza, il mezzo più utile per far male alla Puglia e al Sud in genere (perché, girando il Sud, si incontrano tante Cafon Valley). Una menzione speciale per la cucina pugliese, che nasce da “ricchezza e povertà”.
Il viaggio continua in “Entroterronia, sprofondo Sud”, dove in una sola giornata si può assistere a tutti i mali del Sud. Come? Rimanendo bloccati in autostrada a causa del rovesciamento di un’autocisterna tra Caianello e Caserta. Il Sud isolato dal mondo, fuori da ogni via di comunicazione. E il problema delle autostrade al Sud, e dei collegamenti in generale, è questione annosa e decennale: tanto che – dice Veneziani – “Cristo si è fermato a Eboli per non imboccare la Salerno-Reggio Calabria”. Perché, se il Sud è “discretamente collegato con il Nord o con il centro”, invece “è disastrosamente scollegato da se stesso”. Vogliamo parlare, poi, del terremoto? Ormai, al Sud, il terremotato è un mestiere. Come ha dimostrato l'articolo di Stella sul Corsera di qualche giorno fa, c’è chi campa sul terremoto: non solo cittadini, ma politici e amministratori locali si spartiscono e, pertanto cercano di allargare il più possibile, la torta dei terremotati.
Veneziani viene poi a tracciare i ritratti, antropologicamente pungenti, di Clemente Mastella e Antonio Di Pietro, “dioscuri del profondo Sud, quello dell’entroterra”, “i Romolo e Remo dell’Interno Sud, fratelli coltelli a volte con ruoli invertiti”.
Si scende poi in “Calabria Saudita”, dove, nonostante l’aspetto squallido ed aspro del paesaggio, in realtà si incontra “l’ospitalità radicale dei calabresi” e i “segni persistenti della matrice ellenica”. La Calabria è anche la terra che ha visto morire Gioacchino Murat, “l’unico re giacobino che la storia ricordi”, che aveva regnato a Napoli e aveva beneficiato e valorizzato Bari, sebbene trovò la morte a Pizzo Calabro nel corso di un’”esecuzione tormentata”.
Che rapporto ha il Sud con il denaro?, si chiede Veneziani. Al Sud, a giocare un ruolo ancora molto importante, è il contante, dal momento che “le carte di credito non hanno sfondato”. E poi non dimentichiamo il valore della provvista d’olio, di un terreno o di una casa di proprietà: è ancora importante il “rapporto fondato sul baratto, sul dono e la riconoscenza”.
Oltrepassando lo Stretto, si sbarca in Sicilia, “un cannolo puntato sul continente”. Veneziani è assolutamente convinto che, essendo la Sicilia “un mondo a sé, per natura e cultura, indole e storia”, è un bene per entrambi, Sicilia e continente, se gli stessi rimangono separati. Quindi parla di mafia, che fa affari col potere, “si piazza al crocevia tra ricchezza e povertà, speculando su ambedue”; ma qual è la sua matrice psicologica? “Il mammismo meridionale è la placenta della mafia”, per quella “vocazione meridionale e mediterranea a infrangere il codice paterno e a riconoscersi nel principio materno del clan”. Interessante il passo riguardante la violenza in quanto l’autore si chiede se effettivamente essa sia un tratto distintivo del Sud in genere. E risponde ricordando che in questo “imbarbarimento” ha pesato molto “la crescita della ricchezza senza la parallela crescita della civiltà”, “il dislivello tra la tecnica in espansione e la cultura in ritirata”, la “perdita della tradizione”.
Come poter sorvolare sul “paradigma meridionale, nazionale e forse mondiale del personale inutile e sovrabbondante, iperpagato e ipoimpegnato” che è la regione Sicilia? In questo contesto la raccomandazione “distorce il principio della responsabilità individuale” e il merito è alieno. Particolarmente simpatico il passo su Cenzino Benaccolta, colui che aveva mandato “al suo caro compagno di scuola Totò Cuffaro” un vassoio di cannoli per festeggiare la condanna a cinque anni.
Risalendo dalla Sicilia, si arriva a “Napule, caput mundezzi” per fare un viaggio nel “voluttuoso declino di una capitale svogliata”. Il cui degrado è iniziato dopo il 1980 con la conseguente “gestione infame”. Facendo apparire la città come la capitale degli scippi, dei furti, dell’immondizia, del potere mal gestito, dell’inganno sempre e comunque. “Il tutto è bagnato nell’indolenza, nell’accidia e in un falso fatalismo ai danni del prossimo”.
Due pagine sono dedicate a Roberto Saviano, “vittima annunciata e spettacolarizzata della camorra, da lui sfottuta in modo così plateale”. Viene lodata la sua opera e un po’ criticata la sua decisione di far sapere di voler lasciare l’Italia. Ciò che Veneziani non condivide in assoluto è stata la scelta di mandare Gomorra ad Hollywood a rappresentare l’Italia, riducendo l’immagine del nostro Paese a sola camorra, “un’immagine vera ma unilaterale e miserabile”.
Altrettanto caustico è il ritratto di Mario Merola, non tanto rivolto alla persona, quanto al mondo di valori che ha impersonato: ad un suo spettacolo teatrale, accanto al “patriottismo popolano”, con annessi folclore e sentimenti veri, si poteva fare “un censimento della malavita locale e dell’indice di consenso all’illegalità”. Triste è stato vedere le più alte cariche dello Stato ad “omaggiare Merola in piena bufera di malavita”.
Il capitolo si conclude nella speranza di un “camorrismo inverso”, cioè di quell’insieme di “reti di comparaggio solidale e clan buonavitosi”, che possano far cambiare l’immagine triste e criminosa che generalmente è attribuita a Napoli.
Come avete potuto apprezzare, il viaggio di Veneziani è un viaggio nelle viscere, nell'anima del Sud, un viaggio alla riscoperta del Sud più vero e genuino. Verrebbe quasi da dire, giunti al termine del libro, che tutto il Sud è paese, tali e tanti sono i tratti distintivi che segnano le peculiarità di una terra, che ha visto nascere la civiltà moderna ed è stata culla e vittima delle dominazioni di varie popolazioni. La quale tuttavia oggi soffre della cattiva immagine attribuitale, non certo casualmente: si parla di “questione meridionale”, termine che Veneziani stesso aborrisce perchè è diventato ormai un semplice velo, dietro il quale nascondere quel mix di accidia, indifferenza ed indolenza che tanto male hanno fatto e fanno tuttora al Sud.
Un libro, in definitiva, che non vuole nè idealizzare il Sud nè tanto meno non ricordare le amenità che da sempre ne hanno fatto una terra fertile sotto tutti i punti di vista.
davvero un ottimo libro!
RispondiEliminaSono del Sud e ammiro tanto la mia terra..ottimo questo libro deve essere:)
RispondiEliminaLa Calabria è meravigliosa e per niente squallida mi dispiace che un animo sensibile come penso tu sia non abbia visto nei suoi paesaggi la bellezza.
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