giovedì 23 aprile 2009

BASTA SPECULAZIONI

Solo poche parole per commentare le prime polemiche sul 25 aprile. Puntualmente, ogni anno, con la precisione di un orologio svizzero, nei giorni antecedenti la festa di Liberazione si rincorrono le dichiarazioni, sempre polemiche, su partecipazioni e assenze alle manifestazioni.
E io mi chiedo sempre perchè e mi do sempre la stessa risposta. Le polemiche nascono fondamentalmente dal fatto che, nonostante i tanti anni passati, sulla Liberazione c'è ancora confusione: di questa festa c'è chi sente di avere la patente per appropriarsene e per dire chi invece non è degno di festeggiare. Manca ancora quella vera "pacificazione nazionale", manca ancora la vera condivisione di alcuni valori, mentre sono sempre vivi l'acredine e l'astio, la tendenza a buttare questa festa sul terreno della politica.
Un'ultima dimostrazione di questo tipo di comportamento è data dalla dichiarazione di Franceschini, proprio dalla parte di chi continua a chiedere condivisione del 25 aprile. Il segretario Pd ha dichiarato: "Mi fa piacere. Meglio tardi che mai. Berlusconi ha avuto altre 14 occasioni da quando e' sceso in campo"; una dichiarazione troppo arrogante e superba per poter rasserenare il clima, inutile nel contesto attuale.
Anche perchè quando qualche esponente del centrodestra si è fatto vedere in piazza per manifestare è stato subissato dai fischi: ci ricordiamo dell'attuale sindaco di Milano Letizia Moratti che, nel 2006, mentre accompagnava il padre in carrozzella in corteo in corso Vittorio Emanuele, ha abbandonato la piazza per via delle contestazioni?

Qui sotto vi riporto un intervento dell'ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, sul Corriere della Sera risalente al 25 aprile 2005: un intervento in cui, con parole sagge e pacate, si richiama alla condivisione del valore della Festa di Liberazione, senza spirito di parte.

Ogni comunità nazionale costruisce la propria identità attorno ad alcune date simbolo. Sono date che marcano punti di rottura nel fluire della storia e che, proprio per questo, sono vissute dalla coscienza collettiva come l' avvio di un nuovo percorso, fondato su un progetto e su un insieme di valori comuni. Consumata la rottura, il cammino degli eventi riprende. Riemergono, come è naturale, le diversità di opinioni ed i confronti tra ciò che è bene per la collettività e ciò che non lo è. Quelle date, invece, restano. Tornano anno dopo anno, con la loro silenziosa eloquenza, a ricordare le ragioni profonde che permettono di contrapporsi senza disgregarsi, di proseguire lungo la stessa strada anche quando le divisioni appaiono invalicabili. Il 25 aprile, di cui oggi celebriamo il sessantesimo anniversario, è una di queste date. Essa rappresenta un giorno di festa, un giorno di libertà. Rappresenta il segno di un' epoca nuova nella quale il popolo italiano si è ritrovato unito sulla strada per la democrazia e per la pace, dopo aver sofferto le umiliazioni e le offese della dittatura, della guerra, dell' occupazione. Quando sono stato eletto Presidente della Camera, nel mio discorso di insediamento ho voluto richiamare il valore fondante della Resistenza per la nostra identità nazionale. Non è stata una scelta casuale, né un omaggio meccanico e di circostanza. Era ed è mia profonda convinzione che il percorso che ha condotto alla Liberazione del nostro Paese costituisca un patrimonio comune di tutti gli italiani: un' acquisizione di valore che nessuno può pensare seriamente di mettere in discussione e che fa del 25 aprile, non diversamente dal 2 giugno, una data che unisce e non può dividere. Per questo guardo con particolare rammarico ad una della manifestazioni più evidenti dell' immaturità del nostro bipolarismo: penso a quella sorprendente, incomprensibile - ma purtroppo anche invincibile - tentazione di portare la Resistenza sul terreno dello scontro politico e delle logiche di parte. Si tratta di una tendenza che, negli ultimi anni, si è consolidata con il rafforzarsi della percezione prevalentemente oppositiva del nostro bipolarismo: un bipolarismo sempre «contro» e raramente «per», i cui protagonisti sono incapaci di riconoscere legittimazione politica ai propri avversari e si chiudono anzi nella spasmodica ricerca di argomenti per demonizzarne l' azione e la presenza. In questa folle corsa al «muro contro muro», non è stato risparmiato nemmeno il cammino che ha fondato la nascita della Repubblica, brandito troppo spesso dall' una e dall' altra parte come una clava, da utilizzare sul terreno del contrasto politico secondo le convenienze: ed è questo, a mio parere, uno dei fattori più preoccupanti del tempo presente della democrazia italiana. Sbaglia quella parte della Casa delle libertà che cerca di minimizzare la portata storica e politica della Resistenza; sbaglia nel guardare alle sue celebrazioni come ad una questione priva di interesse, che riguarda per definizione solo una parte del Paese; sbaglia quando tende ad eludere i giudizi che la storia ha già dato sul nostro recente passato, invocando la necessità di guardare avanti nel segno di un futuro che però rischia di essere fragile e velleitario, perché privo di solide radici nel passato. Ma, in forme uguali e contrarie, sbaglia anche una parte del centrosinistra. Non è infatti errore meno grave fare della Resistenza una vicenda che può essere realmente compresa e celebrata solo dalle forze progressiste, o che tali si autodefiniscono. E' ugualmente un errore rifiutarsi di leggere con serenità anche le pagine oscure che sono state scritte tra l' 8 settembre 1943 e la fine della guerra, in cui più tragico si è mostrato il volto della Liberazione come guerra di italiani contro italiani e che hanno visto cadere tanti uomini innocenti, dall' una e dall' altra parte, vittime della ferocia delle ideologie contrapposte. Per abbattere questi steccati, che rischiano di tenere l' Italia sospesa in una sorta di eterno presente, è necessario ed urgente compiere un' operazione di chiarezza e di verità. Mi rendo conto della grande difficoltà di esprimere giudizi storici su fenomeni tanto complessi, come la Lotta di liberazione e le interpretazioni che di essa sono state date negli anni con il mutare delle situazioni sociali, politiche ed istituzionali, interne ed internazionali. Tuttavia, credo che un passo avanti significativo possa venire da una constatazione. La Resistenza fu un fenomeno articolato, che ebbe molti protagonisti. Tali furono i partigiani, ma anche i militari delle Forze armate italiane che seppero dire no al nazifascismo. Protagonisti furono anche tanti uomini senza armi: sacerdoti, anziani e donne, che diedero un contributo silenzioso, ma non meno determinante, nell' opporsi alla barbarie dell' occupazione. Protagoniste furono le grandi famiglie del pensiero politico italiano, che seppero far prevalere - quando tutto attorno stava crollando - ciò che le univa rispetto a ciò che le divideva: fu così per la casa socialista, in cui forte era la motivazione ideale della lotta di classe; fu così per gli azionisti come per i liberali, pure lontani fra loro nell' analisi della crisi del Paese; fu così per i cattolici, sospinti dall' idea intransigente ed incrollabile del primato della dignità dell' uomo e dall' aspirazione di edificare su di essa una pace vera e duratura. Se tutto ciò è vero - e lo è senz' altro - è chiaro allora che nel perimetro della Lotta di liberazione oggi stanno dentro tutti gli italiani. Vi stanno nella loro peculiare ed inimitabile identità plurale, costruita sulla ricchezza e sulla varietà di idee, opinioni e culture che ne unisce da sempre i destini e che ha consentito loro di ritrovarsi insieme nel superare le prove più dure. E' questa la ragione per cui il 25 aprile è una data che appartiene a tutti ed a ciascuno di noi. E' questa la ragione per cui politica e società civile hanno il dovere di lasciarsi alle spalle conflitti ideologici e lacerazioni e di lavorare per diffondere, soprattutto presso i giovani, la vitalità del preziosissimo patrimonio di principi ed ideali che quella data rappresenta. Per quanto difficile questo impegno possa rivelarsi, vale la pena mettersi alla prova, perché la ricompensa ha un valore inestimabile: se riusciremo a fare della Liberazione un terreno su cui piantare la bandiera italiana, e non quelle di questa o di quella parte, potremo dire di avere finalmente e definitivamente maturato quella tavola di valori nel cui segno tutti possano riconoscersi senza «se» e senza «ma» e concorrere alla crescita ed al progresso del Paese.

1 commento:

  1. Il problema fondamentale di molti è che proprio non riescono a non criticare Berlusconi: per tanti anni non ha partecipato alle manifestazioni per il 25 aprile ed è stato criticato. Ora che ha deciso di partecipare, viene comunque criticato. Decidiamoci, una buona volta!
    Per il resto, prendendo spunto dall'intervento di Diego Garcia, trovo purtroppo conferme di quanto ho scritto sopra: non abbiamo ancora smaltito l'acredine e l'astio su una questione vecchia più di cinquant'anni e, soprattutto, cosa ancora più grave, continuiamo a buttarla in politica. No, non è questa la strada giusta per fare di questa una festa condivisa (come ha chiesto il ministro La Russa): è questo l'obiettivo cui dobbiamo aspirare, valorizzare l'operato di tutti (e quando dico tutti intendo comprendere proprio tutti, non solo i partigiani di sinistra), dicevo, di tutti coloro i quali si sono adoperati per porre fine al regime nazi-fascista.
    Caro Diego Garcia, se continuiamo a pensare che sia "una festa di Sinistra", una "festa di Partigiani", certamente non riusciremo a fare importanti passi avanti, anzi, ancora per tanti anni, in corrispondenza del 25 aprile, assisteremo a stupide e futili polemiche sull'attribuzione di una festa che è di tutti.

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