Anna e Francesca: un'amicizia inseparabile, amiche del cuore, nate e cresciute insieme, conoscono ogni centimetro e ogni pensiero l'una dell'altra. Una periferia operaia, via Stalingrado a Piombino, casermoni cupi e tristi. Se l'adolescenza è cosa dura, qui lo è molto di più: lo stridente contrasto tra il grigiore del quartiere operaio in cui abitano i lavoratori della Lucchini e l'isola d'Elba, l'antica Ilva, dove i benestanti milanesi vanno a trascorrere ricche vacanze, è il Leitmotiv della vita dei protagonisti. Anna e Francesca devono fare i conti innanzitutto con i rispettivi padri, un buono a nulla che improvvisamente abbandona la casa e la famiglia e fa perdere le tracce di sé e un operaio che, finito il turno in acciaieria, regna in casa, schiavizzando moglie e figlia, un uomo insoddisfatto e violento che non risparmia le maniere forti nei confronti delle due donne di casa. E poi devono misurarsi quotidianamente con il contesto in cui vivono, grigio, soffocante, incapace di arricchirti: le giornate si dividono tra la spiaggia, il cortile denso di ricordi d'infanzia, il pattinodromo o il bar. Poi, un giorno arriva l'amore, le certezze che si credevano solide cedono e l'amicizia finisce.
Questo è solo un assaggio di Acciaio, il primo romanzo di Silvia Avallone, biellese di nascita e bolognese d'adozione. Classe 1984, già nota per altre opere, con Acciaio è finalista del premio Strega. Raccontando in una maniera molto coinvolgente il calvario dell'adolescenza a via Stalingrado, l'Avallone ci racconta in realtà le difficoltà, le crisi, i travagli e le gioie degli adolescenti; pennella i contorni e descrive con dovizia di particolari uno spaccato di vita quotidiana, in particolar modo quella della classe operaia alle prese con una vita dura e con i figli nel periodo più intenso della loro vita; dà luce, senza calcare la mano, al rapporto tra datore di lavoro, dipendenti e sindacati, spesso in tensione; fa emergere, quasi come un grido, la pesantezza e la noia del lavoro ripetitivo e stressante quale quello dell'acciaieria; gira, incrociando i fili delle varie storie, il film di un'adolescenza faticosa, tormentata, mai vissuta a pieno, arresa dinanzi alla realtà dei fatti, dove anche i legami più forti soccombono, si spezzano e forse si riannoderanno. Sempre con un occhio all'orizzonte: a quell'isola d'Elba, bella e irraggiungibile, che appare come un Paradiso, l'unica via d'uscita da un'esistenza senza senso.
Questo è solo un assaggio di Acciaio, il primo romanzo di Silvia Avallone, biellese di nascita e bolognese d'adozione. Classe 1984, già nota per altre opere, con Acciaio è finalista del premio Strega. Raccontando in una maniera molto coinvolgente il calvario dell'adolescenza a via Stalingrado, l'Avallone ci racconta in realtà le difficoltà, le crisi, i travagli e le gioie degli adolescenti; pennella i contorni e descrive con dovizia di particolari uno spaccato di vita quotidiana, in particolar modo quella della classe operaia alle prese con una vita dura e con i figli nel periodo più intenso della loro vita; dà luce, senza calcare la mano, al rapporto tra datore di lavoro, dipendenti e sindacati, spesso in tensione; fa emergere, quasi come un grido, la pesantezza e la noia del lavoro ripetitivo e stressante quale quello dell'acciaieria; gira, incrociando i fili delle varie storie, il film di un'adolescenza faticosa, tormentata, mai vissuta a pieno, arresa dinanzi alla realtà dei fatti, dove anche i legami più forti soccombono, si spezzano e forse si riannoderanno. Sempre con un occhio all'orizzonte: a quell'isola d'Elba, bella e irraggiungibile, che appare come un Paradiso, l'unica via d'uscita da un'esistenza senza senso.
Uno dei prossimi libri che leggerò... Merita?
RispondiEliminaSì, te lo consiglio, non pensavo mi sarebbe piaciuto così tanto!
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