venerdì 25 giugno 2010

SENZA APPELLO


Il giorno dopo la clamorosa sconfitta non si parla d'altro. A ragione. In un Paese in cui il calcio è una vera e propria religione, il crollo di ieri a Johannesburg contro la Slovacchia è stato un terremoto per i tifosi italiani. Certamente prevedibile con un discreto anticipo, viste le prime due partite, ma a cui si cercava di non pensare, consci che la terza partita avrebbe suonato la carica per rimettere in bolla un Mondiale partito storto. E invece no: nonostante i pronostici beneauguranti della vigilia, l'Italia di Lippi gioca male, perde e fa le valigie per tornare a casa. Con la coda tra le gambe, carica di vergogna, seriamente umiliata da una squadra che per la prima volta giocava un Mondiale. Si potrebbe dire: "la fortuna dei principianti"; ma qui, di fortuna, non ce n'è stata, c'era solo bel gioco e ottima disposizione in campo, coraggio e grinta nel mordere le caviglie degli azzurri, gli Slovacchi erano su tutti i palloni e giocavano a calcio, collezionavano azioni di buona fattura e pressavano in maniera asfissiante sul portatore di palla. L'Italia, invece, pareva essere scesa in campo con molta carica, o almeno così pareva durante l'inno. Ma questa presunta carica deve essersi esaurita nei pochi secondi tra la fine dell'inno e il calcio d'inizio: da quel momento sull'Ellis Park, per l'Italia, è calata una bruma, sempre più fitta, che ha annebbiato le menti di tutti i giocatori, anche di quelli - si legga: Zambrotta, De Rossi, Montolivo - che nelle due partite precedenti erano brillati per la qualità messa in campo.
I commenti che possiamo fare e che sono già stati fatti sono tantissimi: ognuno ha la sua ricetta magica per risolvere i problemi, ognuno pensa di poter essere il miglior ct della Nazionale, ognuno si infervora quando qualcosa non va perché egli avrebbe fatto in maniera diversa. Tuttavia, se molte delle critiche convergono su Lippi nell'individuare l'indiziato speciale, non credo si sbaglino. E a conferma di questo, su tutti i giornali e su tutti i siti web, campeggia l'affermazione netta e pesante: "La colpa è mia". Certamente fa onore a Lippi il fatto di essersi assunto subito la responsabilità per tutto quanto è successo e non poteva che comportarsi così: è chiaro che è da lui che è mancato qualcosa da comunicare ai ragazzi, sono suoi molti errori di gestione dei giocatori. Improvvisare Marchisio trequartista, per esempio, è stato un errore difficile da perdonargli; aver lasciato a lungo Quagliarella in panchina, vista la condizione fisica mostrata ieri nel secondo tempo, ha pesato; aver lasciato a casa Cassano è, tra tutte, forse la colpa più grande: volendo privilegiare la coesione del gruppo, ha deciso di privarsi di un giocatore capace di illuminare gli attaccanti, in grado di regalare palloni magici per le punte, abile nel creare gioco in mezzo al campo e contemporaneamente in grado, quando fosse servito, di saltare l'uomo e provare la giocata. Faceva specie vedere Cassano in abito da sposo anziché in calzoncini e maglietta azzurri nel momento in cui la Nazionale, sotto quel punto di vista, ha mostrato un grosso limite: se la paura di Lippi era quella che il giocatore barese avrebbe destabilizzato l'ambiente, credo questa fosse una paura infondata e comunque in ogni caso largamente arginabile, vista la bontà del gruppo. Da domani ripenseremo alla nuova Nazionale, toccherà a Prandelli ripartire da zero, da una Nazionale smantellata sia per limiti di età sia per limiti di capacità: una condizione ideale nella quale poter metter su una squadra competitiva a caccia della qualificazione per l'Europeo.
Postilla finale: la Lega è stata indegna quando ha tifato contro l'Italia nella prima partita col Paraguay; ancora più indegna è stata la frase di Bossi riguardo la partita di ieri: "Tanto la comprano" (e meno male che l'abbiamo comprata... o forse abbiamo perso per dimostrare al Senatur che non l'abbiamo comprata?!) Sicuramente non fuori luogo l'affermazione del ministro Calderoli: via gli stranieri dal campionato. Perché, se dobbiamo trovare un motivo nella pessima figura rimediata in Sudafrica (ultimi del girone, a due punti, senza neanche una vittoria), quello sicuramente sta nella pochezza del nostro gruppo: giocatori discreti, nessuna stella, alcuni senatori del 2006 e pochi giovani - che hanno peraltro ben figurato nel complesso. Ci manca quell'ampia gamma di scelta che le nazionali sudamericane hanno: se pensiamo alla quantità di giocatori brasiliani, argentini, uruguaiani - per fare alcuni esempi - e la paragoniamo al numero di giocatori su cui Lippi poteva scegliere ci accorgiamo, al di là di alcune testardaggini del tecnico viareggino che tali si sono dimostrate, che quelle nazionali hanno un vasto numero di atleti da cui attingere, tra i quali ci sono giocatori mediocri, giocatori di media bravura e alcune stelle, Messi tra tutte. Se guardiamo in casa nostra, abbiamo una Juve ormai irriconoscibile e che non fornisce più i giocatori di una volta alla Nazionale; un'Inter che, nonostante il tris di titoli, è costruita esclusivamente su stranieri (bravi nelle loro nazionali, ma inutili per la nostra); una Roma e un Milan che navigano a vista. Imponiamo un tetto massimo di cinque giocatori stranieri, tra comunitari ed extracomunitari, per ogni squadra e puntiamo sui nostri vivai, che - lo sappiamo bene - vantano dei signori giocatori, a cui serve solo più fiducia e più spazio.
E poi, se pensiamo all'età media di molte nazionali che stanno facendo bene, ci accorgiamo che questa è molto bassa: la voglia di far bene e la freschezza fisica dei giovani sono due armi troppo importanti che non si possono non spendere in un Mondiale.
Ecco da dove dobbiamo ripartire: meno stranieri nel nostro campionato per far largo ai nostri giovani, bravi e volenterosi, per poter creare un ciclo e regalarci la gioia di poter competere alla pari, o quasi alla pari, con Argentina e Brasile.

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