lunedì 7 giugno 2010

UNA STORIA D'ALTRI TEMPI

Complimenti a Cesare Fiumi! Ha scovato una di quelle storie che oggi è difficile leggere, una di quelle storie che forse sentivamo raccontare dai nostri papà o dai nostri nonni, una di quelle storie che ci ricordano altri tempi, tempi lontani e che forse non ritorneranno. In un calcio sempre più votato allo spettacolo e al business - e non è un modo di dire, è la cruda e amara realtà, basta dare un occhio ai Mondiali che a breve inizieranno - fa piacere leggere storie di un calcio ancora attaccato ai valori dello sport pulito e leale, dell'attaccamento ad una squadra in quanto gruppo di persone e baluardo di una comunità.
E' la storia di Marco Mulas, custode dello stadio del Romangia Sorso, vicino Sassari, che per un giorno torna giocatore e dalla panchina passa al campo, segnando un gol importantissimo per la sua squadra.




IL GOL PIÙ BELLO DELL'ULTIMA DOMENICA
L'ha realizzato, in Prima Categoria, il custode dello stadio del Romangia Sorso: Marco, giocatore mancato, è invitato a cambiarsi per far numero in panchina, ma poi entra e segna. Quando "calcio nel sangue" vuol dire passione e non coltelli

Anche per Marco era l'ultima di campionato. E quel che sarebbe accaduto non stava nei suoi pensieri, non poteva trovarvi posto. Anche perché il posto di Marco, il suo ruolo, non prevedeva un finale così. No, non di Marco Materazzi stiamo parlando. E neppure di Marco Motta, versante giallorosso della volata-scudetto. Di Marco Mulas, invece: protagonista di una storia pallonara che sta al calcio d'oggi come una licenza poetica, una boccata d'aria, un sorso d'acqua fresca. Un Sorso con tanto di maiuscola, ché è qui, in questo paesone a un passo da Sassari, che è ambientata. Marco Mulas ha trent'anni e il calcio nel sangue, anche se il pallone non l'ha ricambiato: il talento - come succede a tanti, quasi tutti - lo ha dribblato quando aveva vent'anni e l'ha lasciato sul posto. Quello che occupa ancora oggi, da tesserato finito a controllare tessere e riassettare tribune: da nove anni custode dei due stadi di Sorso (il Madau e il Piramide), erede del mestiere di papà.
Calcio&sangue, di questi tempi, non è certo gemellaggio passionale: solo la voce di bilancio domenicale di risse e lame, che se ne infischiano di Daspo e denunce, mordendo ai polpacci un mondo in fuga dalle proprie certezze e responsabilità, ma pronto a ricevere ultra di altra squadra in visita diplomatica e poi ad anticipare partite, a chiuderne al pubblico altre, a minacciarne la sospensione, fino a presidiare autogrill e caselli - è quanto accaduto nelle sole ultime due giornate - per limitare incroci di squadrismi&coltelli.
Invece, il calcio nel sangue di Marco Mulas era, è, passione sincera, sfogata sui campi di calcetto alla sera e in qualche sfida alla buona per tener caldi i piedi da attaccante e l'attaccamento al pallone. E pure il ricordo di quando stava nelle giovanili, prima di accomodarsi in tribuna a guardare gli altri giocare.
Un fare distinto, gli occhiali a dargli un certo piglio, Marco Mulas prende 400 euro al mese per aprire e chiudere il campo nei giorni dell'allenamento e predisporre lo spogliatoio prima della partita, sistemando le maglie della Romangia Sorso e preparando il tè caldo. Una garanzia, quel giovin custode, tanto che, dopo la promozione nel 2008, sul sito del club ce n'era anche per lui: "Grazie a Marco Mulas. Sempre presente ogni domenica, sempre vicino ai ragazzi". Sono passate due stagioni, è arrivata pure una retrocessione, ma lui è ancora lì. E anche ora, ultima di campionato - torneo di Prima Categoria 2009/2010 - Marco ripete il suo gesto, preparando le maglie biancorosse della Romangia. Che, allo stadio Madau, ospita il Berchidda.
Arrivano i giocatori, ma non arrivano tutti - a fine stagione, tra i dilettanti, c'è sempre qualche defezione - e sul referto per l'arbitro ci sono solo 14 nomi. E' allora che il presidente guarda Marco il custode e gli dice: "Tanto è l'ultima, cambiati, vai in panchina anche tu". Lui ricambia con uno sguardo stupito, poi sorride e capisce che non è vero: per una volta non vedrà la partita dalla tribuna e starà ancora più vicino ai ragazzi, ché una delle maglie che ha preparato è la sua. Ciascuno custodisce qualche sogno, con la speranza che un giorno smetta di esserlo: be', il custode Marco sente che è arrivato quel momento. Veste la divisa della Romangia e si accomoda in panca.
Accade alla mezz'ora del secondo tempo. Il Berchidda è avanti 2-0 e i suoi non vedono palla. Da cinque minuti Marco il custode non è più un panchinaro. "Entra anche tu", gli ha detto l'allenatore e l'ha spedito in campo. E adesso lui ha rimediato un pallone sulla sinistra. Stringe verso l'area avversaria, finché un avversario gli si para di fronte. Allora finge di andare sul fondo per metterla in mezzo: quello abbocca e lui rientra sul destro. Guarda la porta, prende le misure, azzarda il diagonale. Il portiere si muove ma non ci arriva e a lui non resta che guardare la palla che si struscia nella rete, sventolandola in suo onore.
In fondo è solo un gol (la partita finirà 2-2), come ce ne sono tanti, ogni domenica, dovunque. Non vale uno scudetto, una festa pazza, una stagione. Epperò è un gol da calcio nel sangue che riconcilia col pallone - in questa pessima annata, intossicata fino all'ultimo da sgherri di curva e sgarri al buonsenso - e ristora la passione. Un gol che sa ancora di pali fatti coi cappotti, di tre-angoli-un-rigore, di "siamo dispari, vuoi entrare?", di un ritorno all'abbecedario del giocare. E, come insegna Marco il custode, di "un divertirsi a guardare". Poco conta se il Romangia in Prima Categoria o la Nazionale al Mondiale.

Cesare Fiumi, Sette, 20 maggio 2010

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