mercoledì 2 marzo 2011

DOLORE E MEDIA

Dolore, sgomento e rabbia sono i sentimenti comuni che ci animano in questo momento, nel quale continuiamo a interrogarci sul come e sul perché sia potuto succedere e facciamo ipotesi più o meno fantasiose. Il triste dato di fatto è che Yara Gambirasio non c'è più, l'adolescente ginnasta di Brembate di Sopra, nella Bergamasca, che si affacciava alla vita ha dovuto dire addio al mondo, soccombendo sotto le grinfie di un mostro che ha agito senza alcun ragionevole fine. Le ipotesi degli investigatori si rincorrono, hanno bisogno di essere ancora provate in maniera precisa: ma, in fin dei conti, cosa ci interessa delle ipotesi? Noi vogliamo solo la verità e la sua famiglia prima di tutto, verità alla quale si arriva passando necessariamente attraverso le ipotesi - non c'è dubbio; ma, dato che questa incombenza non ci compete, quale senso ha dedicare intere trasmissioni televisive al caso Yara? Non voglio fare la predica - che, peraltro, ho già fatto in altre occasioni - su come si comporta la televisione di fronte ai fatti di cronaca: è noto a tutti che la curiosità morbosa che pervade il grande pubblico della televisione fa sì che alcuni programmi possano continuare ad esistere e ad essere trasmessi. Dinanzi al "dolorismo a puntate" segnalato con veemenza dal presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli, mi sento di dire che la caccia mediatica al colpevole è senza pace, anche questa volta, appesa ai pareri di avvocati, criminologi, giornalisti, scrittori, soubrette e chi più ne ha, più ne metta. Le ipotesi di reato e le agenzie fioccano durante queste trasmissioni, talora in contrasto le une con le altre, ma l'importante è fare gli ascolti, abbeverare i curiosi di particolari truculenti ed ipotesi fantasiose.
In netto contrasto con questo atteggiamento, i familiari di Yara hanno sempre mantenuto uno stretto riserbo su tutto quanto riguardava la giovane figlia: hanno preferito tenere il dolore tra le mura domestiche, non darlo in pasto ai mass media, consolarsi in famiglia per quanto possibile, evitare la spettacolarizzazione della tragedia. I precedenti - Novi Ligure, Cogne, Avetrana - non potevano che far rabbrividire, l'angoscia e la desolazione per un fatto tanto triste sono state travolte dall'insaziabile voglia di scoop e di condivisione della tragedia che attanagliano i mezzi di informazione. Ma per Yara è stato diverso, il dolore è apparso dolore vero perché mantenuto nascosto da occhi indiscreti, il dispiacere è apparso dispiacere vero per la scomparsa di una figlia così giovane e così brava, lo struggimento è apparso struggimento vero di fronte alla mancanza di notizie della propria figlia per tre mesi.
La Bergamasca non attraversa un periodo troppo felice: a distanza di pochi giorni dal ritrovamento del corpo di Yara, viene ritrovato anche il corpo di Daniel Busetti in provincia di Torino, precisamente a Baldissero Canavese. Un incidente stradale con tre feriti, un sms ad un'amica o alla sua ragazza ("Ho fatto un incidente megagalattico. Ti amo. Addio"), la fuga verso Milano e da lì, in treno, verso Ivrea, un veloce ricovero in ospedale e il mattino successivo l'ultima tappa, Baldissero Canavese per raggiungere Damanhur, "un'eco-società basata su valori etici e spirituali". I motivi del gesto sono difficili da ipotizzare e capire: la paura dell'arresto?, il timore di cosa avrebbero potuto dire i genitori? e... cos'altro? La vergogna per il gesto avventato finito poi non troppo tragicamente? Resta un mistero, per ora, la motivazione che ha spinto il giovane Daniel ad allontanarsi da casa, fuga che si è conclusa drammaticamente: il primo responso del medico legale dice "assideramento". Non eravamo nella sua testa, non possiamo dire quali pensieri lo hanno portato al folle gesto, possiamo ipotizzarli sebbene a fatica. Resta soprattutto il grande dispiacere per un'altra vita, l'ennesima, terminata troppo prematuramente.
Tuttavia, non posso concludere non meditando su questi due fatti di cronache: riguardo Yara, il dispiacere per la sua morte si mischia a profonda rabbia nei confronti dell'orco che l'ha uccisa, segno di una società impazzita e ormai alle corde, capace di uccidere una bambina come si ammazza una mosca. E, sull'altro versante, lo sgomento è tanto: l'aver causato un incidente non può spiegare la fuga, dovevano esserci problemi - per Daniel - ignoti a chi gli stava intorno, che, dopo l'incidente, lo hanno convinto a scappare e a sottrarsi alle sue responsabilità.

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