giovedì 17 marzo 2011

NUCLEARE: LA RAGIONE PRIMA DI TUTTO


Una tragedia immane, di quelle destinate a restare nella storia. Il terremoto e lo tsunami che hanno colpito il Giappone hanno fatto tremare i polsi, hanno lasciato una devastazione che è difficile descrivere, hanno colpito in maniera inaspettata un Paese che è abituato a fare i conti con simili eventi, ma che non era preparato a tanto. Il numero dei morti è indicativo, forse diecimila, ma può cambiare in ogni momento, è ancora difficile una stima precisa e questo non può che rattristire ancor di più. Eppure, di fronte a questo cataclisma, il popolo giapponese ha mostrato una compostezza e un ordine invidiabili, anche grazie al grande impegno del primo ministro Naoto Kan, uno per il quale la parola "tsunami", fino a venerdì, era una metafora buona per definire l'onda di impopolarità che lo stava sommergendo, il mare di cattive notizie riguardanti l'economia fino all'accusa di aver intascato contributi elettorali, accusa che proprio nella mattina di venerdì ha confermato lui stesso insieme alla decisione di non volersi dimettere, ma di procedere col mandato governativo. Dopo venerdì, Kan ha mostrato un piglio decisionista che lo fa paragonare a Rudy Giuliani: il suo 11 settembre è rappresentato dal terremoto e dallo tsunami, uniti al pericolo più grande: quello nucleare. Andando in tv e commuovendosi, mandando il suo braccio destro ad affrontare i media, forzando le opposizioni a stringersi in una grande coalizione, il primo ministro Kan ha mostrato un impegno deciso e senza fronzoli, un grande amore per il Giappone per il quale ha promesso di essere pronto a morire.




Ma il problema che attualmente spaventa di più i Giapponesi e che allarma tutta la comunità internazionale è quello riguardante la centrale nucleare di Fukushima, seriamente colpita dal sisma. Sui sei reattori presenti, quattro appaiono danneggiati in varia misura e, in effetti, il livello di radioattività è diventato significativo dopo che martedì si sono sviluppate esplosioni in due reattori e risulta aumentato dopo il getto d'acqua sparato dagli idranti montati sui mezzi militari, come rende noto la Tepco, l'azienda energetica che gestisce la centrale di Fukushima. A gettare benzina sul fuoco sono alcuni cablogrammi diplomatici riservati diffusi dal sito WikiLeaks: l'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, già due anni fa aveva messo in guardia il governo giapponese riguardo il pericolo che le centrali nucleari non fossero in grado di resistere a sismi di particolare potenza e il rischio di catastrofe nucleare a Fukushima. Alle autorità di Tokyo, era stato comunicato che le misure di sicurezza negli impianti erano obsolete e che un terremoto molto forte avrebbe "posto seri problemi"; la replica delle autorità nipponiche era consistita nel formale impegno a migliorare gli standard in tutte le centrali, e in particolare a istituire un centro di reazione rapida proprio in quella di Fukushima 1. Dei problemi sismici e delle centrali nucleari si è parlato anche al G8 di Tokyo nel 2008. Un esperto non identificato, sempre da quanto emerge dai documenti di WikiLeaks, aveva segnalato come le norme di sicurezza antisismiche fossero state revisionate soltanto tre volte in trentacinque anni e che "alcuni terremoti avvenuti all'epoca avevano superato i criteri sulla base dei quali erano state progettate le centrali".
L'allarme suscitato dall'incidente nucleare ha subito riportato in auge il discorso riguardante questa fonte di energia, sia nell'Unione europea, sia in Italia: per bocca del commissario europeo all'Energia, Guenther Oettinger, quella verificatasi in Giappone è "un'apocalisse". Il dibattito europeo si è centrato sulla sicurezza delle centrali presenti nel territorio Ue: quelle più a rischio si trovano in Svizzera e in Spagna, dato che la tecnologia e l'età di queste si avvicinano molto a quella della centrale giapponese. La Germania ha, per esempio, chiuso provvisoriamente sette tra i reattori più vecchi, che risalgono a prima del 1980. Le prime contromisure annunciate dal commissario Ue sono dei test di resistenza, o stress test, coordinati e volontari (vi hanno aderito tutti i Paesi), atti a testare i limiti di sicurezza delle 143 centrali presenti sul suolo europeo, in un tempo compreso tra giugno e dicembre di quest'anno. La domanda che mi sorge spontanea è tanto semplice quanto emblematica: perché prima della catastrofe giapponese, nessuno si è sognato di mettere in piedi un serio programma di monitoraggio della sicurezza degli impianti nucleari europei? Perché agiamo, con solerzia e preoccupazione, sempre dopo che si è verifacata una tragedia? E' troppo chiedere controlli periodici sullo stato delle nostre centrali? Oltre a tali misure, lo stesso Oettingen si è lasciato scappare che l'Ue dovrebbe prensare all'eventualità di una "opzione zero per il nucleare", parole mai prima pronunciate e non condivise dal nostro ministro per lo Sviluppo economico, Paolo Romani, che ha affermato: "E' inimmaginabile tornare indietro".
Nel nostro Paese, al di là del netto stop di Romani ad un passo indietro sul nucleare, le manifestazioni di insofferenza verso questa fonte di energia si sono fatte sentire e hanno cavalcato allegramente l'onda emotiva della tragedia. Pd, Di Pietro, Sinistra e libertà e Verdi si sono subito mobilitati per far cambiare idea al governo, che mostra di voler andare avanti con il piano nucleare. E' chiaro che la "sindrome giapponese", come l'ha battezzata Massimo Franco, fa gola ai partiti d'opposizione in vista delle imminenti consultazioni amministrative e certamente coloro che si professano convinti nuclearisti si sottopongono ad un difficile bagno di impopolarità. Ma, purtroppo, su questioni serie come l'approvvigionamento energetico, non si può decidere di essere a favore oppure contro sull'onda dell'emozione suscitata da un fatto tanto grave come quello verificatosi in Giappone. Gli articoli di Angelo Panebianco e di Edoardo Boncinelli sono quanto mai utili per riflettere in maniera obiettiva sul nucleare. In primo luogo, come ricorda Boncinelli, non esiste una reale alternativa al nucleare, certamente non ora e per chissà quanto altro tempo. In secondo luogo, continuiamo ad essere un Paese quanto mai strano, "vogliamo fare sempre di testa nostra, senza guardare a quello che fanno gli altri, una strategia questa che è il perfetto contrario del buon senso e della convenienza di trarre insegnamento dall'esperienza": siamo gli unici a non utilizzare centrali nucleari sul nostro territorio, pur utilizzando energia proveniente da centrali nucleari situati in Francia e Slovenia e che potrebbero, in caso di sciagura, provocare danni anche a noi. Vorrei sapere dagli antinuclearisti se tutto questo è logico: a me non risulta proprio. E' giusto interrogarsi sull'atomo e sui suoi pericoli, chiedere maggiore sicurezza, puntare sulla ricerca per raggiungere risultati qualitativi sempre più importanti; la controprova di tutto questo è che la "schiacciante" maggioranza delle centrali giapponesi ha resistito benissimo all'impatto di un terremoto di devastante violenza. Ricordiamo che la centrale di Fukushima ha una tecnologia che risale al 1970 e che il Giappone ha caratteristiche geologiche particolari da esporlo ciclicamente a terremoti. E' pertanto giusto non perdere quella razionalità utile a prendere decisioni corrette e intelligenti per il futuro del nostro Paese. E' chiaro che l'atomo comporta rischi, ma senza assumersi rischi non ci sarebbe stato progresso e, inoltre, non possiamo chiedere un rischio zero, perché - dobbiamo esserne consci - nella vita non esiste un rischio zero. Per di più, come afferma Panebianco, "ci si potrebbe addirittura spingere a sostenere che la dipendenza dal petrolio (a parte i pesantissimi costi economici che impone a chi non lo possiede) comporti pericoli maggiori delle centrali, ossia dell'uso pacifico dell'energia nucleare. Dipendere, per i rifornimenti energetici, da aree ad altissima instabilità politica è infatti causa di rischi immensi." Basti pensare all'attuale situazione della Libia e a come sono schizzati in alto i prezzi del petrolio. Se immaginiamo che scoppi una guerra in Medio Oriente e che vi vengano impiegate armi nucleari, "il petrolio mediorientale diventerebbe improvvisamente indisponibile." Boncinelli ricorda che la maturità e la saggezza devono fare riflettere e far prendere in considerazione vantaggi e svantaggi delle energie alternative. "Nessuna di queste è scevra da rischi, e non va dimenticato che quando non sono impegnate a illustrare i rischi del nucleare, molte delle nostre cassandre parlano in termini apocalittici di inquinamento e di spoliazione delle risorse del pianeta. Ebbene, non esistono solo le centrali nucleari e i loro rifiuti a minacciare la salute del pianeta, soprattutto nel momento in cui si facesse ricadere su tecnologie alternative tutto il peso dell'approvvigionamento energetico." Lo stesso Boncinelli punta l'attenzione sul grande patrimonio di conoscenze che avevamo sul nucleare e che abbiamo deciso di gettare al vento: "l'Italia era all'avanguardia nel campo dei reattori nucleari e aveva accumulato una grande ricchezza di conoscenze, molte delle quali sono migrate all'estero o sono sfiorite nell'inerzia. Nessuno sa che cosa il futuro ci potrà riservare, ma non è certo con l'inerzia e l'insipienza che lo si affronta nella maniera migliore."
Al di là della tragedia, è bene mettere la ragione innanzi a tutto: cavalcare le emozioni potrebbe riservare conseguenze imprevedibili.

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