venerdì 22 aprile 2011

SENZA NUCLEARE CHE SI FA?

Dopo l'improvviso stop al nucleare da parte del Governo, è tempo di ripensare al nostro approvvigionamento energetico. A darci una mano nel dedalo di possibilità a nostra disposizione, ci pensa Stefano Agnoli che, sul Corriere della Sera, ha analizzato i futuri scenari energetici per il nostro Paese.
La prima e più interessante considerazione del suo articolo è che, con l'addio all'atomo, per sole, vento e biomasse non ci sarà moltissimo spazio, sia perché esse sono fonti discontinue per natura, sia perché ancora troppo costose e dipendenti dai sussidi pubblici. E allora? Dovremmo far ricorso alle vecchie fonti fossili: gas, carbone e petrolio torneranno prepotentemente a farsi sotto al fine di assicurarci una continua produzione di energia. Il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, deluso dalla scelta del Governo di bloccare il nucleare, peraltro ci ricorda che "con il gas che tornerà centrale e il peso del solare nelle rinnovabili l'Italia avrà il mix energetico più caro del mondo": allegria, amici!




Andando a ripescare un'analisi dell'Rse (l'ex Cesi Riceca), Agnoli ci mostra cosa sarebbe successo con e senza energia nucleare tra il 2020, l'anno del primo kilowattora prodotto in Italia, e il 2030, data alla quale le centrali del programma del Governo sarebbero state tutte attive.

Ebbene, a quella data il cocktail elettrico italiano sarebbe stato composto da un 25% per ciascuno di nucleare, gas e rinnovabili, con il carbone poco lontano a quota 17%. Nella versione "senza", quella a cui guardiamo oggi, il primato spetterà senza ombra di dubbio al gas, con il 38%. A seguire le fonti rinnovabili (29% della produzione di elettricità) e, soprattutto, il carbone, accreditato del 23%.

Questo, continua il giornalista, ci permette di vedere come l'energia nucleare non avrebbe rubato terreno alle fonti "verdi", ma avrebbe invece permesso di ridurre l'utilizzo degli idrocarburi, e in particolar modo del carbone, che sono sicuramente molto tossici. A giustificare questa strategia è la lezione giapponese: il Giappone, a fronte della mancanza di una parte dell'energia nucleare prodotta in loco per il tragico incidente di Fukushima (- 8% della produzione elettrica giapponese), dovrà necessariamente attingere a fonti "abbondanti, immediatamente disponibili e trasportabili come gas, carbone e petrolio". La terra del Sol Levante, che da sempre ha avuto come pallino la sicurezza degli approvvigionamenti, potrà sfruttare anche l'industria del gas liquefatto, che ne fa il primo importatore al mondo. Ciò sottolinea una volta di più che per chi dovrà rinunciare al nucleare, gas e carbone tornano ad essere centrali.

Più il primo che il secondo, per la verità. Senza l'applicazione di costose tecnologie per la sua "ripulitura" il chilowattora elettrico da carbone produce quasi il doppio della CO2 del chilowattora da gas naturale. Sarebbe logico, quindi, preferire quest'ultimo anche se più costoso.

Un altro grosso problema sollevato da Agnoli riguarda l'età degli impianti, al cui proposito viene citata una stima di fonte Eni, secondo la quale
il 60% dell'energia elettrica europea viene da centrali nucleari e a carbone che in molti casi sono così anziane che dovrebbero già essere fuori servizio. E se solo metà di esse dovesse passare al gas la domanda europea salirebbe di 200 miliardi di metri cubi, circa il 40% in più rispetto ad oggi.
Parlando di fonti fossili, è lecito pensare alla sicurezza che i nostri fornitori ci possono garantire. Non dobbiamo dimenticarci dei problemi della Russia, protagonista delle crisi ucraine, dell'Algeria, che si trova in un territorio caldo che non la può rendere immune dal contagio dei rivoltosi, e della Libia in particolar modo, il cui gasdotto verso la Sicilia è stata fermato a tempo indeterminato. Senza contare gli imprevisti, come l'interruzione dello scorso anno del "tubo" da Norvegia e Olanda per una frana in Svizzera o di una condotta nello Stretto di Messina per il danno provocato dall'ancora di una nave. E, infine, ci ricorda ancora Agnoli, "il primo Paese al mondo per riserve di gas dopo la Russia è l'Iran", il che è tutto dire.
A proposito di approvvigionamenti dalla Libia, il rapporto della Iea (International Energy Agency) ci mostra che l'Italia è lo Stato che più dipende dal greggio libico, con un'importazione pari a 376 mila barili di greggio al giorno, seguita dalla Francia con 205 mila barili, Spagna, Grecia, Svizzera. La Libia, infatti, esporta 1,6 milioni di barili al giorno in Europa, rendendo così particolarmente dipendente dalle proprie forniture buona parte del Vecchio Continente. In una posizione di maggior forza si trovano, invece, gli Stati Uniti, che importano dal Paese di Gheddafi "solo" 51 mila barili al giorno.
Il giornalista conclude così il suo resoconto:
Gli strascichi della Grande Crisi, che ha abbattuto a livelli mai visti i consumi e i prezzi «spot» del gas, fanno sì che per ora le preoccupazioni rientrino velocemente. Ma se la corsa al gas dovesse ripartire, come si chiede anche l'Agenzia internazionale dell'energia, si ritornerebbe alle domande di qualche anno fa: ci si dovrebbe chiedere come mai l'Italia non ha nuovi rigassificatori come il Giappone (oltre a quello di Panigaglia e Rovigo) che le permetterebbero tra l'altro di sfruttare le opportunità del mercato libero e le conseguenze del fenomeno del gas "non convenzionale".

Per quanto concerne i gasdotti di importazione, l'Eni preme per il South Stream in società con Gazprom, l'Edison spinge sull'Itgi proveniente dall'Azerbaigian, mentre Enel cercherà di guadagnarsi il rigassificatore di Porto Empedocle, da tempo bloccato da mille ricorsi, e di rispolverare i primitivi progetti sul carbone, accelerando sulla centrale di Porto Tolle e di Rossano Calabro.
Quanto finora esposto mette a nudo le debolezze del nostro sistema energetico: senza il nucleare, avremo i nostri bei grattacapi per capire da dove attingere energia, anche senza referendum.

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