lunedì 21 gennaio 2013

ALCUNI PENSIERI (TRISTI) PRE-ELETTORALI

Strano questo 2013, che inizia subito con le elezioni in febbraio, le quale si svolgono in un'atmosfera di inverosimile déjà-vu dopo un periodo di buio della politica. I controsensi di queste consultazioni sono tanti e tutti evidenti - talora troppo, quasi stridenti - in questa campagna elettorale in cui si respira un gusto per niente nuovo e particolarmente triste.
184: sono i contrassegni ammessi.
Da dove vogliamo partire? Partiamo dai simboli. Lasciando da parte la querelle sull'ammissione dei simboli - i simboli delle liste civetta hanno rubato la scena per alcuni giorni, facendo calare il panico tra i cosiddetti big -, il primo dato sconvolgente è il numero di simboli ammessi alle elezioni: 184. È un numero che fa girare la testa, un'assurdità, sebbene sia niente in confronto a 234, il numero iniziale di contrassegni presentati. Qualcuno può obiettare che non è un'assurdità la democrazia ovvero la possibilità concessa ad un singolo cittadino di presentarsi alle elezioni. E su questo si può pure essere d'accordo. Però, conoscendo il Paese che abitiamo, l'affollamento di simboli e liste non è pura dedizione alla cosa pubblica trainata da forte senso civico: possiamo dire che, laddove presente, questa preziosa attitudine viene spesso sopraffatta da un interesse più basso, quello economico. È così improbabile pensare che molti partiti dai nomi più disparati e composti da pochi elementi siano interessati solo ai rimborsi elettorali, che assicurano al partito che supera il quorum dell'1% di assicurarsi per cinque anni un'entrata fissa di non poco conto, e non tanto ad impegnarsi in Parlamento per cambiare l'Italia?

"Votantonio", lo slogan ricorrente di Antonio La Trippa
In secondo luogo, un'anomalia che perdura da anni è evidente all'interno del simbolo: il nome dei candidati, o meglio, del leader del partito. Da Ingroia a Monti, passando per Storace, Berlusconi, Fini, senza dimenticare Maroni e Casini, Mastella e Grillo - solo per citare i nomi più conosciuti, nessuno ha resistito alla tentazione di non inserire il proprio nome all'interno del simbolo - si salva solo il Pd, bisogna dargliene atto. Eppure, da più parti, si sente dire, a più riprese, che è ora di superare i partiti personali, che i partiti alla Berlusconi hanno fatto il loro tempo ed è ora di abbandonarli per avvicinarci alle democrazie europee. Belle parole queste, hanno un suono soave, anche se qui, in Italia, le democrazie europee le guardiamo e basta: come pensiamo di avvicinarci ad esse presentando alle elezioni quasi duecento simboli, molti dei quali costruiti intorno ad un singolo, e di governare partiti, grandi e piccoli, come potentati personali?
Un elettore dinanzi alle liste elettorali
Altro tema attuale, anzi attualissimo, è la formazione delle liste. Scadeva oggi il termine per la presentazione delle stesse e vi sono stati partiti alle prese fino all'ultimo con ritocchi utili a mantenere quieti gli animi più agitati. Il nodo del contendere, per alcuni di questi partiti, è la candidatura dei cosiddetti "impresentabili": finalmente si comincia a prendere atto di questo problema e lo si affronta. Gli impresentabili, però, non sempre la prendono bene. Da ultimo Cosentino, dopo aver appreso di essere stato escluso dalle liste Pdl in Campania, pare sia scappato con le liste, lasciando il partito in difficoltà; il Pdl si è affrettato a smentire, ma la situazione, se fosse vera, appare del tutto grottesca. Nello stesso Pdl, varie  sono state le esclusioni più o meno rumorose, come quelle di Milanese, Dell'Utri e Scajola, solo per citarne alcune. Tuttavia, se gli impresentabili sono coloro che sono stati condannati o hanno processi in corso, perché mai Silvio Berlusconi, per il quale proseguono a Milano i processi Ruby e Mediaset (è stato sospeso solo quello sull'intercettazione Fassino-Consorte), può essere candidato, per di più come capolista al Senato in tutte le regioni?
Antonio Ingroia (sinistra) e Pietro Grasso (destra)
E poi vogliamo parlare delle candidature? Ciò che più mi ha sconvolto come cittadino è stato vedere più magistrati che, come niente fosse, hanno smesso la toga e accettato la candidatura. Tra le più lampanti, ci sono state quelle di Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, e Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo. Io non ho niente contro la candidatura di un magistrato in politica - è pure lui un cittadino come gli altri, seppur chiamato ad un ruolo molto alto; anzi, ritengo che alcuni di essi possano essere utili in Parlamento. Tuttavia, il loro ruolo di terzietà, estremamente delicato, non può e non deve essere svilito nel giro di un attimo, voltando le spalle alla magistratura per aprire le porte della politica: serve necessariamente un periodo di decantazione - sulla lunghezza si può discutere, a mio avviso di almeno cinque anni - al principio del quale il magistrato rassegna le proprie dimissioni. Anche perché, continuando sull'esempio specifico, stiamo parlando dell'ex procuratore nazionale antimafia (è delicato come ruolo, no?) e di un magistrato che fino all'altro ieri indagava sulla trattativa Stato-mafia: possiamo, a questo punto, essere certi al 100%, senza alcun minimo dubbio, della loro imparzialità durante l'attività precedente? Possiamo tollerare che gli stessi si siano fatti pubblicità personale in un'ottica di futuro impegno politico?
Il personaggio Cetto Laqualunque durante un comizio
Al di là di queste considerazioni, non si possono trascurare i toni di questa campagna elettorale, a tratti rivoltanti. I politici, intravedendo il momento nel quale riprenderanno i loro ruoli classici, hanno progressivamente alzato il volume di questa campagna elettorale, arricchendola di coloriture, rimaste sopite per quasi un anno. E a sentirli parlare, cadono le braccia: pontificano, criticano, asseriscono, invitano come se per vent'anni fossero stati catapultati su Marte, ignari di quanto succedeva sulla Terra, ed ora siano stati strappati al pianeta rosso per tornare a salvare il nostro globo terracqueo. Se siamo arrivati alla situazione di impasse politica di un anno fa e sul baratro della crisi finanziaria, non è certo per un malefico disegno divino, ma solo e soltanto per il pessimo operato di un ventennio di politica che ricercava precipuamente l'arricchimento personale, in barba a Tangentopoli e alle difficoltà del Paese. E ora, cosa ci aspetta?

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