domenica 29 marzo 2009

ROBERTO SAVIANO A "CHE TEMPO CHE FA"

E' stata una grande puntata quella di "Che tempo che fa": mercoledì 25 marzo ospite della trasmissione è stato Roberto Saviano, autore del best seller "Gomorra". Due ore intense e spesso toccanti, mettendo di nuovo l'accento su alcuni aspetti della camorra e del suo rapporto con l'informazione.


Perchè è stata l'informazione il fulcro intorno al quale è ruotata tutta la puntata: come la stampa locale campana tratta della cronaca inerente i fatti di camorra.
Saviano più volte ha detto di essersi raggelato, essersi rabbrividito, aver provato paura dinanzi a molti titoli, in cui si calcava sempre la mano sulla figura del boss di cui si parlava nell'articolo. Ciò che era importante passasse al lettore era il dispiacere per la morte di un parente del boss o per l'arresto di un capo; non i morti ammazzati dalla camorra o per un regolamento di conto o per sbaglio - perchè spesso così capita se si è nel posto sbagliato nel momento sbagliato. La stampa locale, e ancor meno quella nazionale, non ci hanno fatto sapere nulla del carabiniere Nuvoletta, autore dell'uccisione di un nipote di Francesco Schiavone detto "Sandokan", oppure di don Peppe Diana, ucciso perchè affermava che non si poteva continuare a fare il prete senza parlare. Tra l'altro la sua storia è ancor più agghiacciante: non solo è stato ucciso durante lo svolgimento di una funzione, ma dopo la sua morte è iniziata una pesante diffamazione al fine di far dimenticare al più presto la sua figura, che evidentemente aveva smosso qualcosa.
Ciò che più impressiona noi che non viviamo direttamente quella situazione è anche il tipo di notizie che vengono diffuse: i giornali sono dei bollettini di guerra, non una guerra finta, ma una guerra vera, a colpi di pallottole. E in parte a colpi di menzogne: perchè, lo spiega bene Saviano, la camorra non uccide solo con le armi da fuoco, la camorra uccide con la diffamazione, uccide annullando la dignità di una persona.

E ferisce ascoltare il filmato mandato in onda durante la conversazione tra Fazio e Saviano: sentir dire da ragazzini che il libro di Saviano è da bruciare, è una favola, è stato scritto perchè forse gli hanno violentato la moglie, la sorella o la fidanzata, che prima dell'uscita di "Gomorra", con la camorra, si stava bene, tutto filava liscio. Ascoltare il padre di Sandokan affermare che "i veri uomini sono loro", i camorristi. Leggere su una panchina "Saviamo merda".


Toccante, molto toccante, il racconto della vita di Saviano: una vita completamente blindata, in cui ogni movimento è calcolato fino all'ultimo particolare, una "non vita", in cui gli amici di una volta non si fanno più sentre e in cui è sempre presente l'ossessione per ciò che Saviano racconta, quasi da esserne prigioniero. Amando profondamente questa missione che lo scrittore stesso ammette di essersi dato: egli vuole essere "un'operazione mediatica", vuole che il suo libro sia letto, vuole che i fatti da lui raccontati emergano e facciano presa sul pubblico. Ed è questo, infatti, il motivo per cui la camorra gli ha inviato l'avviso di morte: Saviano sarebbe stato relativamente tranquillo se il suo libro avesse venduto pochissime copie, se fosse rimasto un libro qualunque. Invece, dal momento in cui è uscito è sempre rimasto in testa alle classifiche ed è stato tradotto in più di 50 paesi: parliamo di due milioni e mezzo di copie vendute!

Qui sotto potrete vedere gli spezzoni del monologo.







sabato 28 marzo 2009

IL CONGRESSO DEL PDL


Si è aperto venerdì a Roma il congresso fondativo del Pdl. Ieri ha parlato Silvio Berlusconi, oggi è toccato ai vari ministri e ai presidenti di Camera e Senato.
Un congresso dai grandi numeri, con tutti i partiti che vi confluiscono radunati alla fiera di Roma. Ma un congresso particolare, assolutamente sui generis: si sta celebrando la nascita di un partito deciso, in buona sostanza, dal presidente del Consiglio, il quale si è anche autonominato leader indiscusso dello stesso. Un congresso, perciò, in cui io vedo un deficit di democrazia, in cui i delegati fanno presenza, ma non devono eleggere nessuno perchè tutto è già deciso.
Normalmente i partiti sono convocati a congresso nel momento in cui si deve discutere di grandi temi o si deve scegliere il nuovo segretario: sulla base degli interventi e delle mozioni congressuali, si tirano le fila e si elegge il leader. Mentre per il Pdl non vedremo niente di tutto questo. E ritengo sia un'anomalia da correggere per un partito che ha nel suo nome il sostantivo "libertà" e che si propone di parlare al Paese perchè i cittadini, tramite i delegati, devono poter dire la loro al partito in cui si riconoscono e per cui votano.

Un discorso a parte merita Fini: oggi, sentendolo parlare, ho provato imbarazzo al posto suo per il ricordo di ciò che ha dichiarato. Leggete e comprenderete.

10 luglio 2007

«Spero che sia per tutti chiaro che, almeno per me, non esiste alcuna possibilità che Alleanza nazionale si sciolga e confluisca nel nuovo partito di Berlusconi, del quale non si capiscono valori, programmi, classe dirigente. Non ci interessa la prospettiva di entrare in un indistinto partito delle libertà».
«Lui che adesso accetta di discutere sulla legge elettorale, ci ha risposto senza rispetto e quasi sfidando il ridicolo ci ha detto "ho fondato il Pdl, scioglietevi, bussate, venite e vi sarà aperto...". Comportarsi in questo modo non ha a che fare con il teatrino della politica, significa essere alle comiche finali».

domenica 22 marzo 2009

AN SI SCIOGLIE


"Anche oggi c'è pathos, ma è diverso da Fiuggi. Oggi non ci tocca esaminare nulla della nostra identità per vedere quale parte lasciare e quale traghettare nel Pdl. An entrerà nel Pdl con tutta la sua identità e tutta la sua storia". Così ha detto ieri La Russa, il reggente di An che ha traghettato il partito nel Pdl.

Spero vivamente che An entri con tutta la sua identità dentro il nuovo partito, che sappia ritagliarsi più spazio di quello che gli tocca da copione, che faccia sentire ancora la sua voce su alcuni valori della destra, sebbene, come tutti abbiamo percepito, in questi anni quei valori sono stati in parte annacquati da alcune prese di posizione, non solo del leader Gianfranco Fini, al fine di guadagnarsi un posto di rilievo tra i partiti dell'arco costituzionale italiano ed europeo. Non poche sono le critiche che, giustamente, sono state rivolte ad An che, se non è cresciuta granchè nei risultati elettorali di questi ultimi anni, è perchè in parte ha abbandonato la difesa di alcuni paletti che da Fiuggi in poi l'avevano connotata come il partito di destra in Italia.

Spero che i vecchi colonnelli di An sappiano piantare delle forti radici nel Pdl per poter vedere rappresentati le idee della destra: la patria, l'interesse nazionale, la difesa della tradizione. Perchè, senza questi, nel mondo di oggi, il rischio della deriva dei valori civili fondanti una società democratica è forte. E solo la destra, quella vera, però, può difenderli.

venerdì 20 marzo 2009

MOVIMENTI SOSPETTI


Apprendo, con grande sorpresa dai giornali, che l'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris sarà candidato come indipendente con l'Italia dei Valori alle prossime elezioni europee del 6 e 7 giugno. E con la stessa sorpresa apprendo che anche Carlo Vulpio, giornalista del Corsera, per il quale si era occupato delle inchieste Why Not, Poseidone e Toghe Lucane, anch'egli come indipendente, sarà candidato per il Parlamento europeo.
Rimango sgomento dinanzi a queste notizie: si badi bene, non perchè siano gravi in sè, ma perchè alimentano quel (mal)costume, di cui gli Italiani sono tra i più fieri rappresentanti, in base al quale alcune persone, dopo la notorietà mediatica meritata per qualche particolare evento, fanno il grande salto dall'attività precedentemente svolta in politica. Lasciando un dubbio sul fine che li ha spinti al gesto: un impegno profondo per una causa in cui fortemente credono oppure un mero interesse pecuniario?

Il fatto appare tanto più grave quando ad essere coinvolti sono magistrati, coloro che dovrebbero essere «la bocca che pronuncia le parole della legge». Ancor più quando gli stessi, una volta portata a termine l'esperienza legislativa e messo da parte un sostanzioso vitalizio, decidono di ritornare all'ovile (come ricordava ieri Ostellino sul Corriere i casi sono tanti). La Costituzione, che viene tante volte tirata in ballo, afferma solennemente la spartizione dei tre poteri: in casi come quelli sopra ricordati, invece, si fa finta di niente...

Con quanto sopra detto, non voglio assolutamente criminalizzare nessuno, ma solamente sottolineare che talvolta sono dubbi alcuni percorsi: ritengo, cioè, che se si crede in un ideale, in un fine particolare si cerca di portarlo il più avanti possibile, senza prendere la strada della politica, che, per antonomasia, è fatta di compromessi (spesso al ribasso), senza contare il rischio di "dimenticarsi" della causa per cui un tempo si è combattuto.

sabato 7 marzo 2009

UN ENFANT PRODIGE

Jonathan Krohn, da Atlanta, l’anno scorso ha scritto un libro, «Define Conservatism», in cui ha voluto puntualizzare le linee-guida della dottrina conservatrice di fronte allo smarrimento e al disinteresse per la stessa notata durante la campagna elettorale, dominata dal nuovo vento progressista obamiano. Il 27 febbraio è intervenuto al Cpac (Conservative political action commettee) e ha suscitato un grande interesse nell'assemblea nel corso dei tre minuti di discorso in cui ha esposto i quattro fondamenti del pensiero conservatore “secondo Krohn”: rispetto per la Costituzione, difesa della vita, intervento governativo limitato all’essenziale (lasciando il più libera possibile l'iniziativa personale) e responsabilità personale.
E perchè ha avuto così tanto successo? Facile: voce potente, eloquio incalzante e gestualità da oratore navigato.




martedì 24 febbraio 2009

DOVEVA MORIRE. CHI HA UCCISO ALDO MORO. IL GIUDICE DELL'INCHIESTA RACCONTA.



DOVEVA MORIRE
CHI HA UCCISO ALDO MORO

IL GIUDICE DELL'INCHIESTA RACCONTA

Ferdinando Imposimato

Sandro Provvisionato


Chiarelettere


€ 15,60

Grandi complimenti ad Imposimato e Provvisionato per questo libro: in quasi 400 pagine hanno racchiuso tutti i principali equivoci di quello che viene considerato uno dei più grandi misteri del nostro Paese.
E' bene sottolineare come il titolo non debba ingannare il lettore: nessuna dietrologia sul delitto Moro, nessun teorema costruito ad hoc per giudicare qualcuno; solo un resoconto di fatti, documenti e testimonianze preziosissimi, soprattutto perchè alcuni di questi sconosciuti fino a poco tempo fa, per cercare di capirci qualcosa di più. Con una tesi finale: Aldo Moro, nonostante numerose circostanze favorevoli alla sua liberazione, è stato lasciato morire perchè doveva morire.
Solo scorrendo il sommario, già vengono i brividi: "La prigione che nessuno voleva trovare. Ma la polizia di Cossiga sapeva tutto", "Il Comitato di crisi. Indagini bloccate, tutti piduisti", "I consiglieri di Cossiga. Le parole agghiaccianti di Steve Pieczenik", "Depistaggi di Stato. La svolta: via Gradoli e il lago della Duchessa" solo per citarne alcuni, sebbene tutti siano interessanti ed aiutino ad inquadrare meglio la vicenda.
Si giunge alla fine del libro con una strana sensazione: sembra che per trent'anni ci sia stata raccontata un' altra storia e che questa sia totalmente inventata. E invece no: a supporto delle loro tesi i due autori hanno una quantità immensa di documenti, alcuni dei quali presenti nelle pagine finali del libro, tanto per destare ancora più stupore nel lettore.

Le "Conclusioni" del libro, una sorta di riassunto, sono semplicemente agghiaccianti: il sequestro Moro era chiaramente un sequestro annunciato, come dimostrano i timori personali di Moro e gli strani movimenti precedenti il sequestro in via Savoia, dove aveva sede il suo studio; ad interferire nelle indagini sono stati vari personaggi: Cossiga prima di tutti , il quale aveva interferito vistosamente nell'operato della magistratura, anche aiutato dalla sua creatura, l' Ucigos, oltre al ruolo chiave della P2, "un organismo che, di fatto, decise la strategia politico-militare, ma anche investigativa e giudiziaria, da tenere nei cinquantacinque giorni della prigionia di Moro"; le occasioni mancate per liberare Moro sono state troppe, almeno otto ne contano gli autori: tra tutte gioca un ruolo importante via Gradoli, che vanta tre perquisizioni nel giro di 32 giorni senza risultati, escludendo l'ultima, che dalla dinamica sembra essere stata "suggerita" dalle stesse Br; la ragion di Stato, cui Moro stesso nelle lettere dal carcere si oppone, viene data come giustificazione all' atteggiamento di fermezza del Governo, nascondendo il "vero movente che sottende la sua morte". C'è un movente, che può apparire "incredibile" e " che Moro aveva compreso perfettamente: la corsa al Quirinale" del duo Cossiga-Andreotti. Il primo ci riuscirà nel 1985, "occupando proprio quella poltrona che molti pensavano sarebbe spettata a Moro" (val la pena ricordare come il boicottaggio contro Moro era cominciato nel 1971 quando al Quirinale fu eletto Segni), il secondo, nominato senatore a vita dallo stesso Cossiga nel 1992, in quello stesso anno "si presenterà con tutte le carte in regola per succedergli. Ma nel maggio 1992, momento clou della battaglia al Quirinale, Andreotti sarà eliminato a seguito dell'uccisione di Salvo Lima prima e poi della strage di Capaci".

domenica 22 febbraio 2009

CIAO CANDIDO!


Candido Cannavò è morto questa mattina alle 8,48 a Milano, all’ospedale Santa Rita dove era ricoverato da giovedì per una emorragia celebrale. Storico direttore della Gazzetta, poi editorialista, si è spento a 78 anni; ha guidato la Gazzetta dal 1983 al 2002.

Se ne va un altro grande giornalista, uno di quelli che viveva per scrivere, come testimonia il fatto che il malore gli è occorso proprio nella redazione della Gazzetta, il grande amore della sua vita che ha diretta per quasi vent'anni.

CIAO CANDIDO!

venerdì 20 febbraio 2009

LA SCONFITTA DI VELTRONI E LA MENTALITA' DELLA SINISTRA

Ormai da pochi giorni si sono consumate le dimissioni di Walter Veltroni da segretario del Pd e le analisi politiche su tutti i giornali ci hanno illuminato sui possibili scenari futuri e sui retroscena, più o meno evidenti.
Io ritengo che sia utile leggere questo evento politico di grande importanza da un'altra ottica. Ossia analizzando le cause profonde che ormai da quindici anni attanagliano la sinistra italiana, rendendola instabile e costringendola, come ha ricordato Veltroni nella conferenza stampa, a cambiare sei-sette leader, bruciandoli, senza arrivare a nulla. E' il punto di vista che condividono due addetti ai lavori come Fabrizio Rondolino e Sergio Romano, che hanno sapientemente argomentato che i problemi attuali del Pd riconoscono una genesi comune legata ad incomprensioni del passato, a problemi irrisolti di ieri che si ripropongono variamente ed inevitabilmente oggi.
Risulta evidente che se il Pd non ha saputo imporsi come partito a vocazione maggioritaria, non riuscendo a conquistare quella fetta di elettorato alla quale vuole parlare, il problema è legato alla mancanza di una vera identità. Perchè? Perchè il Pd nasce dalla confluenza dei Ds e della Margherita ovvero dalla confluenza degli ex comunisti che ancora non sono riusciti a fare completamente i conti col passato e degli ex democristiani, anch'essi impegnati a rivedere i propri profili identitari, motivo per cui ne nasce un così forte contrasto. Si diceva che la fusione Ds-Dl non era a freddo, ma io nutro forti dubbi. Il caso lampante della mancata decisione della collocazione a livello europeo è paradigmatico.
Riguardo la figura di Veltroni, è bene sottolineare come l'abitudine di usare una persona come capro espiatorio di colpe commesse da un gruppo in Italia è ancora ben radicata. In altri Paesi europei, nonostante alcune sconfitte amministrative, i leaders non hanno dovuto rassegnare le proprie dimissioni, ma - si sa - noi Italiani siamo diversi, siamo speciali per certe cose.
Accanto a questa considerazione, mi preme invece evidenziare il modo in cui la sinistra ha preso atto della sconfitta in Sardegna al fine di mettere in luce come la presunta superiorità comporti errate analisi e pertanto errate ricette. Proprio a Ballarò, martedì sera, ho sentito Concita De Gregorio, direttrice de L'Unità: ancora dalla sua bocca, nel corso dell'analisi del voto, sono uscite le parole "Berlusconi pericolo per la democrazia", confermando così che l'antiberlusconismo, checchè ne dicesse Veltroni con buoni propositi, è ancora vivo, oggi più che mai, e viene usato. Verrebbe da dire: contenti loro, contenti tutti; se loro ritengono di analizzare così una sconfitta, addossando le proprie colpe su altri, anzichè fare un vero e serio esame di coscienza, allora non abbiamo speranze. Perchè - vedete - ho come l'impressione che questa malattia - quella di non saper analizzare le sconfitte per non dover ammettere di aver sbagliato, minando quel teorema della superiorità morale della sinistra, così ben descritto da Luca Ricolfi - sia talmente grave nella sinistra da essere difficile, se non impossibile, da curare. Non illudiamoci, quindi, che cambiando il segretario, cambi la musica: finchè non ci si mette intorno a un tavolo e si discute seriamente su tutto ciò che serve al Pd per essere un partito che raccolga consensi (identità, le cosiddette piattaforme politiche, etc.), non si arriverà alla soluzione.
Ciò che dice D'Alema oggi su Repubblica va in parte in questa direzione: spero sia l'inizio.

martedì 17 febbraio 2009

IL PDL VINCE IN SARDEGNA

E così, anche la Sardegna è andata al Pdl. Non senza qualche dubbio, almeno inizialmente. Dubbio dettato dal fatto che il candidato Cappellacci è stato una creatura di Berlusconi ("Ha scelto il candidato e per dote gli ha dato se stesso: il suo simbolo, il suo volto, il suo nome e la sua voce" affermava Verderami sabato scorso sul Corriere). Il quale però ha dimostrato, per l'ennesima volta, la sua vera potenza politica: ha replicato la scelta di Cappellacci dopo quella di Chiodi in Abruzzo, anche quest'ultimo un uomo fuori dagli schieramenti consueti, che ha riportato la vittoria.
E pertanto il problema politico ora si pone: di fronte ad una Lega troppo forte, sempre pronta a chiedere posti, spesso anche importanti, è sceso in campo Berlusconi stesso a cercare di calmare gli animi. Riuscendoci, direi. E con la sicurezza e il nerbo del politico navigato, ha dimostrato, ancora una volta - se ancora se ne sentiva il bisogno - che l'uomo forte del centrodestra è lui: è grazie a lui se nel Pdl non si assiste ai molti mal di pancia che affliggono il Pd, è grazie a lui, insomma, se la navigazione del Pdl è abbastanza tranquilla. Ma il problema politico si pone anche per gli altri alleati: guai a chi metterà in dubbio i candidati di Berlusconi alle Amministrative, rivelatisi sempre vincenti. Una brutta gatta da pelare, per tutto il centrodestra, che sicuramente si troverà a discutere sugli equilibri interni, in vista delle prossime elezioni amministrative ed europee.
Il Pd, invece, esce nuovamente con le ossa a pezzi da questa competizione: nuovamente il candidato appoggiato da Veltroni frana sotto i colpi del centrodestra. Segno tangibile, come è successo in Abruzzo, di un male politico su cui il Pd non ha saputo riflettere, trovando adeguate soluzioni. E questo, a mio avviso, è molto grave: se il Pd non vince a livello locale, è semplicemente perchè troppe sono le beghe che gli amministratori di Comuni e Province devono risolvere, sia all'interno del Pd sia con gli alleati. E, molto probabilmente, figlia di questa incapacità di vincere è anche la profonda divisione a livello nazionale, con un Veltroni che ogni giorno è sempre più debole, lavorato ai fianchi dagli ex Ds che reclamano un cambio di rotta e dagli ex Dl che si lamentano per la mancanza di peso che hanno dentro il partito. E, quindi, un partito diviso a livello nazionale paga a caro prezzo questi litigi con le divisioni a livello locale, le quali conducono a sconfitte, spesso brucianti, nel corso delle consultazioni elettorali.

domenica 8 febbraio 2009

FERMIAMOCI DINANZI AL DOLORE

Da quanti giorni assistiamo al tam tam di notizie sul caso Englaro? Tanti, anzi troppi, francamente troppi: credo sia giunta l'ora del silenzio per rispetto della famiglia Englaro.
Come ha ben ricordato l'ex Capo dello Stato Ciampi su "Repubblica" ("mi rattrista molto vedere che un caso umano così doloroso diventi occasione per cercare di attaccare il Capo dello Stato. E' davvero inopportuno, e mi amareggia innanzitutto come cittadino, che si prenda spunto da una vicenda drammatica per cercare di affievolire i poteri del Presidente"), è molto triste utilizzare strumentalmente il dolore, non solo per attaccare il presidente Napolitano, ma proprio per una questione di buon gusto personale: nessuno di noi ha una misura, neppure minima, del grave dolore che Beppino Englaro da 17 anni vive stando al fianco di sua figlia. Che non è più la stessa Eluana delle fotografie: considerazioni - queste - ben espresse dal professor Da Monte ("Ho provato un dolore immenso per questa ragazza, che ci è stata presentata nel fiore della giovinezza, piena di gioia di vivere. Mi sono trovato davanti a una persona completamente diversa dall'immaginario che ognuno di noi si era creato.")
A questo punto mi chiedo: è giusto che la politica continui a parlare e ad usare per meri interessi propri la vicenda Englaro? Stiamo parlando di quella stessa politica che da tempo ragiona di una legge sul testamento biologico, senza giungere a nessun atto concreto. Con la mia memoria arrivo ancora ai tempi del governo Prodi, con Ignazio Marino presidente della commissione Sanità del Senato, la quale aveva licenziato un testo; e poi come mai non se n'è più fatto nulla? Troppi erano i disaccordi sulla questione tra i cattolici e i laici del Pd, duramente contrapposti. E arriviamo così ad una sentenza della Corte di Cassazione che respinge il ricorso della procura di Milano, autorizzando la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione ad Eluana.
Ritengo che la politica debba fare un serio esame di coscienza: su una materia riguardo la quale doveva legiferare il Parlamento è dovuta intervenire la magistratura per sanare evidentemente una mancanza della legge. E ora che fa il Governo? Fa i salti mortali, convocando in fretta e furia Camera e Senato per lunedì al fine di discutere un ddl sul testamento biologico...
Non credo sia proprio la maniera più giusta di agire: indipendentemente da ciò che ciascuno di noi possa pensare riguardo la fine della vita, è bene mantenere comunque un certo contegno dinanzi al dolore profondo di un padre che vede da 17 anni la sua figlia nelle condizioni che tutti conosciamo. Rispettando quindi anche la sua decisione di porre fine alla vita (se tale può essere definita) di Eluana. Ecco perchè ha fatto bene, a mio parere, il presidente Napolitano a non firmare il decreto legge approvato venerdì mattina dal Governo dal momento che "non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di necessità ed urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione se non l’impulso pur comprensibilmente suscitato dalla pubblicità e drammaticità di un singolo caso."
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