sabato 16 gennaio 2010

IL "CARATTERACCIO" TUTTO ITALIANO



Il caratteraccio. Come (non) si diventa italiani

Vittorio Zucconi

Mondadori

€ 18,50

Vi avevo già parlato di questo libro, di cui ho avuto il piacere di ascoltare la presentazione alla presenza di Vittorio Zucconi al collegio Ghislieri di Pavia. Il libro ci fornisce, in buona sostanza, uno spaccato dell'italiano medio, afflitto da molti vizi e poche virtù, che, non perdendo mai l'occasione di denigrarsi, ha maturato la certezza che quello italiano sia un "caratteraccio".
Il libro nasce riunendo una serie di "lezioni americane" tenute da Zucconi al Middlebury College tra le colline verdi del Vermont, conscio di rivolgersi non ad accademici ma ad una platea di studenti che sa molto poco dell'Italia. Si tratta di lezioni sui generis, che non partono, come i classici libri scolastici, dal Medioevo o dal Rinascimento (che Zucconi mal sopporta), ma piuttosto si soffermano sull'Italia dell'ultimo secolo, sugli avvenimenti della storia recente utili a comprendere l'Italia di oggi e forse quella del futuro. Prendendo spunto da eventi importanti come la presa di Roma o la Grande Guerra per arrivare fino a Tangentopoli e Berlusconi, Zucconi analizza il nostro comportamento, influenzato fortemente dalla storia, al punto che siamo "un popolo condannato ad ssere sempre anti, il prefisso che si è rivelato il surrogato della nostra identità", dalla politica al calcio passando per la religione e la storia. Il tutto con una vena di sagace ironia da cui traspare affetto per la terra natale, frammisto a racconti di esperienze personali. L'unico appunto che mi sento di fare riguarda la forma, caratterizzata da periodi abbastanza lunghi e con molti incisi, che possono risultare di "distrazione" per il lettore.



L'atteggiamento di continua denigrazione che nutriamo verso di noi viene così descritto:

Il fascino misterioso di un paese e di una cultura che gli abitanti e i detentori adorano disprezzare in pubblico aumenta paradossalmente in proporzione agli sforzi fatti da noi italiani per denigrarci o per dipingerci in ogni immaginabile cattiva luce.

Questo comportamento, tra l'altro, viene confermato anche da un sondaggio pubblicato su Sette il 17 dicembre 2009, condotto da Doxa e Reputation Institute su 33 Paesi. In esso l'Italia si classifica al dodicesimo posto tra le nazioni meglio considerate, dopo Svizzera, Canada, Australia e altri e davanti a Francia, Germania, Gran Bretagna e USA, tra gli altri. Addirittura, siamo al primo posto per cultura e divertimento, quarto come posto da visitare, sesto in marchi e innovazione, settimo nello stile di vita, ottavo nella bellezza fisica e nono nella qualità dei prodotti e dei servizi. Il problema sorge quando ci viene chiesto come ci consideriamo: la nostra autostima è effettivamente molto poca, tanto che siamo al ventiseiesimo posto: siamo piuttosto contenti della nostra creatività e dei tesori culturali, ma delusi dai guasti al paesaggio, dell'efficienza del governo, dello stato sociale.
Il fatto di "essere la macchia di tutte le macchie umane è tanto evidente (...) che la soluzione all'impossibilità di dipanare la matassa è quella di definirci in negativo": non siamo meridionali, non siamo juventini, non siamo di destra, non siamo cattolici non siamo berlusconiani. Sempre contro, mai a favore: solo così sentiamo di esistere. E' la stessa storia che ci dice che l'unificazione - da distinguere attentamente dall'unità, come tiene a precisare Zucconi - è stata portata avanti "contro" quella che nell'Ottocento era la "capitale naturale", non "a partire" dalla "città principale e dominante", come invece è successo in Europa, dove "i popoli della periferia nazionale" sono stati risucchiati dal centro. Neppure i fascisti "erano figli di quella lupa che tanto esaltavano", al punto che abbiamo assistito ad "un operettistico " . Ciò che non si era riusciti a fare con Porta Pia, si pensava di farlo con la Grande Guerra: gli interventisti credevano che si potesse formare, accanto al "completamento territoriale" con Trieste, Trento e l'Istria, una "più perfetta unione" di cittadini. Sappiamo com'è andata a finire...
Dice Zucconi in un passo del libro:

(...) pensare l'Italia del 1922 come una nazione certamente non più bambina (...) ma non ancora adulta. (...) gli italiani come un popolo adolescente, dilaniato tra la voglia di ribellione e la paura di responsabilità, ansioso di scuotersi di dosso il basto degli adulti che improvvisamente gli appaiono tutti come idioti, farabutti o inetti, ma ancora pronto a prendere il posto di quegli stessi adulti.

In questo contesto piomba la facile e utile soluzione portata da

un uomo carismatico, dall'oratoria facile, con impeccabili credenziali popolari, nazionaliste e reduciste, con una soluzione indolore (...) al dramma di ogni adolescente: la propria identità, il bisogno disperato di appartenenza e l'ansia del futuro.

Lo stesso Mussolini finì poi per essere "l'espressione di quello che l'Italia era, più seguace che condottiero del caratteraccio nazionale". E così si spiega quella peculiarità del nostro carattere: la dissimulazione assurta a vero e proprio sistema di vita, rintracciabile in ogni aspetto della vita quotidiana.


Zucconi, con la raccolta delle sue lezioni, ha trasmesso in maniera molto cruda e veritiera ciò che noi effettivamente siamo, ma di cui non ci rendiamo conto fino in fondo. La vena generalmente negativa che percorre il libro è volutamente ricercata, utile a metterci di fronte al nostro "caratteraccio", che tuttavia ci fa apprezzare all'estero, affascina chi non ci conosce, dona un marchio speciale all'italianità e consacra l'homo italicus.

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