giovedì 8 settembre 2011

SE IL CICLISMO SI MISCHIA ALLA POLITICA


È inutile negarlo: il Giro della Padania, alla sua prima edizione quest'anno, è innegabilmente la corsa della Lega Nord, la quale ha scelto il ciclismo come mezzo per diffondere il suo storico messaggio; è quindi naturale che non la si possa considerare solo una gara ciclistica. Tanto per capirci, l'organizzatore è Michelino Davico, sottosegretario agli Interni e uomo della Lega, sotto le cui insegne ha svolto incarichi di consigliere comunale e assessore nel comune di Bra prima di essere eletto senatore nel 2006 e riconfermato nel 2008. Lo stesso Davico, in compagnia di Renzo Bossi, il Trota ovvero il figlio del Senatùr, e della presidentessa leghista della provincia di Cuneo Gianna Gancia, hanno dato il via alla corsa martedì 6 settembre a Paesana. Anche il paese scelto come partenza della gara è simbolico: Paesana, in provincia di Cuneo, è caro alla Lega Nord, visto che qui ogni anno, a metà settembre, si riunisce lo stato maggiore del Carroccio subito dopo il prelievo dell'acqua con l'ampolla alle sorgenti del Po per tenere il comizio che apre la Festa dei popoli padani. Infine, la maglia di leader non potrà che avere il colore verde. Tutto s'incastra perfettamente a giustificare, al di là di qualsivoglia ipocrisia, il risvolto politico di questo evento sportivo, in particolare a determinarne il ben preciso colore: il verde leghista.


Il Trota all'inaugurazione del Giro della Padania
È altrettanto vero che non si può essere così ingenui da non sapere che la commistione tra politica e sport esiste da sempre, purtroppo. Come ci ricorda Francesco Moser oggi sul Corriere - sulla cui dichiarazione "La Padania esiste, è inutile far finta di niente, quindi è giusto che la corsa si chiami così" ci sarebbe qualcosa da ridire - , "i comunisti" organizzano "da una vita corse ciclistiche come il Giro delle Regioni o il Gran premio della Liberazione e nessuno ha mai detto niente. (...) Mi hanno criticato perché ho partecipato alla presentazione, ma quando ho corso il Gp della Liberazione, dove 'i compagni' favorivano i russi, nessuno ha detto niente". Allo stesso tempo, dobbiamo sottolineare che la Federciclismo, presieduta da Renato Di Rocco, non aveva la possibilità di respingere un'associazione, la Monviso-Venezia, che ha chiesto di occupare date di calendario, soprattutto in considerazione della penuria di corse nell'attuale periodo. Alla corsa hanno preso parte 193 atleti, tra i quali Ivan Basso, Daniel Oss, Giovanni Sabatini, Elia Viviani, Paolo Tiralongo, Stefano Garzelli, Giovanni Visconti e Davide Rebellin, solo per citarne alcuni. Non proprio degli sconosciuti, non proprio dei ciclisti che avevano il vezzo di farsi una sgambata di qualche giorno: alcuni di questi puntano al successo finale, altri alla vittoria di tappa, altri ancora vogliono mettersi in mostra per guadagnarsi le maglie azzurre ancora vacanti per il Mondiale, che si svolgerà dal 19 al 25 settembre a Copenhagen, in Danimarca. 
La protesta anti-Giro della Padania a Mondovì
Alla luce di tutto questo, visto che stiamo parlando di professionisti, quale senso hanno avuto i disordini cui abbiamo assistito? Durante la prima tappa, a Mondovì, un centinaio di persone, capeggiate da Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione Comunista, hanno tentato di fermare la corsa, con insulti e spintoni ai corridori - non sono anche loro lavoratori? -, mentre un poliziotto è finito prima con un piede sotto una macchina, poi in ospedale; gli scontri sono proseguiti anche ieri a Savona, con Giovanni Visconti costretto a ricorrere alle cure del medico, Sonny Colbrelli, stagista alla Colnago, colpito da un pugno all'occhio destro, un poliziotto rimasto ferito e il gruppo deviato su un percorso alternativo; stamani, a Lonate Pozzolo, da cui ha preso il via la terza tappa, ci sono state nuovamente contestazioni e polemiche tanto che gli organizzatori sono stati costretti ad anticipare la partenza di una ventina di minuti e ad allungare il percorso della tappa per evitare il passaggio a Piacenza, dove il sindaco Roberto Reggi (Pd) ha negato il nulla osta alla corsa ciclistica, motivando così la decisione: "Per garantire la vigilanza delle strade lungo il percorso, bisognerebbe impiegare il personale in orario straordinario, ma non è possibile per mancanza di fondi". 
Michelino Davico (di spalle) con Ivan Basso e Sasha Modolo.
È evidente che le polemiche e le contestazioni sono state squisitamente politiche, è vero che la gara, anziché chiamarsi Giro della Padania, poteva chiamarsi Monviso-Venezia o con un qualsiasi altro nome, è lampante la regia di questa corsa: pur considerando tutto questo, a farne le spese sono stati solamente i ciclisti, professionisti che ogni giorno faticano, allenandosi, e che per scontri come quelli verificatisi possono vedere finita la stagione. Non possono subire ciò che abbiamo visto solo perché alcuni contestatori hanno deciso di essere in disaccordo con l'organizzazione della corsa ciclistica verde. Tanto più che per il ciclista la corsa non ha alcun significato, essa viene vista come una delle tante gare dell'anno e, in particolar modo, essa assume una grande importanza, dal momento che è preparatoria al Mondiale. Perché opporre la becera polemica politica ad una manifestazione sportiva che, pur con tutte le sue particolarità, rimane sempre una corsa ciclistica per professionisti?
Continuo a chiedermi: ma noi, quando si crescerà e si diventerà più ragionevoli?

Noi siamo dei ciclisti, siamo venuti a questa gara per correre e chiediamo solo che il pubblico ci permetta di farlo. Siamo dei professionisti, chiediamo rispetto da parte di tutti, nei confronti del nostro lavoro. Per noi questi comportamenti sono inaccettabili, siamo degli sportivi, ci alleniamo e fatichiamo quotidianamente per poter correre, non accettiamo che i nostri sforzi vengano resi vani in questo modo. 
Sacha Modolo e Ivan Basso
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Pubblico il commento di Gaia Bonasio e, più sotto la mia risposta.


Risposta: se i ciclisti oltre ad avere due gambe avessero anche due dita di cervello potrebbero valutare l'opportunità delle loro scelte. In tal caso dovrebbero assumerne le conseguenze. La competizione patrocinata da un partito è, come ricordi al principio del tuo post, ontologicamente politica. Dietro tutto, c'è un'ideologia, un pensiero, un programma. Partecipandovi, in qualche modo stai legittimando chi l'ha organizzata, sia esso un partito di sinistra o destra, un sindacato, una comunità religiosa. Non dico che necessariamente stai esibendo concordia con gli ideali del patrocinatore, ma li stai legittimando, e in qualche modo ti ci fai legare, costruendo un rapporto di debito-credito che può essere giuridico o anche solo morale (chiamala mutua gratitudine): tu fai pubblicità a loro, loro danno a te la possibilità di allenarti. Ed è per questo che l'adesione ad un evento del genere dovrebbe essere riflettuta. Ora, essendo la manifestazione eminentemente politica, ed essendo per la politica questo un momento molto caldo, può accadere che ci siano contestazioni. Civili o meno, ma da tenere comunque in conto. 

Gaia Bonasio

P.S. Tra parentesi, i tafferugli di solito sono generati da chi, organizzatore, tenta di rimuovere l'ostruzione rappresentata da chi, contestatore, si piazza al centro della strada, fermo, per impedire lo svolgersi dell'evento.
P.S.-bis Non biasimo il sindaco di Piacenza nel voler evitare costi extra per un rinforzo extra alla manifestazione di un partito che ha contribuito a tagliarti di netto i fondi per poter svolgere il suo lavoro. (Non mi date il minimo per lavorare? Ma ve lo scordate che usi fondi pubblici per la vostra sgambettata politica! Forse devo tesaurizzare per mantenere autobus e centri disabili per i miei concittadini).

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Cara Gaia,
capisco perfettamente il senso del tuo commento, ma vorrei fare alcune precisazioni. Innanzitutto, al di là delle considerazioni personali sul cervello dei ciclisti, sono certo che essi hanno valutato accuratamente "l'opportunità delle loro scelte". Pur sottolineando, una volta di più, che il Giro di Padania aveva un netto colore politico, mi preme ricordare che l'organizzazione della corsa, ufficialmente riconosciuta dall’UCI (Unione Ciclistica Internazionale), è stata gestita dalla neonata associazione sportiva dilettantistica Monviso-Venezia, originata dalla passione per la bicicletta di cinque amici, tra cui il senatore leghista Michelino Davico, Gianni Genta, Valerio Fissore e due ex professionisti quali Massimo Ghirotto e Matteo Cravero, e dalla storica società ciclistica varesina Alfredo Binda, la quale organizza la Tre Valli Varesine ed è stata promotrice del Campionato del Mondo del 2008 a Varese.
Ivan Basso (Liquigas Cannondale)
vincitore della prima edizione del Giro di Padania
A questo punto, torno a ribadire che è stato il nome della corsa - Giro della Padania - ad accendere gli animi e a dare il là a polemiche e contestazioni: se si fosse chiamata Monviso-Venezia o Giro della Pianura Padana, probabilmente nessuno avrebbe fatto tante moine. Non escludo, infine, che si sia voluto volontariamente calcare la mano proprio perché c'era di mezzo la Lega e, considerando il delicato momento politico, si siano saldate proteste politiche e ciclistiche.
Non sono per nulla d'accordo, invece, riguardo il fatto che correre una gara organizzata da un partito, un sindacato o una comunità religiosa leghi, in un certo qual modo, gli atleti all'organizzazione, "costruendo un rapporto di debito-credito": stiamo parlando di professionisti, che sono pagati per i successi che ottengono in una stagione, in qualunque gara. E comunque siffatte polemiche non si sono udite per corse come il Giro delle Regioni o il Gp della Liberazione: forse solo perché dedicate agli Under 23 e quindi, apparentemente "meno importanti"? È indubbio: quei professionisti meritavano rispetto ovvero  di poter correre in tranquillità, senza timori di incidenti o stop causati da facinorosi dediti a sterili polemiche.
Ti segnalo, infine, che chi, invece, non bada al colore politico ma solo agli affari sono - tanto per cambiare - le coop rosse. Il Fatto Quotidiano del 9 settembre, con un articolo di Antonella Beccaria e Matteo Incerti, ci fa sapere che, nonostante militanti del Prc e del Pd abbiano contestato la corsa, "due colossi del mondo cooperativo rosso dell’Emilia Romagna, le imprese di costruzione Coopsette e Unieco, sono tra gli sponsor del Giro della Padania." È proprio vero: pecunia non olet.

3 commenti:

  1. Risposta: se i ciclisti oltre ad avere due gambe avessero anche due dita di cervello potrebbero valutare l'opportunità delle loro scelte. In tal caso dovrebbero assumerne le conseguenze. La competizione patrocinata da un partito è, come ricordi al principio del tuo post, ontologicamente politica. Dietro tutto, c'è un'ideologia, un pensiero, un programma. Partecipandovi, in qualche modo stai legittimando chi l'ha organizzata, sia esso un partito di sinistra o destra, un sindacato, una comunità religiosa. Non dico che necessariamente stai esibendo concordia con gli ideali del patrocinatore, ma li stai legittimando, e in qualche modo ti ci fai legare, costruendo un rapporto di debito-credito che può essere giuridico o anche solo morale (chiamala mutua gratitudine): tu fai pubblicità a loro, loro danno a te la possibilità di allenarti. Ed è per questo che l'adesione ad un evento del genere dovrebbe essere riflettuta. Ora, essendo la manifestazione eminentemente politica, ed essendo per la politica questo un momento molto caldo, può accadere che ci siano contestazioni. Civili o meno, ma da tenere comunque in conto.

    Gaia Bonasio

    P.S. Tra parentesi, i tafferugli di solito sono generati da chi, organizzatore, tenta di rimuovere l'ostruzione rappresentata da chi, contestatore, si piazza al centro della strada, fermo, per impedire lo svolgersi dell'evento.
    P.S.-bis Non biasimo il sindaco di Piacenza nel voler evitare costi extra per un rinforzo extra alla manifestazione di un partito che ha contribuito a tagliarti di netto i fondi per poter svolgere il suo lavoro. (Non mi date il minimo per lavorare? Ma ve lo scordate che usi fondi pubblici per la vostra sgambettata politica! Forse devo tesaurizzare per mantenere autobus e centri disabili per i miei concittadini)

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  2. Nel post, ho pubblicato la risposta al tuo commento.

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  3. Oltre il nome della corsa, forse anche il fatto che il Trota ed altri esponenti politici abbiano officiato, in quanto tali, alla partenza, ha reso l'evento intrinsecamente leghista. Sarà una gara in piena regola, sarà riconosciuta dall'UCI e tutto quello che vuoi, ma resta il giro della Lega. Perché questa ambiguità? E perchè è consentita, oltretutto? E guarda che la STESSA domanda vale per altre gare affini di diversi colori politici.
    Mi sembra infatti che sia un’operazione di comodo, per non dire una strumentalizzazione, veicolare per mezzo di una “gara sportiva”, da un lato in quanto tale intoccabile, e dall’altro crocevia di interessi economici sportivi (come tu affermi, i ciclisti VOGLIONO correre in competizioni riconosciute per guadagnare), un messaggio che è schiettamente politico, e oltretutto secessionista o comunque escludente. Allora, o si fa una cosa pulita, e, benchè organizzata da appassionati di ciclismo leghisti (abbiamo pur tutti un’opinione politica), si evita QUALUNQUE riferimento all’ideologia di partito (e si ringrazia per la bella occasione elargita), oppure si accetta che l’evento anche politico potrà essere civilmente contestato.
    In tutto questo, non sto difendendo le modalità della protesta. Dico, però, che se ti sembra che questa abbia poco senso, perché insensato è fare politica con un evento sportivo, allora te la devi prendere innanzitutto con chi l’evento sportivo-politico l’ha organizzato.
    E comunque, un ciclista, anche se professionista, e forse ancor più per questo motivo, rimane pur sempre un cittadino inserito in un preciso contesto, ed è dunque sollecitato a fare delle scelte nel proprio lavoro. Partecipando, costoro hanno scelto di sottomettersi all’ambiguità di cui sopra.
    Spero di avere chiarito meglio il mio pensiero. Un bacio!
    G. B.

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