giovedì 16 giugno 2011

SBERLE DI RIFLESSIONE, SI SPERA...



Basta sberle, ha chiesto Bossi. Il premier Berlusconi pare abbia accettato di buon grado il responso del referendum. La Chiesa ha sottolineato che le sberle sono arrivate tanto al centrodestra quanto all'opposizione. I comitati del no hanno festeggiato un successo che era lecito attendersi prima della consultazione.
Gli Italiani, contrariamente a quanto successo negli ultimi quindici anni, hanno deciso di recarsi alle urne, nonostante il weekend estivo che invogliava a stendersi al sole e non pensare al referendum. Gli italiani si sono mostrati decisi: il 57% è andato a votare e ha risposto in blocco - circa il 95% - "sì" a tutti e quattro i quesiti. Dopo quindici anni e ventiquattro referendum senza quorum, dopo un tour de force elettorale tra amministrative e consultazione referendaria, gli Italiani hanno deciso di riprendersi in mano la "gemma della Costituzione", come Bobbio definiva il referendum, e dire la loro, esprimere la loro preferenza. Il tutto considerando che l'informazione è stata poca sulle tv, tardiva e talora sbagliata, come successo al Tg1 e al Tg2, con gran parte del governo che ammoniva a non sprecare tempo: a ben pensarci, "l'onda d'astenuti alle elezioni provinciali (55%) è diventata uno tsunami di votanti (il 57%)" in questo weekend referendario. Un grandissimo ruolo è stato giocato dalla rete, nella quale sono fiorite le iniziative informative e i passaparola per mandare la gente alle urne, un ruolo che definirei nodale e del tutto nuovo: non ricordo sinceramente un'altra consultazione elettorale in cui il passaparola sul web abbia giocato un ruolo tanto determinante. Internet ha sicuramente rafforzato le motivazioni del sì, mobilitando molti indecisi e tentati dall'astensione: questo è dipeso anche dal fatto che l'argomentazione delle considerazioni avverse ai quesiti referendari è stata ampia, efficace e, soprattutto - questo gioca un ruolo da non sottovalutare - praticamente senza contraddittorio: rarissimi e quanto mai sporadici sono stati, infatti, le obiezioni e i contributi tendenti a suggerire il no o l'astensione. Al contempo, il centrodestra non ha saputo - o voluto? - utilizzare il contesto in cui oggi, sempre di più, si formano le opinioni di molti cittadini ovvero la rete. Il centrodestra, da questo punto di vista, è stato impalpabile: nonostante fosse nell'aria che il quorum sarebbe stato raggiunto, non si è minimamente speso per il "no", per difendere strenuamente leggi da esso votate; a rincarare la dose, ci ha pensato Berlusconi suggerendo che sarebbe stato meglio "non andare a votare" o ritenendo inutili i referendum. "È meglio perdere in modo aperto, in uno scontro frontale, o cercare di nascondersi in qualche angolo buio nell'illusione di schivare le conseguenze della sconfitta? È politicamente più grave perdere un referendum salvando almeno la faccia o perdere entrambi? Il centrodestra ha confermato, con i suoi comportamenti opportunisti, di essere un esercito allo sbando."





Un elemento su cui riflettere, apparso fin da subito è il ruolo di cesura che tale referendum può potenzialmente avere, una sorta di segno rispetto al periodo precedente, un forte segnale d'allarme, come ha ricorda Polito sul Corriere della Sera.

Curiosamente, ancora una volta tocca a un referendum suonare la campana finale di un'era politica. Quello sul divorzio del '74 chiuse l'epoca d'oro della Dc e ne avviò la lunga crisi; quello sulla preferenza unica nel '91 annunciò l'esplosione del regno di Craxi; questo del 2011 sarà molto probabilmente ricordato come il punto più basso dell'epopea berlusconiana. Prima o poi, doveva accadere. Si compie oggi il decennio di governo del Cavaliere: se si esclude la breve parentesi del '94, è dal 2001 che Berlusconi governa l'Italia, per otto anni su dieci. La Thatcher ha retto undici anni. Tony Blair dieci.


Il referendum è stato certamente vissuto dal centrosinistra come un ulteriore mezzo per minare Berlusconi e il suo governo, i quali hanno dovuto silenziosamente incassare un doloroso colpo. La partecipazione di così tante persone al voto spiega chiaramente due cose. La prima è che permane negli Italiani, nonostante il momento storico, un certo interesse verso la politica, soprattutto quando essa pone l'attenzione su temi concreti, sebbene spesso difficili da comprendere appieno, su cui il popolo può pronunciarsi e dire la propria. La seconda è una spiegazione del tutto politica: la nota e sempre crescente disaffezione verso i partiti politici sembra non comportare un distacco dalla politica, ma stimola gli elettori, quando interpellati, ad esprimersi. Ciò che emerge è che esiste una profonda delusione rispetto alle proposte del governo, tale da portare gli elettori a bocciarle. E' molto curioso, come sottolinea Mannheimer, che il fenomeno non coinvolge solo gli elettori di centrosinistra, ma anche ampi segmenti dell'elettorato attuale dei partiti di governo. "Le prime analisi scientifiche confermano come tanti cittadini, che pure dichiarano oggi nei sondaggi di avere l'intenzione, in caso di elezioni politiche, di votare ancora per i partiti di centrodestra, si sono recati alle urne in occasione dei referendum e, per buona parte, hanno votato sì, contro le indicazioni delle stesse forze politiche per cui parteggiano. In particolare, secondo le dichiarazioni rilasciate nei sondaggi, ha votato più del 20 per cento dell'elettorato potenziale odierno del Pdl e addirittura il 50 per cento di quello della Lega."
A proposito di Lega e Pdl, val la pena analizzare i dati elettorali di alcuni luoghi-simbolo di questi partiti. Ad Arcore, per esempio, l'affluenza è stata del 55,2%, mentre a Pontida si è fermata al 51,6%. Passando in Veneto, a Treviso, dove alle ultime regionali la Lega aveva raccolto un risultato record (48%), si è recato alle urne il 58,9% degli aventi diritto, incrementando l'affluenza di ben due punti rispetto alle provinciali del mese scorso. E' stato proprio il Veneto a tradire l'indirizzo del leader storico, Umberto Bossi, che si era pronunciato per l'astensione: l'affluenza su base regionale ha sfiorato il 59% ovvero cinque punti in più della media nazionale.


Al di là di tali considerazioni di carattere politico, ritengo doveroso considerare quello che succederà come risultato del referendum, nei diversi ambiti per i quali si è votato.
Partiamo dal nucleare. Una volta compreso che si sarebbe raggiunto il quorum, i titoli delle aziende del settore delle energie rinnovabili (come Kerself, ErgyCapital e K.R. Energy) hanno registrato importanti rialzi. Per la nostra Enel, c'è stato un doppio risultato: la holding ha perduto lo 0,13%, mentre Enel Green Power, la controllata delle rinnovabili, ha guadagnato l’1,67%. E' pertanto chiaro che, da adesso in poi, la nostra attenzione futura dovrà rivolgersi verso le fonti rinnovabili, come solare termico, solare fotovoltaico, idroelettrico, eolico, biomassa, geotermico, senza nutrire timori di rimanere al buio. In tutto questo il nucleare che fine farà? Innanzitutto, "le ricerche su dove piazzare le centrali, ovviamente, finiranno al macero. L’Agenzia per la sicurezza nucleare un ruolo ce l’avrà: ci sono ancora le vecchie centrali non ancora decommissionate, bisogna trovare un deposito per quelle scorie. La ricerca continuerà, anche se ovviamente si lavorerà all’estero: Enel continua a gestire centrali in Slovacchia, Spagna e (in joint venture) Francia. I 'contratti' con Edf per le centrali nucleari italiane non esistono e non ci saranno penali da pagare: a parte intese non impegnative, in concreto esiste solo una società mista Enel-Edf (Sviluppo Nucleare Italia) che doveva fare uno studio di fattibilità per i 4 reattori voluti dal governo Berlusconi", reattori che evidentemente non vedranno mai la luce. Voglio concludere queste considerazioni sul nucleare riportando una provocazione di Panebianco, apparsa ieri sul Corriere: a proposito di nucleare, "è meglio dirsi la verità: anche senza la tragedia giapponese l'Italia non sarebbe riuscita lo stesso ad entrare nel club nucleare. Quello era comunque un autobus definitivamente perduto tanto tempo fa: in un Paese dove non si riesce a fare la Tav o a mettere in funzione un termovalorizzatore, come sarebbe stato possibile localizzare da qualche parte una centrale nucleare senza scatenare feroci e invincibili resistenze locali?"
Passiamo all'acqua. Si è voluto giocare sulla ripubblicazione di un qualcosa che era e sarebbe rimasto pubblico, ingannando gli elettori. Ora, con l'eliminazione del decreto Ronchi, sarà certamente più difficoltoso reperire le risorse necessarie a rimediare alle paurose inefficienze del sistema dell'acqua e anche degli altri servizi pubblici, che erano oggetto del decreto, sebbene dai comitati referendari questo sia stato sottaciuto. Continueranno a regnare e guadagnare le società controllate dagli enti pubblici, che in Italia - lo sappiamo bene - significa partiti e loro clienti e diventerà ancora più difficile ottemperare alle direttive europee che impongono di introdurre il principio di concorrenzialità nei servizi pubblici. D'ora in poi si applicherà integralmente la normativa europea: i Comuni potranno decidere di affidare la propria gestione "in house" oppure assegnarla tramite gara ad una società mista, all'interno della quale il socio privato dovrà essere scelto con una gara, ma senza più l'obbligo di cedere la maggioranza (quindi gestione privata possibile, ma non vincolante): questo era uno dei punti focali del decreto Ronchi, che imponeva la privatizzazione di almeno il 40% delle società di gestione dei servizi idrici entro l’anno. Il secondo quesito sull'acqua pone un altro problema, attinente l'ingresso dei privati: abolendo la possibilità di avere una "adeguata remunerazione del capitale investito", il tanto discusso 7%, quale imprenditore si impegnerà in un investimento dal quale non potrà avere un ritorno certo e interessante? Infine viene fatto notare questo: "delle circa 110 società di gestione del servizio idrico, una quarantina hanno già al loro interno un soggetto privato, il quale ha tirato fuori dei soldi sapendo di trovarsi di fronte ad una concessione lunga (in genere 20-30 anni) e ad una ricaduta economica importante. Ora, per queste società la concessione non cambia, ma il business cambia eccome. E' possibile, quindi, che molte (o alcune) di queste società facciano ricorso alle carte bollate e protestino per il repentino cambiamento, che trasforma i loro investimenti in flop. La soluzione sarebbe, a questo punto, una ripubblicizzazione totale dell’acqua, con i Comuni che ricomprano le quote cedute ai privati: costo stimato un miliardo, che andrebbe ad aggiungersi ai due miliardi l’anno per 30 anni necessari a risistemare la rete idrica (60 miliardi in 30 anni). Questi soldi, posto che i privati daranno forfait, chi li tirerà fuori?"
Infine, legittimo impedimento. La legge era già stata svuotata, in verità, dalla Corte costituzionale, in particolare bocciandola nelle sue parti più rilevanti come quella dell’insindacabilità da parte della magistratura sull’autocertificazione di Palazzo Chigi. In secondo luogo, "tra i vari collegi giudicanti e le difese è stato trovato da tempo un 'gentlemen agreement' che ha stabilito a priori un calendario delle udienze 'irrinunciabili' nelle quali le difese si sono impegnate a non bloccare lo svolgimento delle stesse anche a fronte di eventuali legittimi impedimenti o assenze del Premier." Oltre a sottolineare che da febbraio, da quando la decisione della Consulta aveva consentito la ripresa dei processi, gli avvocati di Berlusconi non hanno mai utilizzato la legge, val la pena fare alcuni conti. L'unico vero danno inevitabile sarà la decisione della Corte d'Appello sul risarcimento milionario alla Cir di De Benedetti per lo "scippo" del "Lodo Mondadori". Per quanto concerne gli altri processi, il processo Mills dovrebbe cadere in prescrizione nel gennaio 2012: "non è escluso che si arrivi a una sentenza di primo grado in ottobre, ma nessuna Cassazione farebbe in tempo a confermarla"; il processo Mediaset sui diritti tv si prescrive nel 2014, "ma qui al massimo, ragionano gli avvocati, ci potrà essere una condanna di tipo fiscale"; stesso discorso e, probabilmente, minori danni per Mediatrade. Rimane ancora in piedi il processo Ruby, che, secondo i difensori del Presidente del Consiglio, è una partita ancora da giocare. Ora non resta che puntare sulla prescrizione breve, come già anticipato in un precedente post, sebbene si debba tenere conto che con il Colle c'è un'incognita in più: Napolitano sarà ancora più deciso nei suoi "no" a leggi ad personam alla luce del 57% di votanti che si è espresso chiaramente a favore dell'abrogazione della legge sul legittimo impedimento.

Concludo questo post invitandovi ad ascoltare le considerazioni di Carlo Stagnaro, direttore Studi e Ricerche dell'Istituto Bruno Leoni, riguardo il dopo-referendum.





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