domenica 12 dicembre 2010

LA DEBOLEZZA CHE NON AIUTA

I giorni che verranno, politicamente parlando, saranno sicuramente "interessanti", come ha ricordato il presidente Napolitano, ma non certamente decisivi; al di là dell’esito finale delle votazioni riguardo alla fiducia al governo, il rebus sul dopo-voto rimane e fin da ora appare difficile da sciogliere. Da una parte il centrodestra - Pdl e Lega Nord - impegnato nel mercato di parlamentari per non perdere nemmeno un voto utile, dall’altra parte il resto dell’arco costituzionale - dal Pd all’Udc fino a Fli e alle altre forze minori - perlopiù compatto nel votare la sfiducia. In realtà un'importante debolezza si palesa da ambedue le parti.
Il centrodestra è obiettivamente più debole, se si confrontano i risultati ottenuti nel 2008, quando una maggioranza storica aveva la potenziale possibilità di governare per cinque anni e portare a termine quelle grandi riforme richieste da più parti e mai iniziate; la delusione che affiora tra i tanti Italiani che si erano affidati al centrodestra è palpabile e tuttavia non basta gridare al tradimento per giustificare la situazione attuale, visto il vicolo cieco in cui ci siamo infilati a furia di sterili polemiche e atti illogici, come l’estromissione di Fini dal partito di cui è stato co-fondatore. Il risultato di questo braccio di ferro sfibrante, infatti, potrebbe essere deludente sia per Berlusconi sia per Fini, visto anche che Bossi mai come oggi è stato così determinante e così consapevole del suo potere.
Per quanto riguarda Pd, Udc, Fli e gli altri, la debolezza è andata manifestandosi soprattutto negli ultimi giorni. A partire dall’iniziativa dei “finiani moderati” (cui peraltro Fini ha sbarrato la strada) che hanno certamente fiaccato quel cartello del no, che appariva compatto fino a qualche giorno fa. Per non parlare della ragione vera che sottende questo stato di fragilità: l’impossibilità e finanche l’incapacità di offrire una valida alternativa di governo. Normalmente, nelle condizioni attuali, sarebbe stata l’opposizione che a gran voce avrebbe chiesto subito le elezioni anticipate per evitare di perdere tempo prezioso o, in alternativa, come ricorda Folli sul Sole24Ore di oggi, avrebbe presentato “la piattaforma di un nuovo esecutivo pronto a sostituire quello dimissionario”, come accade, seppur raramente, in Germania con la cosiddetta sfiducia costruttiva. Le alternative messe in campo, invece, appaiono infruttuose e prive di prospettiva, proprio a partire da quel “governo di transizione” invocato ieri da Bersani o quel “governo di responsabilità nazionale” che piace tanto all’Udc, iniziative - queste - senza sostanza e contorni ben definiti che non fanno che allontanare la soluzione del rebus anziché aiutare a risolverlo. E d’altronde, la prova della piazza di Bersani è senz’altro ben riuscita, ma è stata una "prova identitaria", la quale ha mostrato che l’alternativa a Berlusconi deve passare per forza dal Pd; ma sull’oggi, invece, nessun colpo è stato battuto, le bandiere al vento e le parole del leader hanno aiutato il morale del Pd, ma non certo il Paese, che chiede, se c’è, una valida alternativa capace di assumersi delle responsabilità sul lungo periodo.
Berlusconi, come già ha mostrato di fare, sa rialzarsi nelle situazioni più difficili, i suoi colpi di reni sono proverbiali e quindi non dovremo stupirci se otterrà la fiducia dal Parlamento. Ma, dopo il 14 dicembre, la trattativa con Casini o Fini o entrambi s’ha da fare: se ora poteva servire a gettare zizzania nel campo avversario, dopo il 14 appare necessaria per mettere in piedi una “prospettiva realistica” che ci guidi fino a fine legislatura, con più fatti e meno polemiche, più risultati e meno litigi.

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