Finalmente, a distanza di un anno circa dalla data prevista, domenica 21 e lunedì 22 giugno si vota per il referendum elettorale. Il quale si propone di cambiare alcuni aspetti, quelli più deteriori, della legge Calderoli, definita dal suo stesso ideatore una "porcata". E direi che non ha sbagliato molto, anzi forse ha colto in pieno. E' inutile voler giudicare questa legge alla luce dell'attuale panorama politico perchè le falle della stessa permangono; e, se oggi sembrano tappate, domani potrebbero non tenere più e dare luogo a una nuova emorragia di pessimi comportamenti politici.
Ecco perchè, coerentemente con quanto fatto due anni fa quando ho deposto la mia firma per chiedere che venisse indetto il referendum, voterò SI' per tutti e tre i quesiti. E vi spiegherò il perchè.
Innanzitutto vi riassumo in breve il contenuto del referendum, di cui trovate maggiori informazioni sul sito del Comitato promotore.
I primi due quesiti, validi l'uno per la Camera dei deputati e l'altro per il Senato della Repubblica, chiedono di spostare il premio di maggioranza dalla coalizione al partito che ha preso più voti. "Se vincono i sì, scompariranno le coalizioni di partiti e si eviterà che questi si uniscano il giorno delle elezioni e si dividano subito dopo imponendo veti, mediazioni e verifiche continue a maggioranza e governo. Si realizzerà anche in Italia il bipartitismo, così come negli Usa, in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Senza coalizioni, la soglia di accesso a Camera (4%) e Senato (8%) diventerà uguale per tutti".
Il terzo quesito riguarda il (mal)costume delle candidature multiple. "Se vincono i sì, sarà vietato candidarsi in più di un collegio e scomparirà la pratica abusata di presentare ovunque candidati “acchiappa-voti” (normalmente i leader di partito)".
Come ben capite, con le modifiche che si realizzeranno in caso di vittoria del sì, non si arriverà ad una legge elettorale perfetta (non è compito del referendum, bensì dei politici), ma si cambieranno alcuni aspetti esecrabili.
Tuttavia, da parte dei contrari, tante sono state le critiche. Che però non sussistono, a mio parere.
Riguardo i primi due quesiti elettorali, che spostano il premio di maggioranza al partito che prende più voti, la critica più frequente riguarda l'attribuzione del 55% dei seggi anche ad un partito che ha raggiunto il 30% dei voti. Questo, però, può verificarsi anche nei sistemi maggioritari in quanto nulla vieta che un partito ottenga la maggioranza dei collegi e quindi dei seggi anche se a livello nazionale prende un numero di voti limitato. "In un sistema maggioritario ciò può accadere se nei collegi sono presenti molti partiti. Più in generale, nei sistemi maggioritari, è quasi sempre la minoranza elettorale più forte che si aggiudica la maggioranza dei seggi."
Inoltre è vero che alle ultime elezioni la frammentazione partitica è stata drasticamente ridotta; ma questo è successo semplicemente per una decisione politica, quella di Walter Veltroni, di puntare sul Pd, un "partito a vocazione maggioritaria" (costringendo anche il centrodestra a presentarsi con il Pdl). Vocazione maggioritaria che, constatiamo tutti i giorni, è andata via via svanendo, tanto più dopo le dimissioni di Veltroni da segretario. E quindi si può plausibilmente pensare che alle prossime consultazioni si tornerà alla tradizionale politica delle alleanze , non solo a sinistra, ma anche a destra.
Un'altra critica, sostenuta da un esperto come Giovanni Sartori, è legata alle cosiddette liste-arlecchino, formate da tanti partitini che si uniscono in vista delle elezioni e si dividono il giorno dopo. Cui in verità, come ha fatto Angelo Panebianco, bisogna dar ragione. Anche se è bene considerare che "la loro libertà d'azione dopo il voto verrebbe compromessa. Una cosa, per un piccolo partito, è disporre di un proprio simbolo e di autonomo finanziamento pubblico. Una cosa completamente diversa è rinunciare al simbolo (e, con esso, a un rapporto diretto, non mediato, col proprio elettorato) e dover per giunta fare i conti, per la spartizione dei finanziamenti, con il gruppo dirigente del grande partito a cui ci si è aggregati. Non credo che, dopo le elezioni, quei piccoli partiti disporrebbero ancora di molta libertà d'azione." Alla luce di queste considerazioni si possono spiegare gli attuali comportamenti di Lega e Idv di opposizione totale al referendum.
La critica principale afferma che, alla luce dell'odierno scenario politico, il referendum appare inutile. E invece io ritengo che, proprio perchè i partiti ne parlano poco, è bene far loro tenere a mente che bisogna modificare una pessima legge elettorale. E il referendum è un buon aiuto. Perchè non si può giudicare ogni decisione politica pensando a quanto beneficio ne avrà Berlusconi. Egli, per limiti anagrafici, dovrà lasciare a breve l'agone politico e noi ci ritroveremo con una legge elettorale che ogni giorno non esitiamo a definire una "porcata". E quindi vale la pena iniziare a cambiarla con le modifiche proposte dal Comitato promotore di Segni e Guzzetta, auspicando una maggiore attenzione dei politici alla luce del positivo - ce lo auguriamo vivamente - risultato.
Ecco perchè, coerentemente con quanto fatto due anni fa quando ho deposto la mia firma per chiedere che venisse indetto il referendum, voterò SI' per tutti e tre i quesiti. E vi spiegherò il perchè.
Innanzitutto vi riassumo in breve il contenuto del referendum, di cui trovate maggiori informazioni sul sito del Comitato promotore.
I primi due quesiti, validi l'uno per la Camera dei deputati e l'altro per il Senato della Repubblica, chiedono di spostare il premio di maggioranza dalla coalizione al partito che ha preso più voti. "Se vincono i sì, scompariranno le coalizioni di partiti e si eviterà che questi si uniscano il giorno delle elezioni e si dividano subito dopo imponendo veti, mediazioni e verifiche continue a maggioranza e governo. Si realizzerà anche in Italia il bipartitismo, così come negli Usa, in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Senza coalizioni, la soglia di accesso a Camera (4%) e Senato (8%) diventerà uguale per tutti".
Il terzo quesito riguarda il (mal)costume delle candidature multiple. "Se vincono i sì, sarà vietato candidarsi in più di un collegio e scomparirà la pratica abusata di presentare ovunque candidati “acchiappa-voti” (normalmente i leader di partito)".
Come ben capite, con le modifiche che si realizzeranno in caso di vittoria del sì, non si arriverà ad una legge elettorale perfetta (non è compito del referendum, bensì dei politici), ma si cambieranno alcuni aspetti esecrabili.
Tuttavia, da parte dei contrari, tante sono state le critiche. Che però non sussistono, a mio parere.
Riguardo i primi due quesiti elettorali, che spostano il premio di maggioranza al partito che prende più voti, la critica più frequente riguarda l'attribuzione del 55% dei seggi anche ad un partito che ha raggiunto il 30% dei voti. Questo, però, può verificarsi anche nei sistemi maggioritari in quanto nulla vieta che un partito ottenga la maggioranza dei collegi e quindi dei seggi anche se a livello nazionale prende un numero di voti limitato. "In un sistema maggioritario ciò può accadere se nei collegi sono presenti molti partiti. Più in generale, nei sistemi maggioritari, è quasi sempre la minoranza elettorale più forte che si aggiudica la maggioranza dei seggi."
Inoltre è vero che alle ultime elezioni la frammentazione partitica è stata drasticamente ridotta; ma questo è successo semplicemente per una decisione politica, quella di Walter Veltroni, di puntare sul Pd, un "partito a vocazione maggioritaria" (costringendo anche il centrodestra a presentarsi con il Pdl). Vocazione maggioritaria che, constatiamo tutti i giorni, è andata via via svanendo, tanto più dopo le dimissioni di Veltroni da segretario. E quindi si può plausibilmente pensare che alle prossime consultazioni si tornerà alla tradizionale politica delle alleanze , non solo a sinistra, ma anche a destra.
Un'altra critica, sostenuta da un esperto come Giovanni Sartori, è legata alle cosiddette liste-arlecchino, formate da tanti partitini che si uniscono in vista delle elezioni e si dividono il giorno dopo. Cui in verità, come ha fatto Angelo Panebianco, bisogna dar ragione. Anche se è bene considerare che "la loro libertà d'azione dopo il voto verrebbe compromessa. Una cosa, per un piccolo partito, è disporre di un proprio simbolo e di autonomo finanziamento pubblico. Una cosa completamente diversa è rinunciare al simbolo (e, con esso, a un rapporto diretto, non mediato, col proprio elettorato) e dover per giunta fare i conti, per la spartizione dei finanziamenti, con il gruppo dirigente del grande partito a cui ci si è aggregati. Non credo che, dopo le elezioni, quei piccoli partiti disporrebbero ancora di molta libertà d'azione." Alla luce di queste considerazioni si possono spiegare gli attuali comportamenti di Lega e Idv di opposizione totale al referendum.
La critica principale afferma che, alla luce dell'odierno scenario politico, il referendum appare inutile. E invece io ritengo che, proprio perchè i partiti ne parlano poco, è bene far loro tenere a mente che bisogna modificare una pessima legge elettorale. E il referendum è un buon aiuto. Perchè non si può giudicare ogni decisione politica pensando a quanto beneficio ne avrà Berlusconi. Egli, per limiti anagrafici, dovrà lasciare a breve l'agone politico e noi ci ritroveremo con una legge elettorale che ogni giorno non esitiamo a definire una "porcata". E quindi vale la pena iniziare a cambiarla con le modifiche proposte dal Comitato promotore di Segni e Guzzetta, auspicando una maggiore attenzione dei politici alla luce del positivo - ce lo auguriamo vivamente - risultato.
Per maggiori informazioni,
consultate il sito:
http://www.referendumelettorale.org
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http://www.referendumelettorale.org
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