Dopo il momento del dolore, arriva quello delle riflessioni a freddo, meditate guardandosi attentamente intorno. E certamente non c'è di che rallegrarsi.
L'attentato si è consumato a distanza di poco tempo dalle elezioni che hanno riconfermato Karzai come presidente, sebbene sulla loro legittimità gli osservatori internazionali abbiano sollevato molti dubbi.
Il pericolo dell'attentato era stato segnalato ventidue ore prima dalla nostra intelligence, che tuttavia in Afghanistan non conta più di dieci uomini: pochi per controllare un territorio difficile e molto vasto. Stando ai warming dei servizi segreti, poi, si parla di una "talpa" negli apparati d'intelligence del presidente Karzai, forse la stessa usata per l'attentato ai militari italiani e per altre uccisioni nei giorni precedenti.
I nostri militari sono lì ufficialmente per una missione di pace, ma - l'abbiamo visto tutti in questi anni - l'Afghanistan è andato trasformandosi sempre più in un vero e proprio teatro di guerra. Ecco perchè, come traspare dalle notizie degli ultimi giorni, serve una seria riflessione per rivedere le nostre regole d'ingaggio: non ha alcun senso mantenere i nostri contingenti di pace in una zona di guerra senza dare loro la possibilità di combattere ad armi pari. Perchè è fuori da qualsiasi logica permettere che i soldati possano rispondere al fuoco solo se attaccati, mentre se muoiono dei compagni in un attentato non sono autorizzati a rispondere, in nome dell'articolo 11 della nostra Costituzione che ripudia la guerra.
A tutte queste considerazioni se ne aggiunge una, forse la più importante, per spiegare perchè, nonostante i caduti sul campo, il nostro Paese è determinato a continuare l'impegno in Afghanistan.
Certo - questo mi sembra fuor di dubbio - non siamo lì per sostenere il presidente Karzai, scelto nel 2004 dagli USA per iniziare un serio cammino democratico e rivelatosi nel tempo corrotto, debole e poco capace di tenere le redini di un Paese difficile da governare. Non ha esitato un attimo, al fine di assicurarsi un secondo mandato, a stringere alleanze con signori della guerra, trafficanti di droga, prendere le distanze da alcune iniziative Nato e, da ultimo, autorizzare brogli di dimensioni cospicue; sappiamo tutti che i fondamentalisti, con l'aiuto dei potenti Stati vicini che li riforniscono di armi, sono tornati a controllare buona parte del territorio e che l'80% dell'eroina consumata nel mondo viene dall'Afghanistan. Un barlume di democrazia è stato posto, ma la sua crescita appare particolarmente impegnativa se le condizioni di cui sopra non vengono mutate. Perciò è evidente che non siamo lì per i suddetti motivi, ma piuttosto siamo lì per combattere la guerra globale contro il terrorismo, che ha nel Paese afghano una delle centrali più floride; è da lì che nel 2001 Osama Bin Laden ha organizzato l'attentato alle Torri gemelle. E' pur vero che i fondamentalisti hanno altre basi nel mondo, ma l'Afghanistan è un nodo cruciale: se ci ritiriamo prima che un solido governo filoccidentale abbia messo salde radici, il fondamentalismo vincerà e il terrorismo globale ne trarrà nuova linfa.
Ecco perchè è assolutamente urgente ridiscutere l'assetto delle forze occidentali in Afghanistan: esse devono essere impiegate al meglio e con le minori perdite possibili per cercare nel più breve tempo utile di poter abbandonare il Paese, a patto che un serio governo democratico sia al comando. Parlare ora di ritiro è solamente da pazzi, anzi, rischia di incentivare i terroristi a colpire ancor di più i nostri soldati, che appaiono non appoggiati dal Paese nella loro missione.
Scusami se mi intrufolo di prepotenza. Ho letto il tuo commento sul blog di Andrew e approvo quello che scrivi. "Non chiamiamoli eroi, ritiriamo i soldati." Stiamo sentendo di tutto! Rispetto per chi non c'è più e di sicuro voleva tornare a casa.
RispondiEliminahttp://cavaale.blogspot.com/2009/09/quanti-ancora.html
RispondiEliminaIl rispetto da parte mia non manca mai, ma occorre chiedersi seriamente quale sia il motivo per cui i nostri soldati sono in Afghanistan, e senza nascondersi dietro alla solita retorica.