Per rimanere ancora sulla polemica tra Boffo e il Giornale, vi propongo un articolo, firmato dall'amico Lorenzo Meazza, nel quale si analizza, dal punto di vista tecnico, se l'aver reso nota la vicenda giudiziaria di Boffo sia diffamazione o si inserisca nel comune esercizio al diritto di cronaca.
La considerazione è tanto più ovvia ora che il provvedimento, emesso allora dal gip di Terni Fornaci "è stato messo a disposizione dei giornalisti, come disposto dal gip Pierluigi Panariello. Il giudice per le indagini preliminari ha sì autorizzato i cronisti a fare copia del decreto, vietando però un accesso indiscriminato agli atti del procedimento", come voluto dal procuratore della Repubblicadi Terni Cardella in un primo momento. Nel testo è premesso un omissis "relativo al nome della donna molestata: il gip ha infatti disposto che dal decreto penale di condanna venga cancellato il nome della persona offesa."
Fino a quale punto è lecito trattare delle vicende private di un soggetto? Il caso Boffo ha aperto il delicatissimo dibattito su un problema decisamente scottante per la vita politica di uno Stato democratico: è consentito, non moralmente, ma in base al diritto, pubblicare su un quotidiano una sentenza di patteggiamento (giuridicamente equiparata a una sentenza penale di condanna) di un soggetto? E nel caso in cui tale soggetto fosse un direttore di un giornale? Il difficile bilanciamento tra la tutela della riservatezza di un singolo e il diritto di informazione, che si esplica sia nel diritto del giornalista a informare, sia nel diritto alla collettività a essere informata, trova in questo momento uno strenuo banco di prova. Il diritto alla privacy, che vede il suo fondamento e riconoscimento non solo in fonti costituzionali (articoli 2 e 3), ma anche europee (nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), pur costituendo un limite logico sia al diritto di cronaca, che al diritto di critica, non riveste infatti i caratteri dell’assolutezza. La più importante deroga al principio che vieta ai giornalisti di intromettersi all’interno della vita privata di un individuo, non nella pratica, ma almeno legalmente, è quella costituita dalla qualità di personaggio pubblico, purché la notizia sia collegata alla ragione della notorietà oppure per modalità, cause, scopi o condizioni, possa concorrere a creare un corretto orientamento dell’opinione pubblica (così ha statuito un’importante pronuncia della Corte di Cassazione). In questo modo, anche l’importanza professionale del ruolo ricoperto, come può essere quello di direttore di un quotidiano a tiratura nazionale, qual è Boffo, può, a detta della Suprema Corte, rilevare ai fini dell’attribuzione del requisito di personaggio pubblico. Inoltre, nel riportare la cronaca di fatti giudiziari, il bilanciamento del diritto alla riservatezza deve fare i conti, oltre che col diritto d’informazione, riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione, anche col diritto della collettività a essere informata in merito all’amministrazione della giustizia penale. I giudici, se saranno investiti della questione sulla base di una querela di Boffo, dovranno perciò unicamente valutare che le asserzioni di Feltri sul suo giornale abbiano rispettato l’ultimo requisito previsto per non far scattare il reato di diffamazione (accertata la verità della condanna), consistente nella continenza, ovvero nella moderazione, proporzione e misura delle modalità espositive della notizia di per sé offensiva.
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